Moriah Russo

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Louise Bourgeois e Ursula von Rydingsvard. L’esperienza dell’infanzia esplorata da artiste contemporanee Abstract: Gli artisti che lavorano nel 21° secolo traggono da una miriade di muse i loro contenuti artistici. Due artiste contemporanee, complesse e interessanti, Louise Bourgeois e Ursula von Rydingsvard, guardano indietro, all'esperienza traumatica infantile, al fine di creare un’arte psicologicamente densa. Louise Bourgeois, artista contemporanea molto apprezzata, recentemente scomparsa all’età di 98, è nota per il suo lavoro autobiografico, che fa riferimento alle sue esperienze infantili e alla sua vita familiare travagliata. Allo stesso modo, Ursula von Rydingsvard spesso riconosce le connessioni tra le sue prime esperienze legate al lavoro nei campi nazisti e nei campi profughi del dopoguerra e le sue enormi costruzioni in cedro. Questa comunanza di riferimento introspettiva è particolarmente evidente nel confronto tra l’installazione scultorea di Bourgeois dal titolo Cell (Sfere di vetro e mani) (1990-1993) e il capolavoro di cedro di von Rydingsvard, Czara z Babelkami (2006). Parole chiave: Louise Bourgeois, Ursula von Rydingsvard, arte, infanzia, trauma. ***

Gli artisti che lavorano nel 21° secolo traggono da una miriade di muse i loro contenuti artistici. Due artiste contemporanee, complesse e interessanti, Louise Bourgeois e Ursula von Rydingsvard. Louise Bourgeois, artista contemporanea molto apprezzata, recentemente scomparsa all’età di 98, è nota per il suo lavoro autobiografico, che fa riferimento alle sue esperienze infantili e alla sua vita familiare travagliata. Allo stesso modo, Ursula von Rydingsvard spesso riconosce le connessioni tra le sue prime esperienze legate al lavoro nei campi nazisti e nei campi profughi del dopoguerra e le sue enormi costruzioni in cedro. Questa comunanza di riferimento introspettiva è particolarmente evidente nel confronto tra l’installazione scultorea di Bourgeois dal titolo Cell (Sfere di vetro e mani) (1990-1993) e il capolavoro di cedro di von Rydingsvard, Czara z Babelkami (2006).

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Le ‘celle’ di Louise Bourgeois hanno una presenza consistentemente maestosa. Incorporano sempre alcuni elementi tipici dell’imprigionamento; consistono di strutture larghe, installazioni scultoree autonome che frequentemente riempiono intere stanze. La scatola esterna del Glass Spheres and Hands è costituita da un’impalcatura d’acciaio scuro e muri rivestiti di pannelli di vetro con recinti incatenati, e quindi di conseguenza gli oggetti scultorei all’interno appaiono visivamente oscurati.

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Bourgeois offre soltanto un accesso visivo al Cell (Glass Spheres and Hands), negando fisicamente l’entrata attraverso lo spazio ‘murato’. In alcuni spazi lungo i muri, ad ogni modo, sono stati distrutti o rimossi i pannelli di vetro offuscato, in modo tale da permettere almeno di intravedere l’interno meravigliosamente intricato della cella. Quando è finalmente consentita una visione distinta dei contenuti interni incapsulati del Cell (Glass Spheres and Hands) di Bourgeois, l’osservatore nota immediatamente un calco in marmo bianco di due mani umane, spezzate all’inizio del polso e strette insieme come se fossero in preghiera. Questa scultura gestuale è piazzata su un tavolo di legno ricoperto da una tela. Le mani sembrano delicate e soffici, come pelle, in brusco contrasto con la freddezza del muro esterno della cella. Intorno al tavolo, che è situato nell’angolo di una ‘camera’ quadrata, vi sono cinque sfere di vetro, piazzate su antiche sedie di legno, ognuna delle quali è posta frontalmente rispetto alle mani scolpite, in modo da ottenere un perimetro determinatamente unificato. Questa unità è disturbata soltanto dalla disparità di misure delle bolle di vetro, che sembrano fluttuare attorno al tavolo come in un ritmo elastico di resistenza. La cella costruita è perciò al contempo bilanciata tramite i suoi contenuti in dimensione e forma, e così è per la luce, che contrasta con gli ombreggiati e taglienti margini della gabbia attraverso i vetri bulbosi. Le ‘celle’ di Louise Bourgeois contengono una molteplicità di significati. Il titolo ‘cella’ è, allo stesso tempo, un riferimento sia all’unità biologica del corpo umano, sia a quella della casa1. L’amalgama di queste due associazioni fa risaltare l’enfasi di Bourgeois verso le potenti influenze delle sue prime esperienze familiari, nel pieno sviluppo della sua identità personale. Louise Bourgeois ha spiegato: «la mia infanzia non ha mai perso la sua magia, la sua misteriosità, e non ha mai perso la tragicità» 2. Giovane ragazza in Francia, Louise ha vissuto in un ambiente casalingo travagliato. Una volta ha detto: «era una situazione Leoni-Figini Margherita, Louise Bourgeois, Centre Pompidou, Marzo 2008, Web. 01 NOV. 2010, http://www.centrepompidou.fr/education/ressources//ENS-bourgeois EN//ENSbourgeois-EN.html. La versione italiana di questa e tutte le altre citazioni, nel testo e nelle note, sono del traduttore del saggio. 2 Cfr. Campbell-Johnson, Louise Bourgeois: This Art Has Legs, The Times, 09 Ottobre 2007, Web. 01 Nov. 2010, http://entertainment.timesonline.co.uk/tol/arts_and_entertainment/visual_arts/article2614990.ece 319 1

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familiare che non potevo sopportare. Vengo da una famiglia anormale»3. Il padre di Bourgeois, Louis, era un «donnaiolo tirannico» che, per dieci anni, si è concesso una relazione con la governante di casa Bourgeois, Sadie 4. La madre di Louise - descritta dall’artista come «una persona intelligente, paziente e duratura, seppur non astuta» - fece cadere in un «punto cieco» l’incapacità di affrontare la situazione 5. La morte della madre di Louise, nel 1932, complicò ancora di più l’adolescenza dell’artista, che aveva già funto da badante, fondamentalmente, durante la malattia di sua madre, poiché tesa a celare la situazione al padre spietato6. Nancy Spector, curatrice capo dell’esposizione al Guggenheim di Luoise Bourgeois: A Life in Picture, ha scritto: Questo triangolo familiare di infedeltà sessuale e malattia ha gettato la giovane artista nei ruoli più inappropriati - come guardona, complice e nutrice. Questa combinazione l’ha lasciata con vere e proprie cicatrici fisiche durante tutta la sua vita. I diari della Bourgeois, che lei ha curato assiduamente a partire dal 1923, indicano la tensione tra la rabbia, la paura dell’abbandono e il rimorso che lei ha dovuto soffrire sin dall’infanzia7.

Conoscendo il background personale di Louise Bourgeois, Cell (Glass Spheres and Hands) assume un nuovo significato, come se ogni materiale «raccontasse la propria storia»8. Le strutture ripetute, a forma di gabbia, urlano dell’imprigionamento, come se le barre di metallo evocassero la concezione stessa della prigionia. «I muri di vetro e acciaio che la racchiudono, fanno da protezione ad ogni oggetto all’interno, ma allo stesso tempo li limitano da ogni fuga. Come una prigione, i muri ingabbianti costringono ad una rigida forma di solitudine, dalla quale viene offerta una sola visione del mondo esterno» 9. Questa è la convinzione dell’autrice, ovvero che questa prigione simbolica rappresenti le prime esperienze casalinghe e familiari della Bourgeois; da giovane, l’artista era intrappolata in una famiglia claustrofobica, chiusa nella tensione e nella sofferenza. Le mani scolpite sono una rappresentazione dell’infanzia spigolosa e impotente di Bourgeois - e senza dubbio un autoritratto retrospettivo. Tramite un’attenta osservazione più da vicino, il tavolo coperto da tela appare instabile, come incapace di sopportare il peso delle preghiere di un bambino. Questa struttura instabile sta a significare l’inquietudine che Bourgeois ha provato proprio durante la sua giovinezza, vivendo per dieci anni in un ambiente famigliare sempre sul punto di collassare. Gli intensi sentimenti di rabbia, paura, frustrazione e tristezza, provenienti dall’infanzia di Luoise Bourgeois, sono tutti drammaticamente dispiegati nella sua ‘cella’ autobiografica. Bourgeois una volta ha detto: «porto avanti la mia psicanalisi tramite i miei lavori. Ogni giorno metto alla prova tutto ciò che mi infastidisce - tutti i miei malesseri»10. Louise Storr Robert, Herkenhoff Paulo, Louise Bourgeois, Phaidon Press, 2003, p. 9 Cfr. Campbell-Johnson, Louise Bourgeois, cit. 5 Ibid. 6 Ibid. 7 Spector Nancy, Louise Bourgeois: A Life in Picture, Guggenheim.org, 2008, Web, 01 NOV. 2010, http://www.pbs.org/art21/artists/vonrydingsvard/clip2.html 8 Art21, Louise Bourgeois: Cell (Glass Spheres and Hands), PBS.org,2010, Web, 01 NOV., 2010, http://pastexhibitions.guggenheim.org/sackler_louise/index.html 9 Ibid. 10 Cooke Rachel, My Art is a Form of Restoration, in “The Observer”, 14 Ott. 2007, Web. 01 Nov. 2010, 320 3 4

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Bourgeois ha affermato che la sua infanzia è stata la «fonte psichica» della sua arte, e che la sua serie di celle fosse da intendersi come «evocazione» di questa infanzia stessa 11. Ha detto, «è un dato che le paure del passato sono collegate alle paure fisiche, quella che è la loro superficie sul corpo. Per me, una scultura è un corpo. E il mio corpo a sua volta è la mia scultura»12. Si può così comprendere come Louise Bourgeois riviva le sue prime esperienze traumatiche come una sorta di terapia artistica, risvegliando i suoi ricordi al fine di comprenderli meglio e accettarli. Questa prospettiva viene resa chiara da quanto da lei sostenuto: L’arte è un privilegio, una benedizione, un conforto [...]. Un privilegio fantastico attraverso il quale si ha accesso all’inconscio [...]. É già un privilegio essere in grado di sublimarlo [...]. C’è qualcosa di davvero speciale nell’essere in grado di sublimare il proprio inconscio, e qualcosa di davvero doloroso nell’accedervi. Ma non c’è via di fuga da esso, e nessuna via di fuga dal suo accesso una volta che ti è dato, una volta che lo si è preferito; che tu lo voglia o meno [...] non vi è alcun posto dove andare altrimenti, dove scappare. Bisogna avere il coraggio di fronteggiare il rischio. Bisogna essere indipendenti. Tutte queste cose sono doni. Sono benedizioni [...]. La sublimazione è un dono»13

Sebbene si possano notare l’essenza del femminismo e del surrealismo osservando Cell (Glass Spheres and Hands) di Bourgeois, ancor più congrua è l’applicazione della teoria espressionista. La stessa Bourgeois, durante la sua carriera, si è identificata come un’artista espressionista, sostenendo: lavoro soltanto quando sento il bisogno di esprimere qualcosa. Non sono sicura di cosa sia, ma so che qualcosa bolle ed quando sono esattamente sull’onda giusta per farlo. Il bisogno è veramente forte. Per esprimere le proprie emozioni, bisogna essere davvero allenati e recettivi. Se tu possiedi questo dono, che gli artisti possiedono, l’inconscio giunge a te. Soltanto io so se sono stata ispirata: tramite quello che è il risultato14.

Il lavoro di Bourgeois si basa sulle sensazioni profonde delle esperienze della vita. Per esemplificare questa fonte personale, l’artista ha usato il calco delle sue stesse mani in Cell (Glass Spheres and Hands). In un’intervista con Art21, Bourgeois ha detto: «ciò mostra quanto mi prenda cura di tutto. Mostra quanto vi è di vero dell’emozione espressa. Si tratta di un’emozione che è stata vissuta, e che è reale, e non di qualcosa di costruito»15. In aggiunta al già evidente intento espresso da Bourgeois, l’utilizzo che l’artista fa dei simboli e delle metafore, al fine di creare un linguaggio visivo in Cell (Glass Spheres and Hands) corrisponde direttamente proprio con quello dell’espressionismo. Coloro che guardano le ‘celle’ di Bourgeois sicuramente guardano all’interno dell’opera come se leggono un testo, per interpretarlo a partire dalla loro stessa prospettiva. Questo aspetto del Cell (Glass Spheres and Hands) di Bourgeois si avvicina alla teoria che dell’espressionismo hanno avuto B. Croce e R. G. Collingwood, secondo i quali https://www.theguardian.com/artanddesign/2007/oct/14/art4 11 Cotter Holland, Louise Bourgeois, Influential Sculptor, Dies at 98, in The New York Times, 31 Maggio 2010, Web, 01 NOV. 2010, http://www.nytimes.com/2010/06/01/arts/design/01bourgeois.html 12 Cfr. Leoni-Figini Margherita, Louise Bourgeois, cit., 2010. 13 Harrison, Charles e Wood, Paul, Louise Bourgeois (1911): Statements from an Interview with Donald Kuspit, Blackwell Publishing, Malden, MA, 2003, p. 1088. 14 Cfr. Cooke Rachel, My Art is a Form of Restoration, cit. 15 Bourgeois Luoise, in Art21, cit. 321

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l’osservatore viene coinvolto nel dare significato all’artefatto. Croce ha scritto che l’arte «non è una contemplazione, ma un’azione» e che chi guarda non è «un ricettore passivo, ma un collaboratore». Bourgeois cerca, per l’osservatore, un’interazione con il proprio lavoro; la gabbia impenetrabile del Cell (Glass Spheres and Hands) di Bourgeois, con le sue aperture sparpagliate, costringe lo spettatore al di fuori dei muri ad interagire attivamente con l’installazione. Attraverso la ricerca di una visione migliore dell’interno della cella, l’osservatore rischia addirittura il contatto con il vetro frantumato. Questo rischio, al pari della barriera fisica dell’ingabbiatura di acciaio, rammenta all’osservatore sensazioni di paura e di isolamento, pervadendo così il lavoro di sentimenti di esperienza condivisa. Ugualmente monumentali come le ‘celle’ di Bourgeois sono i peculiari calici in cedro di Ursula von Rydingsvard. Czara z Babelkami, una delle più notevoli sculture prodotte dall’artista di origine tedesca, è alta più di 16 piedi (quasi 5 metri). Il nome dell’opera, che alla lettera può essere tradotto come ‛calici con bollicine’, evoca una combinazione di sfumature di significato sia per l’artista che per l’osservatore. La forma di un calice, un antico tipo di contenitore magico, è resa manifesta tramite la figura principale della scultura; quando la visione è frontale, Czara z Babelkami si restringe dalla cima in direzione della base di 11 piedi (poco più di 3 metri circa)16. ‛Babelkami’ alla lettera significa ‛bolle’ in polacco, in relazione con il gorgogliare topografico della struttura del cedro. Sulla superficie di Czara z Babelkami emerge una fantasia, come se queste babelkami sporgessero fuori dalla facciata tramite un reticolo allentato che si allunga e si sporge in varie aree lungo l’intricato piano. Ciò crea un battito ritmico che scorre lungo la superficie della scultura, suggerendo una vivacità sensuale come quella propriamente umana. In questo modo, complessiva-mente, la forma del calice di von Rydingsvard non va a connotare semplicemente la forma di un ‛czara’, ma anche una forma propriamente Art21, Ursula von Rydingsvard. An Interview: Childhoon and Influences, PBS.org, 2010, Web. 01 NOV. 2010, http://www.pbs.org/art21/artists/vonrydingsvard/clip2.html. 322 16

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umana. La scelta del materiale per Czara z babelkami da parte dell’artista incoraggia la sensazione organica, come se il ‘calice’ venisse abitualmente fuori dal cedro. I tagli mossi all’interno della superficie della struttura, poi, espongono una varietà di ombre di legno color carne, mentre la superficie annodata crea un vivido gioco di luci e ombre lungo i pomelli e le tasche. Nata nel 1942 da padre ucraino e madre polacca, Ursula von Rydingsvard è stata profondamente plasmata dalle sue prime esperienze, fatte di scontri e di povertà 17. Ursula von Rydingsvard passò gran parte della sua giovinezza prima nei campi di lavoro agricolo nazisti, dopo in nove diversi campi per rifugiati nella Germania del dopoguerra, prima che la sua famiglia si stabilisse definitivamente negli Stati Uniti nel 1950 18. Durante questo periodo di avversità, von Rydingsvard visse sotto «baracche di legno costruite approssimativamente», sopravvivendo davvero con poco19. In un articolo, intitolato Ursula von Rydingsvard Sculpts and Metaphor in Wood, Avis Berman ha scritto: «il rispetto dell’artista per i materiali organici e verso la dignità del lavoro, e ancora il senso di sconfitta e di dolore, e i ricordi persistenti che danno forma al suo lavoro, possono essere la traccia retrospettiva di queste esperienze formative»20. Le tavole in cedro di 4x4 inches (10x10 cm) di von Rydingsvard si intrecciano introspettivamente con i suoi ricordi dello studio a Brooklyn. Lei stessa ha ammesso: «se avessi dovuto mostrare qualcosa di visibile che provenisse dai campi in modo più diretto attraverso il mio lavoro, è che stavamo in delle baracche - con pavimenti, muri e soffitti in legno grezzo. Sento particolarmente che è questo che alimenta il mio lavorare col legno».21 Analizzando il lavoro, nel modo in cui i crepacci e le protuberanze di Czara z Babelkami formano esattamente un pattern di superficie elaborato, si rivela un’«intricata mappa di significati»22. Una traduzione alternativa del termine polacco ‘babelkami’ fa spendere di nuova luce il significato degli imponenti ‘czara’. Alla lettera è ‘bolle’, ma il termine polacco ‘babelkami’ viene anche usato per descrivere un particolare tipo di cucitura, detto ‘punto petalo’ (popcorn stitch), che si trova spesso sui tessuti di lana. In un’intervista con Art21, l’artista ha descritto questa associazione introspettiva nei termini dell’esperienza della propria infanzia: Quando ero piccola (nei campi per rifugiati in Germania) possedevo un maglione che è stato fatto a mano, con lana di pecora non sbiancata. Su di esso vi era uno splendido punto petalo (babelkami), sul reticolo che si trovava in corrispondenza della parte superiore del corpo. E di certo, alla lunga (non perché ne avessi altri in più... a dire il vero era l’unico maglione che avevo durante questi anni) si era consumato alle maniche, attorno alle spalle e all’altezza della pancia, così tanto da sembrare uno di quei modelli da ribelle. Il reticolo era andato distrutto. Divenne organicamente imprevedibile. Iniziò ad allargarsi. Iniziò a decadere. Berman Avis, Ursula von Rydingsvard Sculpts Metaphor in Wood, in Smithsonian Magazine, Aprile 1998, pp. 98-107. 18 Anderson-Spivy, Alexandria. The Sourceress of Cedar, in ArtNet, 27 Aprile 2010, Web, 01 NOV 2010, http://www.artnet.de/magazine/the-sorceress-of-cedar/. 19 Ibid. 20 Berman Avis, Ursula von Rydingsvard Sculpts Metaphor in Wood, cit. 21 Ursula von Rydingsvard, Art21, cit. 22 Young Dede, Phillips Patricia C., Ursula von Rydingsvard: On an Epic Scale, Neuberger Museum of Art, 2002. 323 17

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Alla luce di questa connessione, Cara z Babelkami di von Rydingsvard assume un nuovo tipo di espressione emotiva. In questo sguardo dell’autrice, i pomelli sporgenti dalla facciata della scultura possono essere visti come un tentativo di von Rydingsvard di ricreare la comodità e familiarità di questo maglione speciale, da lei posseduto quando era ancora una giovane ragazza in un campo per rifugiati. Come per «i suppellettili che erano scarsi e tutti i beni domestici che divenivano preziosi, utensili essenziali alla sopravvivenza», questo maglione incarna le speranze giovanili dell’artista come resistenza nel bel mezzo della disperazione23. Czara z Babelkami di Ursula von Rydingsvard, proprio come Cell (Glass Spheres and Hands) di Bourgeois, prende forma innanzitutto attraverso un’interpretazione della propria esperienza, e tramite la prospettiva dell’espressionismo. Come per Bourgeois, von Rydingsvard, nel suo lavoro, parla attraverso l’utilizzo della metafora. Czara z Babelkami sta a simboleggiare il maglione preferito dell’infanzia dell’artista quello che ha adorato nel corso di tutti e sei gli anni spesi tra campi di lavoro e campi per rifugiati. Di questo maglione speciale, con rifiniture a punto petalo, von Rydingsvard ha detto: Mi avvolgeva lungo le strade, che avevano per lo più paesaggi montuosi - una sorta di paesaggio verticale composto da ogni sorta di rientranza e da crepacci, cime e cose del genere. E ricordo davvero di averlo sentito sul mio stesso corpo, come avverso ad esso e allo stesso tempo in grado di avvertirne la morbidezza, nonostante fosse molto logorato. E mi ricordo il sole urtare sul mio corpo24.

Effettivamente, accettando la prospettiva già nota della presenza figurata di un corpo umano all’interno delle sue sculture in cedro, von Rydingsvard evoca la forma stessa del suo maglione, consumato da essa stessa durante la sua giovinezza, in quanto «metafora per un desiderio ed uno sforzo più intimo»25. Ursula von Rydingsvard discende nel suo passato colmo di dolore per esplorare, attraverso l’arte, i suoi sentimenti d’infanzia. Per von Rydingsvard, però, «l’arte può allo stesso tempo esprimersi, e fornire conforto dai terribili eventi dei tempi storici che qualcuno vive»26. Questo aspetto del lavoro dell’artista richiama la teoria strumentalista dell’espressionismo di Leo Tolstoy, in cui l’arte viene valutata per il suo impatto morale estrinseco. Dal punto di vista di Tolstoy, poiché l’arte facilita la comunicazione e la connessione emozionale, l’artista «deve portare l’osservatore verso una maggiore consapevolezza, e renderlo capace di sentire e avere bisogno degli altri»27. Stando a questa prospettiva, il proposito di Czara z Babelkami di von Rydingsvard è quello di esprimere le sensazioni delle persone - al contempo giovani e anziane - racchiuse all’interno di circostanze ingiuste, con la speranza di generare nell’osservatore un certo senso di comprensione. Anderson-Spivy, Alexandria. The Sourceress of Cedar, cit. Ursula von Rydingsvard, Art21, cit. 25 Castro Jan Garden, Topography of the Soul: A conversation with Ursula von Rydingsvard, in Sculpture Magazine, Vol. 26, No. 1 Gennaio/Febbraio, 2007, pp. 22-27. 26 Ibid. 27 Barrett Terry, Why is That Art?: Aesthetics and Criticism of Contemporary Art, Oxford University Press, Oxford, 2008, p. 60. 324 23 24

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In un’intervista con Art21, von Rydingsvard ha spiegato: [...] All’interno di un’opera che possiede una tremenda agitazione e del senso di agonia, ci può essere comunque qualcosa di molto calmo e silenzioso, di molto lirico e al contempo umano. Nonostante sia immersa nel contesto di qualcosa che sente il pieno di questa violenza, chi osserva può sentire qualcosa di umile, che si prova, nonostante l’opera sia in grado di accarezzarti sulla testa in un modo molto più delicato28.

Sia Louise Bourgeois che Ursula von Rydingsvard attingono dalla loro esperienza dell’infanzia al fine di creare un’arte che comunichi la potenza dei sentimenti personali attraverso le metafore. La rabbia di Bourgeois, la sua paura, la sua frustrazione, che hanno avuto origine nel corso della sua travagliata infanzia, sono espresse con ardore in Cell (Glass Spheres and Hands). Il lavoro implica la solitudine di una bambina all’interno di una casa anormale, nonché l’inquietudine e la frustrazione che sono necessariamente parte di questa esperienza. Allo stesso modo, le memorie dell’infanzia passata in campi nazisti e dopo in campi per rifugiati, l’infanzia di von Rydingsvard, infondono su Czara z Babelkami i sentimenti desolati propri di una bambina innocente, tenuta in un infecondo sfondo emozionale e fisico. Entrambe le opere espongono temi che si focalizzano sul corpo umano e «sul suo bisogno di nutrimento e protezione all’interno di un mondo spaventoso»29. Difatti, mentre le ‘celle’ offrono un posto di difficile contemplazione per l’osservatore che partecipa alla creazione stessa del loro significato, le bolle in cedro di von Rydingsvard comunicano sensazioni di trauma «minacciose e austere» 30, ma in un modo umile e delicato. Avis Berman ha scritto di von Rydingsvard: «molte delle sue enormi sculture in cedro fanno riferimento alla sua giovinezza, ma non in un modo che possa risultare freddo, arrabbiato, indignato o tetro. Al contrario, sembrano nodosamente complesse, proprio come lo sono le persone»31. [tr. it. di Fabio Lusito]

Ursula von Rydingsvard, Art21, cit. Cfr. Cotter Rachel, My Art is a Form of Restoration, cit. 30 Berman Avis, Ursula von Rydingsvard Sculpts Metaphor in Wood, cit. 31 Ibid. 28 29

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