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Prisca Amoroso - Gianluca De Fazio Spielraum. Il gioco come rapporto libero col mondo Abstract: The paper attempts to read the theme of Play through the Merleau-Ponty's concept of Spielraum. We argue that this concept allows a non-dialectical reading of the theme, through a complementarity structure that includes Seriousness and Play. The aim of the paper is to argue that Play sets an original and ontological field, the Spielraum indeed, where subject and object are included and co-determined. We start from Frederik J.J. Buytendijk‟s studies on Play to demonstrate the non-deterministic structure of Play and its ontological relevance. We also suggest some consonances with other thinkers such as Deleuze and Nietzsche. L‟articolo tenta una tematizzazione del gioco attraverso il concetto merleau-pontyano di Spielraum. Riteniamo che questo concetto permetta una lettura non dialettica del tema, indagato attraverso una struttura di complementarità, che include gioco e serio. Obiettivo dell‟articolo è sostenere che il gioco costituisca un campo originario ontologico, lo Spielraum appunto, ove soggetto e oggetto sono inclusi e si codeterminano. Prendiamo le mosse dagli studi di Frederik J.J. Buytendijk per mostrare la struttura nondeterministica del gioco e la sua rilevanza ontologica. Suggeriamo, inoltre, alcune consonanze con altri pensatori, tra cui Deleuze e Nietzsche. Keywords: Merleau-Ponty, Buytendijk, Ontology, Body, Play. Parole chiave: Merleau-Ponty, Buytendijk, ontologia, corpo, gioco Peer-reviewed Article. Received: August 03, 2015; Accepted: September 06, 2015

*** Il pensiero filosofico contemporaneo ha indagato variamente la questione del gioco, la cui portata ontologica è stata intuita, e approfondita, da più parti. L‟opera di MerleauPonty, che presenta soltanto pochi cenni espliciti al tema, costituisce nondimeno una fonte feconda per una riflessione su di esso, come avvertito già da Frederik J.J. Buytendijk. Molte sollecitazioni del pensiero merleau-pontyano vengono incontro alle esigenze di un‟indagine del gioco inteso come spazio pre-dialettico, non ultimo l‟originale uso dell‟idea di Spielraum. Il termine, usualmente tradotto come „margine‟ o come „campo d‟azione‟, significa d‟altronde, letteralmente, „spazio di gioco‟. L‟idea permette, come tenteremo di mostrare, un superamento della dimensione dialettica in direzione di un pensiero pretetico, anti-dualistico e, in definitiva, complesso. Un recupero degli studi di Buytendijk - per gran parte passati inosservati nel dibattito italiano -, accompagnerà la riflessione attorno alle questioni dell‟alterità e della gratuità, strettamente allacciate al tema maggiore. 1) Lo scandalo biologico dell’allegrezza. Superare la dialettica gioco-serio Uno dei problemi con cui ogni analisi filosofica del gioco deve confrontarsi è il rapporto che intercorre tra gioco e serio. Già Huizinga1 definiva il gioco come qualcosa che, nella consapevolezza del giocatore, è altro dalla vita vera, una parentesi felice e gratuita. Ma, allo stesso tempo, affermava che questa differenza non si dà come dicotomia. Piuttosto, il gioco „comprende‟ il serio, in virtù della loro differenza di natura. Come sciogliere questo apparente paradosso? È importante slegare il gioco da una dialettica di contrapposizione, che ne ridurrebbe la differenza fondamentale ad un‟evasione dal dominio, ontologicamente preminente, del 1

J. Huizinga, Homo ludens, tr. it. di C. van Schendel, Einaudi, Torino, 2002.

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„serio‟. Come il serio non è la negazione del gioco, il gioco non è un momento negativamente determinato di un‟originale serietà. Crediamo sia esigenza della filosofia cogliere il gioco in ciò che di positivo presenta: un rapporto differente con il mondo, un commercio affettivo, un legame erotico, che, indipendentemente dal rapporto diretto con l‟elemento sessuale - nei termini di un „accoppiamento‟ del corpo con le cose aveva descritto Merleau-Ponty la percezione tutta - è carico di un valore di benessere, e portatore della gioia del prendere parte corporalmente a forme e qualità. La gratuità, l‟assenza di orientamento verso uno scopo, l‟impulso confuso o sovrabbondante, l‟originalità, la mancanza di equilibrio e l‟incoerenza sono, per Buytendijk, i «doni giovanili del gioco»2. Il gioco sfugge al dominio della necessità biologica e del finalismo utilitario, si rivela come un segno, un‟ombra di libertà nella sfera vitale. Ciò non comporta un declassamento della dimensione corporale. Al contrario, un rapporto affettivo implica, prima di tutto, che la partecipazione al campo sia una partecipazione corporea, che vi sia una tensione del corpo verso un altro corpo (umano, animale, inanimato). L‟affettività è, in un certo senso, sempre erotica. È erroneo pensare gli impulsi e i sentimenti come stati puramente interni. La gioia ci viene dal mondo e mediante esso: viene provata nel mondo. L‟animale gioca con delle immagini che giocano con lui. Così facendo, non è in rapporto con ciò che ha una valenza strettamente biologica, né con qualcosa che non abbia a che fare per niente con la sua sfera vitale, rispetto a cui resti indifferente: l‟occupazione ludica è una relazione dell‟animale con ciò che, nella biosfera, è per lui senza importanza ma non senza interesse3, e in questo rapporto non c‟è che scoperta gratuita. Buytendijk ha dedicato pagine interessanti alla libera esplorazione operata dalla mano del primate. Con la posizione eretta, essa, affrancata da condizioni biologiche cui sarebbe asservita per necessità vitale, libera, vacante, vuota, è dunque disponibile ad un commercio non determinato con gli oggetti materiali, che divengono, letteralmente, a portata di mano. La mano libera lavora per se stessa, diviene strumento dei suoi propri scopi, e non esercita soltanto una funzione tecnica, ma suscita un‟esperienza erotica potenzialmente illimitata 4, che rivela all‟individuo il proprio corpo e quello altrui5, apre ad un rapporto d‟aderenza con l‟oggetto, in cui il soggetto si trova impegnato interamente. L‟esplorazione tattile è come una danza, un insieme senso-motorio costituito in virtù di una coerenza, di una correlazione con le cose: la manipolazione è uno scambio simpatetico di movimenti attivi e passivi, ed è mediante questo scambio che il soggetto entra gioiosamente in contatto con il mondo. Buytendijk ha concepito l‟attività animale come una relazione di „senso‟ col mondo, ovvero come movimento espressivo. In ogni movimento espressivo, si ritrovano le caratteristiche dell‟azione e, in ogni azione, dei fattori espressivi, e non si può vedere nel movimento espressivo - come vorrebbe un darwinista - le vestigia di un‟azione significativa caduta in disuso, degradata. Al contrario, il movimento espressivo è il fatto primario: esso ha il senso di un‟interruzione, di una separazione e insieme di un‟associazione tra il soggetto e il suo mondo; instaura un‟unità fluida, organica, in continua trasformazione, tra l‟animale e l‟ambiente. Con l‟espressione l‟animale „saluta‟ la situazione6: non più univocamente determinato dall‟ambiente, gioca con esso senza intrattenervi alcuna 2

F.J.J. Buytendijk, Traité de psychologie animale, trad. fr. di A. Frank-Duquesne, PUF, Parigi, 1952, p.131. Ivi, p.132. 4 Ivi, p. 301. Cfr. anche, dello stesso autore, El juego y su significado, Galo Saez, Madrid, 1935. 5 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, tr. it. di A. Bonomi, Bompiani, Milano, 2009, pp. 220242. 6 F.J.J. Buytendijk, Traité de psychologie animale, cit., p.121 3

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relazione strutturale infrangibile, assoluta, che non si possa sciogliere mediante l‟esercizio libero della vista, del tatto, dell‟odorato. L‟animale può guardare un oggetto o volgere lo sguardo altrove, occuparsi gratuitamente delle cose, senza intenzioni precise. Questa funzione la troviamo massimamente visibile nel gioco 7. Lo scimpanzé che lascia filtrare la sabbia tra le dita, che giocherella con essa, la tratta come un oggetto manipolabile e ludico, proprio come fa l‟uomo: in quel gesto, la sabbia dello scimpanzé è la medesima - vale a dire che possiede lo stesso „senso‟ - della sabbia che l‟uomo fa filtrare tra le dita8. In questa presa di contatto con l‟ambiente, mediante cui l‟animale elabora a poco a poco il suo specifico modo di correlazione con esso9, vi è un‟unità intima e diretta, una simbiosi, che rende disponibile alla scoperta lo spazio abitato e che fa sì che il soggetto partecipi alla struttura dinamica degli eventi: la situazione diventa „sua‟10. Così, per esempio, in una lettura darwinista, gli uccelli canterebbero per assicurare la riproduzione, il loro canto si sarebbe sviluppato nel corso dei secoli, in virtù di una sollecitazione sessuale; ma la più semplice osservazione ci insegna che gli uccelli cantano ben più frequentemente e in molte più occasioni, di quanto il darwinismo possa spiegare. La ragione è che il canto, come il gioco, non è motivato primariamente da ragioni di utilità, finalistiche: esso ha origine in una tendenza all‟espansione, propria a tutte le forme di vita, che, nel mondo animale, si esprime come impulso primitivo primordiale, come movimento spontaneo11. Il corpo, spazio eminentemente espressivo, talvolta - scrive Merleau-Ponty si limita ai gesti necessari per la conservazione della vita, e, correlativamente, pone attorno a noi un mondo biologico; talvolta, giocando su questi primi gesti [...], manifesta attraverso di essi un nuovo nucleo di significato: è il caso delle abitudini motorie come la danza.12

È ciò che Buytendijk chiama «lo scandalo biologico dell‟allegrezza»13. L‟allegrezza, l‟esuberanza sono essenzialmente ricchezza, surplus, superfluo, e dunque inspiegabili in un quadro deterministico. Buytendijk distingue, allora, due domini: quello della necessità biologica, „inambiguo‟, e quello della gratuità, „ambiguo‟, attribuito soprattutto all‟umano ma le cui frontiere restano di difficile delineazione. Bisognerà compiere un ulteriore superamento di questa classificazione: esso era stato avanzato già da Merleau-Ponty14, e la neurologia contemporanea stessa riconosce come nessuno stimolo sia del tutto estraneo all‟ambiguità15. Il problema è connesso a quello dell‟empatia, del rapporto con l‟altro inteso in senso lato. Per esempio, la capacità del bambino o di taluni animali di distinguere certi gesti espressivi - come un sorriso o un‟alterazione del viso dettata dall‟ira -, che la psicologia classica spiegava sulla base della somiglianza con un evento passato in cui si fossero sperimentate personalmente la gioia o la collera, è piuttosto dovuta alla reciprocità, non all‟analogia, delle nostre intenzioni in rapporto a quelle altrui. Così, anche nell‟imitazione 7

Ivi, p.117. Un mondo immediatamente comune all‟uomo e all‟animale sorge quando entrambi si abbandonano a esso ludicamente. Cfr. ivi, p.394. 9 Ivi, p.168. 10 Ivi, p.326. 11 Ivi, p. 239. 12 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 202, corsivo nostro. 13 F.J.J. Buytendijk, Traité de psychologie animale, cit., p. 312. Di scandalo Merleau-Ponty parla proprio in riferimento al problema dell‟altro: «L‟esistenza dell‟altro costituisce una difficoltà e uno scandalo per il pensiero oggettivo.» Fenomenologia della percezione, cit., p. 453. 14 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., passim. 15 G. Edelman, Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, tr. it. di S. Frediani, Einaudi, Torino, 2004, p. 29. 8

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di un altro che ci sta di fronte, non abbiamo bisogno di una ricostruzione verbale o cosciente per comprendere che la mano che appare alla destra del mio campo visivo è la mano sinistra della persona che osservo: nell‟imitazione la mia mano sinistra si identifica direttamente con la mano sinistra dell‟altro, in un‟aderenza immediata16. La nostra capacità di comprendere gesti ambigui si fonda sul legame affettivo che intratteniamo col mondo: nel percepire il gesto altrui noi „diveniamo‟ l‟altro, nella misura in cui lo comprendiamo. Si tratta di un‟invasione dell‟altro in me, e insieme di un essere captati dall‟altro17, che già Wallon metteva in relazione con la funzione posturale (l‟assorbimento posturale), mediante la quale governiamo noi stessi e l‟altro. Il corpo, come capacità di Einfühlung, è identificazione con l‟alterità, e dunque desiderio, «e la percezione una modalità del desiderio, un rapporto d‟essere e non di conoscenza» 18. 2) Essere secondo l’altro L‟oggetto di fronte al soggetto comporta e mantiene un elemento dinamico 19, risponde con la propria presenza attiva, si pone come soggetto a propria volta. Così, il fenomeno dello specchio insegna al bambino che egli non è soltanto ciò che è ai propri occhi, ma è anche come gli altri lo vedono20. E, ancora, nelle pagine della Fenomenologia della percezione che riguardano il corpo come essere sessuato, Merleau-Ponty riflette sui sentimenti, alternativi o confusamente coesistenti, che il soggetto prova nell‟esibizione del proprio corpo all‟altro: da un lato, il timore che il proprio corpo gli venga sottratto come tale, rapito dallo sguardo estraneo che percorrendolo lo farebbe oggetto; dall‟altro, l‟intento di affascinare, la speranza che il proprio corpo provochi, viceversa, l‟abbandono a esso dell‟altro, che, privo di difesa, si farebbe oggetto esso stesso. Questa ambivalenza presenta lo schema della dialettica servo-padrone: per riconoscermi soggetto devo assoggettare; riconoscendo la soggettività altrui mi faccio oggetto. Ma si tratta di un «vicolo cieco, poiché nel momento in cui il mio valore è riconosciuto dal desiderio dell‟altro, quest‟ultimo non è più la persona da cui io desideravo essere riconosciuto, è un essere affascinato, senza libertà, e che a questo titolo per me non conta più»21. Ma, ci sembra, la dialettica hegeliana deve essere superata in una dialogica 22, che non miri allo scioglimento della contraddizione, ma se ne faccia carico. Io e il mio oggetto non possiamo esistere se non nella tensione che ci trascina, in una reciproca determinazione, e in questa tensione non ci sono definitivamente vincitori né vinti. La chiave del superamento della dialettica sarà allora il gioco, come rapporto affettivo con l‟altro: è in un gioco dialogico, piuttosto che in una dialettica - mirante ad una soluzione -, che i rapporti si producono. 16

M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 196 e Il bambino e gli altri, a cura di P. Filiasi Carcano, Armando Editore, Roma, 1993, pp. 85-86. F.J.J. Buytendijk, Traité de psychologie animale, cit., pp. 329-330. Già M. Scheler (Essenza e forme della simpatia, a cura di L. Boella, Franco Angeli, Milano, 2010) aveva decisamente rifiutato la teoria classica dell‟associazione. 17 M. Merleau-Ponty, Il bambino e gli altri, cit., 1993, p. 132. 18 M. Merleau-Ponty, La natura, a cura di M. Carbone, Raffaello Cortina, Milano, 1996, p. 307. 19 F.J.J. Buytendijk, Traité de psychologie animale, cit., p. 298. 20 M. Merleau-Ponty, Il bambino e gli altri, cit., p. 144. Merleau-Ponty si confronta con Henri Wallon e Jacques Lacan. Sul problema dello specchio, cfr. J. Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell'Io, XVI Congresso internazionale di psicoanalisi, Zurigo, luglio 1949 in Scritti, trad. it. di G. Contri, Einaudi, Torino, 1974, p. 87 e segg. Commenta Winnicott: «Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me di solito ciò che il lattante vede è sé stesso. In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge» D.W.Winnicott Gioco e realtà, tr. it. di G. Adamo e R. Gaddini, Armando Editore, Roma, 1971, p. 177. 21 Ivi, p. 235. 22 Cfr. E. Morin, La conoscenza della conoscenza, tr. it. di A. Serra, Feltrinelli, Milano, 1993, p. 112 e segg.

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Se, come visto, a partire dal mio corpo comprendo il corpo dell‟altro è perché «il corpo proprio è premonizione dell‟altro e l‟Einfühlung eco della mia incarnazione»23. E ciò non si dirà soltanto per la fase della prima infanzia. L‟indistinzione tra l‟io e l‟altro, sperimentata nei primi mesi di vita, riappare, o meglio permane, in esperienze successive, per esempio nell‟amore. In verità, essa non viene mai superata: «[a]mare è inevitabilmente una situazione di fusione con l‟altro»24, che comporta, da un lato, il dare all‟altro credito al di là di quanto non si possa effettivamente provare, ma, allo stesso modo, comprendendolo come soggetto, accogliere «uno stato di insicurezza, perché il dubbio [...] è sempre possibile»25. Ma, poiché «l‟amore stesso crea da sé la propria verità o la propria realtà»26, il sentire un‟identificazione con l‟altro, al di là e contro il solipsismo, significa accogliere il fatto che l‟io non esiste se non in rapporto all‟altro - o almeno al fantasma dell‟altro27. Questa reciprocità è ciò che, riteniamo, ci fa giocare col mondo. Ma non basta. Non basta riconoscerla, fissarla in un concetto e renderla un ente metafisico: lungi dall‟essere una „cosa astratta‟, questa reciprocità è un processo, come un flusso che ci trasporta nella tensione. Essa è presente nel rapporto erotico con il corpo dell‟altro, già operante nel bambino – quando si dimostra capace di indicare con la parola „mano‟ oggetti molto diversi (la propria mano, quella di suo padre, la fotografia di una mano), o di riconoscere con sorprendente familiarità le parti di un corpo disegnato anche grossolanamente, o del corpo di un animale28, perché, come detto, si trova in uno stato di indistinzione io-altro, che fa sì che non vi sia un preciso riconoscimento dei confini tra il proprio corpo e l‟altrui. Proprio in quanto processo, la reciprocità è facilmente perduta. Storicamente, miti, tabù e riti hanno favorito la sua rimozione: la rimozione di quelle somiglianze e di quell‟Ineinander che porta, da un lato, sgomento e terrore - l‟angoscia ancestrale di perdere la propria unicità: si pensi all‟inquietudine che accompagna in molte società l‟esistenza dei gemelli29 - e, dall‟altro, vertiginosa meraviglia - il desiderio di «inabissarci in quel che ci somiglia, di perderci nell‟estasi di quell‟abbraccio, di smarrire ogni confine figura-sfondo e dissolverci in altro»30. Così, per esempio, l‟anoressia è letta da Girard31 come ambizione prometeica a trasformare il cibo in una „cosa‟ sulla quale poter esercitare un controllo totale, negandone l‟influenza su di sé. In questo controllo, lo sguardo altrui si fa esso stesso cosa, sempre più astratto e impersonale, non-soggettivo, e mantiene il solo ruolo di riconoscere la capacità posseduta dall‟anoressica di controllare se stessa e il mondo. Di nuovo, una dialettica servo-padrone, di cui l‟anoressica sente, se riesce nei propri obiettivi, di tenere le fila: ella vuole essere eletta a modello mimetico dagli altri e porsi come autonoma e desiderata, in quanto non-desiderante. Ma le sfugge, tragicamente, l‟inevitabile carattere desiderante del proprio stesso sguardo: nel voler avere tutti come spettatori, non si accorge di eleggere

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M. Merleau-Ponty, Il filosofo e la sua ombra in M. Merleau-Ponty Segni, a cura di A. Bonomi, NET, Milano, 2003, p. 229. 24 M. Merleau-Ponty, Il bambino e gli altri, cit., p. 147. 25 Ibidem. 26 Ibidem. 27 M. Merleau-Ponty, Il filosofo e la sua ombra, cit., p. 228. «La vera solitudine trascendentale [...] ha luogo solo se l‟altro non è nemmeno concepibile, e ciò esige che non ci sia neppure un io per rivendicarla. Noi siamo veramente soli unicamente a condizione di non saperlo, la nostra solitudine è questa stessa ignoranza. [...] La solitudine da cui emergiamo alla vita intersoggettiva non è quella della monade: è solo la nebbia di una vita anonima che ci separa dall‟essere; la barriera tra noi e l‟altro è impalpabile». 28 M. Merleau-Ponty, Il bambino e gli altri, cit., p. 139. 29 R. Girard, La violenza e il sacro, tr. it. di O. Fatica e E. Czerkl, Adelphi, Milano, 2011, p. 201 e segg. 30 S. Manghi, La conoscenza ecologica, Milano, Raffaello Cortina, 2004, p. 109. 31 R. Girard, Anoressia e desiderio mimetico, tr. it. di C. Tarditi, Lindau, Torino, 2009

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tutti a modello mimetico, «Che la sua esistenza, la sua stessa sopravvivenza fisica, è appesa al filo - allo sguardo - di quel tutti»32. Il fatto è che noi siamo sempre secondo l‟altro, ma questa circostanza può darsi in due sensi diversi: nel riconoscimento del nostro pur inconsapevole mimetismo, oppure nel suo misconoscimento, che provoca un‟idea dell‟altro - in qualunque senso lo si intenda - come ostacolo alla nostra personale originalità. Forse nessuno meglio di Nietzsche ha riconosciuto la facilità con cui la reciprocità è perduta: si può ritenere che la sua filosofia vitalista consista proprio nel riconoscimento della facilità con cui si disimpari a giocare. Tutte le cose in quanto sono presenti per il bambino - inteso come tipo ontologico - entrano in relazione dialogica con lui, si trovano „animate‟, interroganti e rispondenti esse stesse a loro volta. Risulta dalla dinamica propria del gioco che esso si faccia sempre in un‟interazione reciproca con un „altro‟ che reagisce al giocatore: il soggetto subisce l‟influenza dell‟oggetto, nella sua propria attività; allo stesso tempo, l‟oggetto non ha indipendenza che in virtù del suo stesso assoggettamento. Non giochiamo mai senza un oggetto che, a sua volta, gioca con noi. Ma, a rigore, la parola „oggetto‟ non è adeguata. Più il bambino si rivolge a esso, più questo si anima33. Così l‟oggetto ludico ha le caratteristiche di un‟immagine, di una figura, di un segno, perché esso è una realtà, sì indipendente, ma che nondimeno segnala un‟alterità al di là di se stesso, si supera34. Il gioco dell‟animale provoca il contro-gioco dell‟oggetto che non cessa di reiterare la creazione dello iato soggetto-oggetto, da cui nasce una nuova meraviglia e, volta per volta, un movimento nuovo, volto a superare lo iato stesso35: in altri termini, nel gioco la correlazione soggetto-oggetto36 offre le condizioni del suo proprio superamento, ma, come si è visto, si tratta di un divenire processuale e ogni superamento è destinato a riprodurre lo iato. 3) Spielraum e spazi vitali intermedi. Come il gioco comprende il serio Nei paragrafi precedenti, abbiamo tentato di indicare come una dialettica, hegelianamente intesa, sia insufficiente a rendere conto della ricchezza delle relazioni che il soggetto intrattiene con l‟altro, sia esso inteso come altro umano, animale, finanche inanimato. Qualsiasi oggetto - è questo un risultato faticosamente raggiunto da più voci nel Novecento - oppone al soggetto una propria resistenza, rivendica il proprio essere qualcosa di più, e di diverso, che il suo contraltare. Dinnanzi a questa scoperta, che costituisce di fatto un cambio di rotta senza precedenti rispetto alla lezione cartesiana, la filosofia contemporanea arrangia le sue nuove istanze. Ci sembra che uno dei risultati più maturi che essa abbia conosciuto sia appunto l‟opera di Merleau-Ponty e da questa traiamo l‟idea di Spielraum, margine, campo, letteralmente spazio di gioco, che viene incontro all‟esigenza di ripensare la dialettica in favore di una dialogica. Il termine contiene due elementi importanti: da un lato, il riferimento a una dimensione topologica, da cui soggettività, oggettività, relazioni non sono mai esenti - scrive MerleauPonty che la Carne non è mai indipendente da un luogo37-, dall‟altro, la suggestione che questa dimensione accolga un „gioco‟.

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S. Manghi, La conoscenza ecologica, cit., p. 112. F.J.J. Buytendijk, Traité de psychologie animale, cit., p. 268. Cfr. anche, dello stesso autore, Il football, Vita e pensiero, Milano, 1954. 34 Cfr. D.W. Winnicott, Gioco e realtà, cit. 35 F.J.J. Buytendijk, Traité de psychologie animale, cit., p.134. 36 Ivi, cit., p. 122. 37 M. Merleau-Ponty, La natura, cit., p. 324. 33

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Il corpo non percepisce e, più in generale, non agisce se non in un campo percettivoesistenziale ovvero in un campo-da-gioco, che letteralmente traduce Spielraum38: noi siamo sempre in un determinato campo-da-gioco e, dice Merleau-Ponty, al di fuori dello Spielraum, non si può percepire alcunché. Il campo dona senso ai rapporti che avvengono al suo interno39, ma non gli preesiste: non preesiste ai rapporti che esso articola, ma è la loro stessa articolazione. E‟ un punto complesso: un campo-da-gioco non ha senso al di fuori del gioco stesso (non necessariamente un gioco determinato, nel senso che nulla vieta che uno stesso campo da gioco possa servire a più giochi differenti). I rapporti che si danno all‟interno dello Spielraum, lungi dall‟essere oggettivamente dati, sono rapporti di produzione in funzione delle singolarità del campo. Proprio in quanto non oggettivamente dati, non definitivamente determinati, essi non possono neppure trovarsi in relazione dialettica. Essi sono al di qua della dialettica, sono rapporti pre-individuali e finanche trans-individuali, cosicché il pre-determinativo non è un mero oggetto-negativo, ma piuttosto un pullulare di microsingolarità non determinate, che non sono né un nulla40 né prive di uno statuto ontologico41: il pre-determinativo, in quanto indeterminato, produce delle differenze. L‟indeterminato non è mera passività, ma è sempre al lavoro, in continua produzione: tra un individuo determinato ed un altro non c‟è né un‟assenza-assoluta, né giustapposizione, bensì relazioni transindividuali. Perché ci riferiamo all‟attività nel campo come ad un gioco? Il gioco presenta sempre innumerevoli livelli, come una serie di cornici che delimitano le situazioni (facciamo che io sono lo sceriffo, tu sei il criminale, questo bastone è il mio cavallo, quello il tuo fucile), cornici che non sono assolute (lo stesso bastone diventa cavallo, diventa fucile, diventa un mestolo) che si concatenano tra loro tirandosi dietro gli „attori‟ (lo sceriffo, il criminale, la mamma) che li usano. Ugualmente, il divenire non è necessariamente irreversibile, ma consiste, piuttosto, di slittamenti di posizionamento nello Spielraum. Se un bambino sta giocando a fare lo sceriffo e incontra una bambina ed essi decidono di giocare insieme, ecco che l‟intero Spielraum si ristruttura: l‟incrocio dei campi dei due bambini ha prodotto un nuovo campo dove il concatenamento può diventare bambino-bambina-bastonemotorino-adulti innamorati. Questi posizionamenti differenti, in cui lo Spielraum si articola, sono ciò che differenzia le singolarità, individuandole. Lo Spielraum stesso non è unico, univoco, ma un incrocio di campi, possibile in virtù dei rapporti transindividuali che la determinazione non elide, che l‟individuazione lascia operativi, seppure „silenziosi‟ ed „anonimi‟, per dirla con MerleauPonty. Il bambino che abbandona lo status di figlio, ad esempio, non per questo nega quello status. Il gioco si situa, a nostro avviso, proprio sulla soglia tra questi campi, e lo Spielraum è ciò che nomina questa soglia42. Giocare significa limitare sempre su una soglia di 38

Questo termine indica uno spazio-di-gioco inteso come soglia differenziale - come una vite ha margini di gioco nel foro, ecc. Nel pensiero dell‟ultimo Merleau-Ponty questo concetto è simile ad un campo d‟immanenza che articola le singolarità pre-individuali. Il campo (ontologico) è dunque la soglia, il margine (come margine di miglioramento, margine di modifica, e non solo come costrizione), limite del massimo e del minimo di determinazione. Cfr. Ibidem e ivi, p. 137. Sull‟immanenza nel pensiero di Merleau-Ponty si veda: N. Seggiaro, La chair et le pli: Merleau-Ponty, Deleuze e la multivocità dell’Essere, Mimesis, Milano, 2009. 39 «Ogni volta che il corpo si pone come agente nel mondo, prendendo il campo percettivo quale campo di azione possibile, stabilisce una norma funzionale», P. Amoroso, Prospettive ecologiche nell’opera di Merleau-Ponty, “Discipline filosofiche”, 2, 2014, XXIV, (a cura di L. Vanzago), Quodlibet, Macerata, p. 221. 40 M. Iofrida, Per una storia della filosofia francese contemporanea, Mucchi, Modena, pp. 103 e segg. 41 Cfr. M. de Gainza, Il limite e la parte, in: E. Balibar e V. Morfino (a cura di), Il transindividuale, Mimesis, Milano, pp. 92 e segg. 42 Ubaldo Fadini ha recentemente messo in luce come in Walter Benjamin svolga un ruolo centrale il concetto di Hundertprozentingen Bildraum, in certo senso complementare a questo merleau-pontyano. Sarebbe

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concatenamenti, di rapporti trans-individuali. Ora, questo limitare è un processo che agisce per gradi, per massimi e minimi, un processo né deterministico né necessariamente regolare (non è detto che l‟intervento della bambina, nell‟esempio citato, dia automaticamente un nuovo concatenamento di gioco. Possono verificarsi scenari differenti: il bambino torna alla realtà oggettiva, finisce la „magia‟ e non ha più voglia di continuare a giocare). Dunque, campi differenti non si escludono reciprocamente: si intrecciano, si incrociano. Un gioco così concepito - come movimento libero e ricco che esprime la modalità ontologica della produzione delle individualità come articolazione di rapporti transindividuali -, si libera, aprendo ad un superamento della dialettica, dall‟opposizione con il serio, e „comprende‟ il serio. Le articolazioni all‟interno dello Spielraum rappresentano delle soglie, una scala di gradi, di modi differenti di individuazione: il serio rappresenta il grado 0 di gioco, stando dunque in rapporto al gioco in termini differenziali (il serio come elemento differenziale del gioco). Ciò produce una sorta di principio di complementarietà. Mutuiamo il concetto dalla fisica: la complementarietà mette in relazione enti di diversa natura. In meccanica quantistica, essa indica i rapporti che intervengono, per esempio, tra il comportamento ondulatorio e quello corpuscolare della luce e della materia. Onda e corpuscolo non possono essere pensati in modo dialettico in quanto sono enti di natura differente: i corpuscoli sono cose, le onde effetti. La loro articolazione non può essere dialettica in quanto l‟onda non è la negazione di corpo, bensì è un‟alterità rispetto a quest‟ultimo43. Non si tratta di una sussunzione, di una sintesi dialettica tra serio e gioco: il serio rappresenta un modo particolare di articolazione nello Spielraum. Viceversa, la dialettica necessita del principio di Identità per operare e l‟Identità è sempre riferita al determinato, non al pre-determinativo. Solo quando si ha a che fare con individui determinati, le connessioni dialettiche prendono il via: ecco allora che il bambino è non-adulto; il gioco non-serio; il serio non-gioco, ecc. Comprendere la differenza di natura tra gioco e serio significa anche concepire una complementarietà tra le due soglie, una complementarietà differenziale e non sussuntiva. Il bambino che smette di giocare ad un gioco determinato entra in un gioco nuovo, incrocia un nuovo campo44. Nello Zarathustra, il bambino è la „tipica‟ dello Übermensch45, la sua modalità d‟essere, il suo divenire, non un superuomo fallico, ma fanciullo che gioca e giocando resiste all‟oggettivazione, allo Spirito di gravità dell‟Uomo. Il gioco, così inteso, non è altro che l‟essere al mondo, o meglio: giocare è vivere e il gioco è la vita stessa. Lo

interessante sviluppare l‟idea nell‟ottica di un pensiero sul gioco: letteralemente Hundertprozentingen Bildraum significa Spazio di Immaginazione assoluta. Bisogna però fare attenzione: esso non è uno spazio immaginativo, prodotto, cioè, da una immaginazione conscia e dunque, in un certo senso, chimerico, bensì uno spazio intermedio tra sensibile ed intelligibile dove i punti del campo si sottraggono ai movimenti dialettici - e non dialogici - della logica del riduzionismo. Secondo la nostra lettura, allora, lo Hundertprozentingen Bildraum è un residuale ad ogni azione inserita in un ambinente extra-darwiniano irriducibile ad un esterno-assoluto. Cfr. U. Fadini, Divenire corpo, Ombrecorte, Verona, 2015, pp. 34-36. 43 Sui rapporti tra Merleau-Ponty e i concetti quantisici, in particolare la complementarietà, si veda G. De Fazio, L’Essere pre-logico. Una lettura ontologica della meccanica quantistica a partire da Merleau-Ponty, “Discipline filosofiche”, 2, 2014, XXIV, (a cura di L. Vanzago), Quodlibet, Macerata, pp. 102-106. 44 Così, per Bencivenga , tutto è gioco, il gioco comunemente inteso essendo soltanto un‟attività con un indice di ludicità spiccatamente alto. E. Bencivenga, Filosofia in gioco, Laterza, Roma-Bari, 2013. 45 «Ridere è affermare la vita e, nella vita, anche la sofferenza; giocare è affermare il caso e la sua necessità; danzare è affermare il divenire e, del divenire, l‟essere.», G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, a cura di F. Polidori, Einaudi, Torino, 2002, p. 255.

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Spirito di gravità, come ha messo in luce Deleuze46, è nichilistico nella misura in cui rifiuta il lancio di dadi, la contingenza della vita, cercando un senso trascendente, assoluto, cercando un valore „serio‟ - oggettivante - alla vita, che possa riscattarla dal non-senso apparente del divenire. Per dirla con Merleau-Ponty, il valore del bambino, che crea giocando, con leggerezza, danzando, col lancio di dadi, consiste nell’ «essere attivamente ciò che siamo per caso» 47. Proprio del bambino è di creare (creare forme, colori, immagini, situazioni, trasformazioni, valutazioni) ma senza un fine che sia estraneo alla creazione stessa (la bambina non gioca con le bambole per imparare a diventare mamma, è la surcodificazione sociale a mettere in campo il concatenamento serio femmina-donnamadre48). La creazione del bambino è gratuita nella misura in cui non ha un fine trascendente, ma trova in se stessa il proprio senso: il fine della creazione è creare. Il bambino è il „tipo‟ della leggerezza. Il bambino danza, ovvero ha un rapporto autentico e profondo coi corpi, il bambino è un divenire-corpo e un divenire-corpo è, reciprocamente, un divenire-bambino. E danza in quanto esprime il corpo, esprime la sua nervatura col mondo, che, a differenza del mondo dell‟adulto, è ancora indiviso, un campo totale: per il bambino, il mondo intero non è altro che un enorme campo-da-gioco. Il bambino, è ciò che resiste allo Spirito (di gravità) e al Corpo-Oggettivo partes extra partes. 4) Conclusioni Abbiamo cercato di mostrare come gioco e serio presentino una differenza di natura, che fa sì che il serio sia compreso dal gioco non come sua opposizione dialettica, ma come soglia interna a quello Spielraum che pensiamo come una totalità di spazi intermedi dove non si è mai pienamente determinati. Il serio si configura, nella prospettiva che abbiamo proposto, come grado 0 nella scala del gioco. Come ha sostenuto Bencivenga49 - ma, con sfumature diverse, l‟idea è già di Huizinga -, il gioco costituisce una dimensione ontologica più ampia del serio: è in questo senso che essi sono di natura differente e che il gioco, inteso ora come campo, Spielraum, può racchiudere il serio. Un basso indice di ludicità, in una teoria, in un‟azione, in un sentimento, significherà, allora, il misconoscimento del divenire, la fissità che non conosce alternative compossibili, che non sa vedere «con la coda dell‟occhio»50 altri mondi, altri campi, altre determinazioni potenziali del campo, che perde il carattere evenemenziale dell‟esistenza, dei ruoli, dei pensieri. Viceversa, entrare nel gioco, cioè muoversi nel campo con consapevolezza della lateralità di eventi, di identità e finanche degli stessi universali 51, comporterà un riconoscimento della porosità di tutte le cose, della sinuosità del loro corso, della permeabilità dell‟io, dell‟ambiguità di ogni percezione, azione, pensiero, che Merleau-

46

Usiamo qui il termine nichilistico nella sola accezione reattiva e sussuntiva: «Lo sforzo volto a negare le diferenze si inserisce nella tendenza più generale che consiste nel negare la vita» Ivi, p. 68; Cfr. ivi, pp.221223. 47 «In ciò consiste il valore: nell'essere attivamente quello che siamo per caso, nello stabilire con gli altri e con noi stessi quella comunicazione resaci possibile dalla nostra struttura temporale e di cui la nostra libertà è solo l'abbozzo», M. Merleau-Ponty, Il romanzo e la metafisica, in: M. Merleau-Ponty, Senso e non senso, tr. it. di P. Caruso, Saggiatore, Milano, p. 60. 48 Cfr. J. Butler, Fare e disfare il genere, a cura di F. Zappino, Mimesis, Milano, 2014, pp. 158-161. 49 E. Bencivenga, Filosofia in gioco, cit., passim. 50 A.M. Iacono, Gli universi di significato e i mondi intermedi in A.M. Iacono, A.G. Gargani, Mondi intermedi e complessità, ETS, Pisa, 2005, pp.5-39. 51 M. Merleau-Ponty, La natura, cit., passim.

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Ponty ha indicato come capacità propria al filosofo52, la cui virtù è l‟andamento claudicante53: l‟opera [filosofica] è costituita da un senso in divenire il quale si viene costruendo in accordo ma anche in contrasto reattivo con se stesso, [...] una filosofia è necessariamente una storia (filosofica), uno scambio tra problemi e soluzioni, dove ogni soluzione parziale trasforma il problema iniziale, in modo che il senso dell‟insieme non le preesiste, se non come uno stile preesiste a delle opere e solo a cose fatte sembra annunciarle.54

Non è estraneo a tale riconoscimento dell‟ambiguità e dell‟alterità, a questo vedere con la coda dell‟occhio, il volgere lo sguardo altrove di cui parlava Buytendijk: lo sguardo svincolato dalla necessità biologica, vagante, errante - in entrambi i sensi della parola -, scandaloso, che è lo sguardo della meraviglia. Il bebè osserva la propria manina e ride, e ridendo si supera55, si anima. Derrida avvicina il filosofo alle cicale di Platone56, che una volta furono uomini che per cantare dimenticarono di bere e di mangiare. «“Io filosofo” può voler dire: in quanto uomo, io sono una cicala,[...] ricordare me a me stesso è ricordare me al canto e alla musica» 57.

52

M. Merleau-Ponty, Elogio della filosofia, tr. it. di E. Paci, SE, Milano, 2008, p. 12. Ivi, p. 64. 54 Ivi, p. 26. 55 F.J.J. Buytendijk, Traité de psychologie animale, cit., p. 133. 56 Platone, Fedro, 258e-259d. 57 J. Derrida, L’animale che dunque sono, tr. it. di M. Zannini, Jaca Book, Milano, 2006, pp. 94-95. 53

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