la prima serie «Billions» è il titolo della serie televisiva trasmessa da Showtime a partire dal 17 gennaio 2016. La scrittura, opera di Brian Koppelman, David Levien e Andrew Ross Sorkin (giornalista finanziario del «New York Times»), rinnova il classico meccanismo “guardia e ladri”, aggiornandolo al campo della Borsa e della Procura di New York (Southern District). Ne deriva un gioco di potere, tanto moderno nelle sfumature quanto perenne nella sostanza. Il primo riferimento è l’Oliver Stone di «Wall Street», più nella versione del 2010 che in quella, celeberrima del 1987. Il duello è fra Chuck Rhoades (Paul Giamatti), un procuratore federale in ascesa che non ha ancora perso un caso, e Bobby “Axe” Axelrod (Damian Lewis), multimilionario al vertice di una spregiudicata compagnia finanziaria. Impossibile stabilire un confine fra il Bene e il Male, fra crimine e giustizia: il pubblico è destinato a dividere le sue simpatie fra l’uno e l’altro personaggio.

Rhoades è incorruttibile, scaltro, alto borghese, figlio di un alto magistrato. Tipico self made man, Axelrod è nato povero e ha moltiplicato la sua fortuna alla Axe Capital, rimanendo l’unico socio in vita dopo gli attentati dell’11 Settembre 2001. Un ruolo essenziale è svolto dalle affascinanti mogli dei due protagonisti. Wendy Rhoades (Maggie Siff) è una psicologa che lavora per la società di Axe, guadagnando otto volte più del marito; la loro intimità trova la sua massima intensità nei rituali sadomaso. Lara Axelrod (Malin Akerman) non ha ruoli pubblici, ma vive una condizione di piena e totale complicità con il marito, aiutandolo in vari modi (per esempio, minacciando la vedova che intende pubblicare un libro di memorie da cui Bobby avrebbe qualche danno reputazionale).

Sia Rhoades che Axelrod possono contare su un folto gruppo di collaboratori, motivati al limite del fanatismo: il loro movente è elementare – i dollari – con una sola differenza, l’agenzia finanziaria paga subito, la procura distrettuale apre la strada a ricchezze future. Axelrod è un bersaglio difficile, Rhoades deve provare la sua colpevolezza in qualche truffa, ma sa di poter fallire e rovinarsi definitivamente, schiantandosi contro un avversario che si è costruito la fama di benefattore e riscuote le simpatie di chi si è fatto da sé, ha superato ogni ostacolo ed è arrivato in cima. L’ufficio del procuratore si muove con circospezione, ma la posta in gioco è subito chiara, e i due contendenti si lanciano continui segnali in codice.

Fra Rhoades e Axelrod è in atto una guerra dichiarata, giocata in punta di fioretto, ma con un retrogusto sanguinoso: per vincere, non intendono fare prigionieri. Sono arroganti, a volte crudeli; per entrambi, avere scrupoli equivale a mostrarsi deboli. Filosoficamente parlando, se parliamo di arricchirsi tramite speculazioni, entriamo in un ambiente dalle griglie molto elastiche. Il punto di partenza è l’asimmetria informativa: qualcuno può trarre vantaggio dal possedere informazioni indisponibili ad altri. Informazioni che possono provenire da svariate fonti. “I soldi non sono mai abbastanza”, dice Axelrod a un collaboratore demotivato. E intanto lui vive come fosse al di sopra della legge, perché sa di poterla comprare almeno un po’.

Il meccanismo “guardie e ladri” ha le caratteristiche dell’inseguimento: la distanza fra chi acchiappa e chi sfugge è mutevole, il cacciatore e la preda possono invertirsi di ruolo. Di nuovo, è una questione di informazioni: anche la preda può colpire o ricattare chi la insegue. Il mondo della finanza è complesso, molti dialoghi procedono con uno slang imperscrutabile, e anche il mondo giuridico è pieno di sofismi ma sono dettagli di poco conto: la posta in gioco è sempre chiara. Colpire un ricchissimo speculatore, nell’America post Lehman Brothers, è la miglior base di partenza per una folgorante carriera politica; Rhoades-Giamatti è un U.S Attorney, l’equivalente del Pubblico Ministero italiano. Ma la “gente” è affascinata dal successo, da chi ce l’ha fatta, come Axelrod-Lewis: l’invidia tende a cedere il passo all’omaggio, all’applauso verso chi ha tagliato per primo il traguardo. La caratterizzazione fisica dei personaggi non è certo casuale. Il procuratore distrettuale è sempre in giacca e cravatta, mentre lo squalo dell’alta finanza indossa jeans e magliette, alla Mark Zuckerberg o alla Steve Jobs. Gli uffici della “legge” sono paludati, assai poco luminosi, moquette e mobilio scuro. Gli uffici della Axe Capital sono un trionfo di vetrate e high-tech, alle pareti quadri di arte contemporanea. Entrambi i protagonisti hanno bisogno di “sfogare” la tensione con pratiche conosciute solo da pochi intimi: Axelrod può spendere cifre

iperboliche per seguire un concerto dei Metallica o per comprare una villa sull’oceano; Rhoades gode nel farsi sottomettere dalla moglie nei loro periodici rituali sadomaso.

Bobby Axelrod è l’incarnazione del Sogno Americano: un uomo di umili origini che si è costruito un impero dal nulla. Non si sente colpevole di alcun reato, è convinto di fare come tutti, in Borsa, solo con più acume e coraggio. Rischia tanto perché il denaro è solo uno strumento, gli serve per fare quello che vuole quando vuole: partire con gli amici d’infanzia sull’aereo privato per andare in Quebéc a un concerto dei Metallica, giocare a golf in Scozia, farsi proiettare «Quarto potere» in pellicola nella sala cinematografica casalinga… Chuck Rhoades è invece convinto che Axelrod sia un malfattore. Che stia al vertice di un’impresa criminale che manipola il mercato e spreme ricchezza da ogni possibile insider trading. Consapevole di dover colpire un nemico che muove montagne di soldi, il procuratore non intende fermarsi di fronte ad alcuna pressione psicologica: “Se ha un punto debole, bisogna girarci dentro il coltello”, dice ai suoi collaboratori, parlando di un broker di Axelrod. Come capo di una procura federale, Rhoades può usare l’Fbi e dispone di un gruppo di fedelissimi segugi, animati da ambizioni smodate: “Arriverai a difendere gli stessi ricchi stronzi che mandi in galera adesso”, dice Bryan (Toby Leonard Moore), il vice di Rhoades alla bravissima, ambiziosissima Kate (Condola Rashad). Ma la seducente collaboratrice afro-americana punta direttamente alla Casa Bianca.

Dotate di una notevole sensualità, la bruna Wendy e la bionda Lara non sono mogli-trofeo e tantomeno remissive: in certi ambiti, come l’educazione dei figli, pretendono di avere l’ultima parola, mostrano una notevole influenza sui rispettivi mariti, senza mettere mai in dubbio l’autorità del capofamiglia. Nel corso delle indagini diventa esplicito il conflitto di interesse del procuratore federale: la moglie lavora per Axelrod, a cui è legata da un rapporto molto amichevole. Verso metà stagione, diventa cruciale rispondere alla domanda: a chi è davvero fedele Wendy Rhoades? Se lo chiedono sia il marito che il datore di lavoro. Sembra che lei operi per evitare una lacerazione traumatica, vuole comporre il conflitto, ma come possono vincere entrambi, o almeno crederlo? Sono gli avvocati a trovare la formula: patteggiamento. Bobby Axelrod si dichiara disponibile a firmare un patteggiamento che preveda una gigantesca multa (1,9 miliardi di dollari) e l’interdizione dalle transizioni borsistiche per un certo intervallo di tempo. Ma Rhoades vuole qualcosa di più: un’ammissione di colpevolezza, la definitiva uscita dal giro della finanza. L’accordo salta. La guerra riprende, più accanita di prima. Più dissimulata che mai.

Figure speculari, Bobby Axelrod e Chuck Rhoades sono innanzitutto dei manipolatori. Usano le persone, sanno come far emergere i punti deboli, gratificano o colpiscono con la stessa noncuranza. Conoscono a menadito le regole del gioco, come piegarle alle loro convenienze. Per salvare il matrimonio, Rhoades decide di ricusare il Caso Axelrod. Finge di non occuparsene più, ma in realtà continua a ispirare il lavoro di Bryan (spesso manipolandolo). Alla moglie, Rhoades dice di voler valutare le

dimissioni dall’incarico pubblico e con tutta la circospezione del caso si fa ricevere da un importante e “lucroso” studio legale, che gli offre 50 volte il suo stipendio, 9 milioni di dollari all’anno. A sua volta, Wendy si affida a un amico “cacciatore di teste” per valutare l’uscita dalla Axe Capital, riceve un’offerta meravigliosa, ma al marito riferisce solo parte della verità e infine rimane nell’agenzia finanziaria.

Al continuo gioco di specchi fra i Rhoades e gli Axelrod, contribuiscono anche il numero dei figli (due, per entrambe le famiglie) e i problemi educativi. Lara Axelrod vorrebbe che i figli fossero più reattivi e autonomi, meno avvolti nella bambagia: sia lei che Bobby hanno avuto un’infanzia difficile, hanno dovuto imparare a cavarsela in situazioni scomode. Sull’altro lato, i Rhoades meditano di cambiare lavoro, ma usano il costo della scuola privata (70.000 dollari all’anno) come una delle scuse per non accettare riduzioni di reddito. I personaggi di Bryan e Kate cominciano a manifestare un profilo interessante. Fra i due c’è un’evidente attrazione, ma entrambi sono ossessionati dal lavoro e anche quel feeling deve sottostare alle apparenze dell’ufficio del procuratore. Disseminati nella trama, alcuni rapporti erotici gay o lesbo, prontamente utilizzati come arma di ricatto. Fra i registi coinvolti, Neil Burger, Neil LaBute, James Foley e Michael Cuesta; fra le guest star, Rob Morrow e Harry Lennix.

In fondo, la posta in gioco è una parvenza di Giustizia. Non quella cieca, ma quella che ci vede benissimo; quella che si sporca le mani con gli scambi di favori, i ricatti, le alleanze. E come per Al Capone, se non si può dimostrare che è un assassino, si può provare a colpirlo sull’evasione fiscale. Il nucleo portante della trama si focalizza sull’intensa relazione fra Bobby e Wendy. Cresce l’ostilità – variante della gelosia – fra Lara e Wendy. “Ti fidi troppo di lei”, dice Lara a Bobby. “Hai passato più tempo con lui che con me”, sibila Chuck a Wendy. Bobby Axelrod e Chuck Rhoades manifestano egocentrismi incontenibili, un orgoglio parossistico, il bisogno di dimostrare di essere i migliori. Ed è questo che li porta a commettere errori. La scrittura degli autori, tuttavia, non li rende immuni al rimorso, al senso di colpa.

Il fascino di Bobby è quello del bandito che rompe le regole della società; un tipo alla Jesse James, alla Billy the Kid, alla Butch Cassidy. L’ultima curva della trama vede Bobby convincersi di essere stato tradito da Wendy: le aveva rivelato una verità compromettente, sicuro del segreto professionale. Sa di poter perdere tutto e applica a Wendy un odioso ricatto (sessuale). La donna comprende di essere stata usata dal marito. Ne deriva una magnifica scena, illuminata dalla bravura di Giamatti. Wendy lo costringe ad andarsene di casa, poi mostra la verità dei fatti a Axelrod. Il conflitto non è più rimarginabile, il procuratore Rhoades non potrà sfruttare quel che sa, ma sua moglie non lavorerà più alle Axe Capital.

Il finale di stagione è intelligente, deliberatamente preparatorio della seconda serie. I due protagonisti sono soli, uno di fronte all’altro, indeboliti entrambi, incattiviti oltre ogni soglia di riparazione.

È poker giocare in Borsa? Oppure è un gioco in cui chi vince conosce anche le carte degli altri? “Che cosa ho fatto di male, a parte fare soldi?, chiede Bobby Axelrod. “C’è solo una cosa più pericolosa di un uomo con risorse illimitate. Un uomo che non ha nulla da perdere”, replica Chuck Rhoades.

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