ISSN 2037-6677
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GUINEA BISSAU – Grave crisi politico-istituzionale nel Paese di Francesco Campodonico
Il 12 Agosto 2015, a seguito di contrasti politici insanabili tra il Presidente della Repubblica, José Mário Vaz, il Primo Ministro, Domingos Simôes Pereira, e il Presidente dell’Assemblea nazionale popolare, Cipriano Cassama (il Parlamento è monocamerale), il Presidente emanava il Decreto Presidencial n. 5/2015, con il quale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 69, comma 1, lett. b) e 104, comma 2, della Costituzione (per cui è consentito al Presidente della Repubblica licenziare il Governo, con suo decreto, nei soli casi di «grave crisi politica che ponga in pericolo il normale funzionamento delle istituzioni della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e con assenso dei partiti politici rappresentati in Parlamento»), il Governo veniva dimesso dalle sue funzioni. Pochi giorni dopo, con il successivo Decreto presidencial n. 6/2015, il Presidente Vaz nominava un nuovo Primo Ministro, nella persona di Baciro Djá, allora vicepresidente del partito di maggioranza relativa in Parlamento, il Partido Africano da Independência da Guiné e Cabo Verde (PAIGC). Tuttavia, nel corso di un giudizio amministrativo sulla validità di un atto del nuovo Governo, presieduto da Baciro Djá, veniva sollevata, innanzi al Supremo Tribunal de Justiça – giurisdizione di ultima istanza del Paese, incaricata della verifica di costituzionalità delle leggi sulla www.dpce.it
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base dell’art. 126 Cost. –, questione incidentale di costituzionalità del Decreto presidencial n. 6/2015. Con l’acordão n. 1/2015, il Supremo collegio, pronunciandosi in via definitiva sull’incidente di costituzionalità, rilevava l’incostituzionalità del decreto presidenziale citato per violazione dell’art. 68, lett. g), Cost. Tale articolo, infatti, prevede che il Presidente della Repubblica possa nominare e esonerare dalla carica di Primo Ministro «tenendo conto dei risultati elettorali e dopo aver sentito le forze politiche rappresentate nell’Assemblea nazionale popolare». Nel caso di specie, il Presidente, invece, aveva nominato Baciro Djá senza il consenso del suo stesso partito, cioè del PAICG, che aveva riproposto il nome del Primo Ministro uscente, Domingos Simôes Pereira. Nella loro pronuncia, i giudici affermavano che la precisazione («tenuto conto dei risultati elettorali…»), contenuta nell’art. 68, lett. g), della Costituzione, non è «mero esercizio di pratica politica o un rituale esercizio della libera discrezionalità del Presidente della Repubblica, ma un sublime dovere giuridico-costituzionale, il cui rispetto è necessario per la salvaguardia della legittimità democratica dei risultati elettorali». A seguito di questa pronuncia, il Presidente della Repubblica nominava, su indicazione della direzione del PAICG, un nuovo Primo Ministro nella persona di Carlos Correia. Ai sensi dell’art. 85, lett. d), della Costituzione, tuttavia, all’Assemblea nazionale popolare spetta l’approvazione (a maggioranza) del programma di governo e, qualora questa approvazione non avvenga, è previsto che un nuovo dibattito sul programma governativo debba svolgersi entro 15 giorni. Nel caso in cui neppure questa seconda votazione dia esito positivo, ai sensi dell’art. 104, comma 1, lett. b), vi è l’obbligo di dimissioni da parte del Governo. Il 23 dicembre 2015, Correia si presentava innanzi all’Assemblea nazionale popolare per ottenere l’approvazione del suo programma di governo. Durante la votazione, però, 15 deputati e membri del PAICG (Partido Africano da Independência da Guiné e Cabo Verde), guidati dall’ex Primo Ministro Djá, si astenevano assieme ai membri dell’opposizione, provocando il mancato raggiungimento della maggioranza (sui 101 membri dell’Assemblea, i voti a favore del programma sono stati solo 45).
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A seguito del loro comportamento durante il voto sul programma di governo, il 14 gennaio 2016, i 15 esponenti del PAICG venivano espulsi dal partito, che ne dava comunicazione alla Presidenza dell’Assemblea nazionale popolare, chiedendo che si facesse applicazione dell’art. 13 del Regimento interno dell’Assemblea (Lei n. 1/2010) e ne venisse dichiarata, pertanto, la perdita del mandato parlamentare. Il 15 gennaio 2016, non essendo in sessione l’Assemblea Nazionale Popolare, la Commissione Permanente – organo previsto dall’art. 95 della Costituzione, presieduto dal Presidente e composto dal Vicepresidente dell’Assemblea e dai rappresentanti dei partiti che hanno seggi in Parlamento – deliberava la perdita del mandato parlamentare per i 15 deputati espulsi dal PAIGC. Pochi giorni dopo, come previsto, l’Assemblea nazionale popolare si riuniva in sessione straordinaria, convocata dal Presidente dell’Assemblea. E, nonostante il Presidente avesse richiesto alle forze di sicurezza di impedire l’accesso all’aula ai 15 deputati “decaduti”, siccome i loro nomi risultavano ancora sulla lista dei deputati pubblicata in Gazzetta Ufficiale, su decisione del Comissário Nacional da Polícia da Ordem Publica, José António Marques, vennero fatti entrare comunque. A quel punto, il Presidente dell’Assemblea, ritenendo non sufficienti le condizioni di sicurezza per l’ordinato svolgimento della seduta (art. 24, comma 1, lett. e) del Regimento interno), la sospendeva, senza far procedere alla seconda votazione del programma di governo. Ad oggi la crisi non è ancora stata risolta ed il Presidente della Repubblica ha deciso di avviare una lunga fase di consultazioni, al fine di trovare una mediazione politica tra tutti i principali protagonisti delle ultime, complesse, vicende del piccolo, martoriato, Paese africano.
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