Il fact-checking oggi In 13 domande e risposte Pagella Politica - marzo 2017


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Presentazione

«Lo dicono i dati», «lo dicono i numeri», «questo è un fatto»: quante volte abbiamo sentito queste frasi? Siamo in un’epoca guidata dalla scienza, le ideologie non se la passano troppo bene: è meglio quindi che le opinioni siano fondate sui fatti - in quanto presunti oggettivi - e non sulle visioni politiche, pericolosamente opinabili. Già, ma quali fatti? I rappresentanti politici fanno largo uso di numeri e classifiche, li ripetono durante i talk show e le interviste. Spesso sono corretti; altre volte non lo sono, o hanno bisogno di contesto e spiegazioni. Questo è il lavoro di chi si occupa di fact-checking, una creazione recente, ma in grande crescita, nel panorama informativo di tutto il mondo. Lo scopo del fact-checking è quello di inserire maggiore obiettività nel dibattito pubblico, confermando o smentendo i fatti e i numeri che stanno all’origine di alcune dichiarazioni: non di dare indicazioni di voto, né di assegnare patenti di affidabilità. La quantità di informazioni che scorre davanti a ciascuno di noi ogni giorno è senza precedenti. Allo stesso tempo, sono nate nuove polarizzazioni tra gli schieramenti politici e nuovi strumenti per diffondere i loro messaggi. Crediamo che, in questo contesto, la verifica dei fatti svolga un ruolo importante e abbia un brillante futuro davanti. Per questo abbiamo scritto questa breve guida suddivisa in 13 domande per far conoscere meglio le sue origini, le sue caratteristiche principali e le sue molte declinazioni nel mondo. Una delle caratteristiche più spiccate di questo settore è la grande collaborazione internazionale: all’ultima riunione globale dei fact-checkers, a giugno scorso, è nata l’idea di una Giornata internazionale dedicata alla verifica dei fatti. Il 2 aprile sarà celebrata per la prima volta e con questo rapporto vogliamo dare il nostro piccolo contributo.

Giovanni Zagni 
 Coordinatore, Pagella Politica 30 marzo 2017

Contatti: [email protected] Facebook: PagellaPolitica // Twitter: @pagellapolitica


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Indice Presentazione

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1. Che cos’è il fact-checking?

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2. Quando è nato?

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3. Come è diventato famoso?

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4. Quando è arrivato in Europa?

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5. Quanti sono i fact-checkers nel mondo?

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6. I progetti di fact-checking sono tutti uguali?

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7. Come si finanzia il fact-checking?

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8. I fact-checkers hanno tutti lo stesso obbiettivo?

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9. Il fact-checking funziona?

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10. Quando è arrivato il fact-checking in Italia?

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11. Che impatto ha il fact-checking sul panorama dei media?

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12. Come funziona Pagella Politica?

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13. Fact-checking e fake news: qualcosa si muove?

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Per saperne di più

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1. Che cos’è il fact-checking? Per “fact-checking” si intende di solito la verifica dei fatti contenuti nelle dichiarazioni di figure politiche, o in subordine delle informazioni riportate dai media o da altre figure pubbliche. Il fine del fact-checking è soprattutto rendere al pubblico un servizio e promuovere un dibattito più informato e basato sui fatti. Il formato tipico prevede la presentazione di una dichiarazione politica e l’occasione in cui è stata pronunciata; la conferma o smentita del dato verificabile, spesso con l’aiuto di grafici o altre visualizzazioni; un “verdetto” o giudizio che riassume in estrema sintesi l’analisi svolta. Il verdetto è utile a rendere il contenuto comprensibile ai fruitori in modo più facile e veloce. La verifica si effettua con diversi strumenti, come la consultazione di banche dati (pubblicamente accessibili o meno, ma in ogni caso validate o fornite da enti di statistica o di ricerca), il ricorso a report o studi accademici sul tema da analizzare, la richiesta di un giudizio da parte di esperti. Le informazioni utilizzate per la verifica sono di solito messe a disposizione del pubblico, che le può consultare per valutarne l’affidabilità. Il fact-checking opera con modi e finalità simili, e talvolta sovrapposti, ad altre tipologie di lavoro giornalistico e analisi dei media o del discorso pubblico: un esempio di lavoro affine è il cosiddetto debunking, ovvero la smentita di affermazioni false, luoghi comuni o bufale, spesso di carattere scientifico. In questo ambito sono attive da diversi anni molte iniziative, come la statunitense Snopes o, in lingua italiana, l’attività giornalistica di Paolo Attivissimo. Se guardiamo al passato, l’attuale significato del termine fact-checking non è l’unico possibile: prima dello sviluppo del fenomeno di cui ci occupiamo, “fact-checking” designava la pratica di verifica, all’interno delle redazioni, delle informazioni contenute negli articoli destinati alla pubblicazione. Era insomma una pratica redazionale molto precisa e standardizzata, centrata solo sul lavoro dei giornalisti e non rivolta all’esterno. I lettori non ne vedevano i frutti, se non tramite l’accuratezza delle informazioni in pagina. Il fact-checking così inteso nacque nella stampa periodica statunitense nei primi decenni del XX secolo (uno dei primi esempi si trova in TIME, fondato nel 1923) e ha conosciuto una lunga e rispettabile vita. Con le prime avvisaglie della crisi dell’editoria, a metà degli anni Novanta, molti settimanali e mensili hanno però chiuso i reparti dedicati a quei controlli. Esempi superstiti sono le sezioni di fact-checkers del settimanale The New Yorker oppure, in Europa, quella del tedesco Der Spiegel.

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2. Quando è nato? I primi progetti di fact-checking - nel senso che abbiamo individuato all’inizio della risposta precedente - sono nati negli Stati Uniti all’inizio degli anni Duemila. Uno degli studi più recenti sul tema (Graves-Cherubini 2016, p. 6) identifica il primo nel sito Spinsanity, fondato nel 2001 da tre studenti americani da poco usciti dall’università. Il sito, che raggiunse una grande popolarità negli Stati Uniti, non è più attivo dal 2005. I loro fondatori hanno continuato con successo le loro carriere nell’ambito del giornalismo o dell’accademia. Nel 2003 è nato invece FactCheck.org, creato in ambito accademico presso l’Annenberg Public Policy Center della University of Pennsylvania, di cui costituisce un servizio no profit. Queste prime esperienze - una giornalistica, l’altra accademica mostrano già come il mondo del fact-checking abbia tra le sue caratteristiche fondamentali la varietà delle forme e delle realizzazioni concrete. Nell’agosto del 2007 è nato forse il più celebre progetto statunitense di fact-checking, PolitiFact, fondato dal giornalista politico Bill Adair all’interno del quotidiano della Florida St. Petersburg Times (oggi Tampa Bay Times). Adair era capo dell’ufficio di Washington per il Times ed era alla ricerca di modi nuovi di raccontare ai lettori la politica americana. PolitiFact deve almeno in parte il suo successo all’intuizione - ripresa poi da molti altri progetti - di assegnare ad ogni dichiarazione un “verdetto” di veridicità lungo una scala prefissata.

3. Come è diventato famoso? Negli Stati Uniti, i periodi di maggior attenzione per il fact-checking corrispondono senza dubbio con le lunghe campagne per le elezioni presidenziali. Il primo episodio che portò la “verifica dei fatti” alla ribalta risale al 5 ottobre 2004, durante un dibattito televisivo. I candidati alla vicepresidenza Dick Cheney e John Edwards stavano discutendo della multinazionale del settore petrolifero Halliburton, quando il conservatore Cheney invitò a verificare alcuni dati di cui stava parlando sul sito “FactCheck.com”. Cheney diede un’indicazione errata - l’indirizzo corretto era, ed è, FactCheck.org - e il caso vuole che il dominio “.com” fosse di proprietà di un imprenditore del settore web, Frank Schilling, che non aveva una grande simpatia per la causa repubblicana. Quando Schilling notò un enorme aumento di traffico su “FactCheck.com” decise, su due piedi, di dirottare tutto il traffico verso il sito GeorgeSoros.com, che in quel

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momento apriva con un editoriale dal titolo “Perché non dobbiamo rieleggere Bush”. Il caso ebbe grande risalto e contribuì a rendere più conosciuti i fact-checkers. Alle presidenziali successive, diventò celebre il fact-checking di FactCheck.org sul certificato di nascita di Barack Obama - la cui nascita nel territorio USA era messa in dubbio da alcuni conservatori - intitolato “Born in the USA” e pubblicato nell’agosto 2008. L’anno successivo, il già citato PolitiFact ottenne un premio Pulitzer per il giornalismo nazionale proprio grazie alla sua copertura delle elezioni. Infine, la conquista di un ruolo pubblico e di uno spazio nel dibattito politico USA da parte del fact-checking è stata evidente nel corso dei tre dibattiti tra i candidati presidenziali del settembre-ottobre 2016. I candidati Hillary Clinton e Donald Trump hanno fatto diversi espliciti riferimenti alla verifica dei fatti: Clinton disse rivolta agli ascoltatori, ad esempio, che la pagina principale del suo sito era stata trasformata per l’occasione del dibattito in uno strumento di verifica, di fact-checking appunto.

4. Quando è arrivato in Europa? I primi progetti di fact-checking nel continente europeo sono nati già a partire dalla metà degli anni Duemila. Nel 2005, primo in Europa, fu avviato un blog dal titolo “Factcheck” dall’emittente britannica Channel 4 (ancora attivo). Nel Regno Unito sono seguite le esperienze di “Reality Check”, un blog collettivo del quotidiano Guardian, e la fondazione della no profit Full Fact. Come negli USA, anche in Europa il fact-checking ha mostrato una grande versatilità di forme e applicazioni. Si è sviluppato sul web come frutto di progetti indipendenti, oppure all’interno di imprese editoriali autorevoli e avviate, o ancora tramite la radio o la televisione. Si possono individuare a grandi linee due tipologie europee di fact-checking su base geografica: nei paesi dell’Europa nord-occidentale prevalgono progetti di fact-checking all’interno di grandi media tradizionali, mentre nel Sud e nell’Est è maggiore la diffusione di iniziative legate a ONG e alla sfera dei new media (Graves-Cherubini 2016, p. 8). Oggi, oltre 30 progetti di fact-checking attivi e ben avviati operano in venti diversi paesi europei, pur con una grande varietà di strumenti, ambiti di sviluppo e risultati.

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Esempi Tra i progetti più rilevanti, citiamo le due esperienze nate all’interno di due grandi quotidiani francesi: le sezioni “Désintox” di Libération e “Les Décodeurs” di Le Monde, che si occupano di fact-checking delle dichiarazioni politiche e più in generale di fornire i dati sui temi di discussione più attuali. In ambito televisivo, un esempio notevole è la rubrica fissa “Prueba de verificación” nel programma “El Objetivo” della TV privata spagnola La Sexta. Con un pubblico di 1,5 2 milioni di spettatori a puntata, è con ogni probabilità il segmento di fact-checking che raggiunge regolarmente il numero di persone più ampio d’Europa. “El Objetivo” è condotto dalla giornalista Ana Pastor, molto nota anche per le sue interviste senza sconti ai politici spagnoli. In questo quadro, la verifica di una o più affermazioni politiche - a cui si dedica una squadra apposita all’interno della redazione - e l’assegnazione di un “verdetto“ sono un’ulteriore caratteristica distintiva del programma.

5. Quanti sono i fact-checkers nel mondo? Moltissimi, e il numero è in crescita. Secondo il censimento aggiornato periodicamente dal Duke Reporters’ Lab – istituto di ricerca della Sanford School of Public Policy presso la Duke University di Durham, North Carolina – a febbraio 2017 erano attivi nel mondo circa 120 progetti in oltre quaranta paesi del mondo. Il 90 per cento di essi è stato lanciato dopo il 2010; una cinquantina si trovano negli Stati Uniti, dove negli ultimi anni sono nati diversi progetti a livello locale. Tra i maggiori, vale la pena ricordare anche il “Fact-Checker” del Washington Post, il giornalista pluripremiato Glenn Kessler, che tiene una popolare rubrica periodica con quel nome. Fuori dagli Stati Uniti e dall’Europa, negli ultimi anni sono nate molte iniziative in tutto il mondo, legate a media già affermati o indipendenti (ci torneremo a breve). Senza nessuna pretesa di completezza, citiamo Aos Fatos e Agência Lupa in Brasile, la rubrica El Polígrafo del quotidiano cileno El Mercurio, FactChecker.in in India, South Asia Check in Nepal, tre diversi progetti in Corea del Sud… Alcuni progetti si rivolgono a pubblici di paesi dove la libertà di stampa è ridotta: ad esempio il Rouhani Meter, che tiene traccia delle promesse politiche del presidente iraniano Hassan Rouhani. Esso ha sede a Toronto, in Canada, all’interno di un progetto che ha ricevuto il sostegno iniziale della University of Toronto e che oggi è indipendente.

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Fig. 1. Paesi in cui hanno sede progetti di fact-checking (Elaborazione IFCN su dati DRL)

6. I progetti di fact-checking sono tutti uguali? No. A livello internazionale ed europeo, possiamo distinguere essenzialmente tre tipologie di organizzazioni dal punto di vista della natura giuridico-organizzativa: quelle legate a media tradizionali, le ONG e i progetti indipendenti. Le iniziative di fact-checking più rilevanti che si sono sviluppate nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Francia e in Spagna appartengono al primo gruppo e dipendono molto spesso da giornali o reti televisive nazionali. Si tratta di progetti che fanno parte delle redazioni giornalistiche e possono arrivare ad occupare anche molte persone: Les Décodeurs ne impiega dieci. Negli Stati Uniti gran parte delle iniziative sono di questo tipo, con alcune notevoli aggiunte legate al campo accademico o educativo. Tra queste, la già citata FactCheck.org, oppure due enti che svolgono un ruolo di studio e coordinamento a livello internazionale: il Duke Reporters’ Lab della Duke University e l’International Fact-Checking Network (IFCN), fondato nel 2015 presso il Poynter Institute. Un diverso tipo di iniziativa è invece costituito dalle ONG, ovvero i progetti di verifica del discorso pubblico avviati da organizzazioni non governative o fondazioni.

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Esempi notevoli si ritrovano nei Balcani, nei paesi dell’Est Europa e dell’ex blocco sovietico, con progetti come il serbo Istinomer del Centro per la Ricerca, la Trasparenza e la Responsabilità. Una ONG è anche il quadro giuridico in cui si muove il progetto turco di Doğruluk Payı. La britannica FullFact è un altro esempio nel campo delle no profit, così come l’argentina Chequeado, principale progetto della fondazione senza fini di lucro La Voz Pública. Non mancano anche nel settore delle ONG collegamenti con l’ambito accademico, come nel caso di Demagog, nato da studenti di scienze politiche di Brno (Slovacchia) e ampliatosi in Repubblica Ceca e Polonia. Fuori dall’Europa, la no profit Africa Check è stata fondata nel 2012 e ha la sua sede principale a Johannesburg (Sudafrica), all’interno del dipartimento di giornalismo dell’università di Witwatersrand. Una nuova sede del progetto, in lingua francese, è stata aperta a ottobre 2015 a Dakar, Senegal, presso la scuola di giornalismo EJICOM, mentre tra i paesi di attività si sono aggiunti Kenya e Nigeria. Infine, i progetti indipendenti come Pagella Politica non sono legati a media già affermati né ad associazioni senza fine di lucro. Sono solitamente società autonome che dunque trovano le proprie fonti di finanziamento tramite la vendita di prodotti editoriali o formativi. Un sondaggio dell’IFCN del giugno 2016 ha rilevato che circa un terzo dei progetti di fact-checking sono parte di una società media, un terzo appartiene a una ONG che svolge anche altre attività e circa un quarto è invece dedicato esclusivamente al fact-checking.

7. Come si finanzia il fact-checking? Le fonti di finanziamento principali, nel caso di progetti che fanno parte di università oppure di giornali o TV già noti, sono quelle dell’impresa editoriale o del dipartimento universitario di riferimento. Nel caso delle ONG, il finanziamento può avvenire tramite le raccolte fondi in proprio, oppure con il sostegno di grandi associazioni come l’Omidyar Network, il National Endowment for Democracy, l’Open Society Foundations, il Democracy Fund, la Knight Foundation e così via. Per questo motivo, le

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iniziative che utilizzano questi canali di finanziamento “occidentali” ricevono spesso critiche di parzialità ed eterodirezione in patria. Infine, ci sono alcuni progetti che sono giuridicamente società a scopo di lucro, come la stessa Pagella Politica. Esse si finanziano grazie alla vendita dei loro prodotti/servizi, alla partecipazione a bandi per lo sviluppo di progetti specifici e a campagne di crowdfunding. Queste ultime sono state lanciate con successo da diversi progetti di factchecking negli ultimi anni: per quanto abbiano raggiunto solitamente cifre comprese tra poche migliaia e alcune decine di migliaia di euro, sono la testimonianza della capacità dei fact-checkers di far leva sulle fonti di finanziamento rese possibili dall’ambiente web in cui operano, nonché genericamente sull’interesse da parte del pubblico a sostenere iniziative simili. A metà gennaio del 2017, PolitiFact ha lanciato un programma “premium” per alcuni dei propri lettori, proponendo formule differenti a partire da un contributo di 50 dollari: la campagna si è rivelata un grande successo, con entrate dichiarate per oltre 100 mila dollari nei primi venti giorni di apertura. Il già citato sondaggio dell’IFCN mostra che, dal punto di vista finanziario, la pratica è svolta da progetti che operano tendenzialmente con poche risorse: oltre il 70% ha un budget annuale inferiore ai 100.000 dollari, con una larga prevalenza all’interno di questo gruppo di iniziative con budget inferiori ai 20.000 dollari/anno (44,4% del totale).

8. I fact-checkers hanno tutti lo stesso obbiettivo? Le organizzazioni di fact-checking sono diverse tra loro e anche gli obbiettivi del loro lavoro possono essere un po’ diversi. Anche se la funzione fondamentale rimane la stessa – la verifica di dati e informazioni nel discorso pubblico e politico – i toni, i modi e il fine ultimo che si vuole raggiungere possono variare. Il modello delle ONG porta con sé, solitamente, l’impegno diretto per un miglioramento delle istituzioni democratiche dei paesi ospitanti, e/o il dialogo diretto con

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le istituzioni per cercare di migliorare l’accessibilità dei dati e delle informazioni ponendosi come consulenti, esperti, gruppo di pressione. Chi opera primariamente nell’ambito dei media, sia perché società a fine di lucro che punta a vendere i propri prodotti, sia perché parte di un giornale o di una televisione, tende a svolgere attività più prossime al lavoro strettamente giornalistico: il dialogo con le istituzioni è dunque in secondo piano rispetto a quello con il proprio pubblico, le campagne promosse sono più simili a quelle tradizionali dei media, l’imparzialità è uno dei valori fondamentali per acquistare o mantenere una reputazione di affidabilità e correttezza.

9. Il fact-checking funziona? Su questo punto c’è dibattito, tra gli esperti. Per quanto riguarda gli effetti sui politici, uno studio condotto su circa 1.200 politici nel corso della campagna elettorale del 2012 ha concluso che quelli a cui veniva ricordato che le loro affermazioni sarebbero state sottoposte a fact-checking avevano una minore probabilità di ricevere giudizi negativi da parte di PolitiFact e di essere messi in discussione pubblicamente per le loro dichiarazioni (Nyhan-Reifler 2013). La consapevolezza di un controllo a posteriori, insomma, potrebbe causare una maggiore attenzione alla veridicità delle affermazioni fatte in campagna elettorale. Per quanto riguarda il pubblico, è difficile arrivare a conclusioni univoche. Sicuramente c’è un forte interesse per il fact-checking: un sondaggio di NPR (National Public Radio) effettuato a novembre 2015 negli USA ha trovato che il 77 per cento dei rispondenti era “molto interessato” alla verifica delle dichiarazioni dei candidati alle elezioni, la percentuale più alta raccolta tra una decina di opzioni - tra cui “i sondaggi più recenti” e “articoli sul passato dei candidati” - e inferiore solo all’interesse per il risultato delle elezioni. Sembra però che, da parte dell’opinione pubblica (almeno americana) esista un problema di affidabilità dei giornalisti, cioè di coloro che effettuano il fact-checking: in un sondaggio effettuato a ottobre 2016 da YouGov, è stato chiesto a un campione di elettori statunitensi quanto si fidassero della verifica fatta da giornalisti ed esperti delle affermazioni dei candidati. L’89 per cento degli elettori di Hillary Clinton dichiaravano di avere complessivamente fiducia, mentre tra gli elettori di Trump la percentuale crollava al 23 per cento.

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Al di là dell’interesse e delle questioni di fiducia, c’è poi l’impatto concreto sulle conoscenze degli elettori e, più nello specifico, sulle decisioni elettorali. Sulla possibilità che l’audience del fact-checking cambi effettivamente idea dopo essere venuta a conoscenza della veridicità o meno di alcune affermazioni, uno studio del 2010 identificò addirittura un backfire effect, un “effetto boomerang”: un campione di elettori conservatori americani si era dimostrato più convinto della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq dopo aver ricevuto una correzione sulla loro effettiva inesistenza (Nyhan-Reifler 2010). Tuttavia, un altro studio pubblicato sei anni più tardi ha concluso che l’incidenza di questo “effetto boomerang” è in realtà assai limitata (Wood-Porter 2016). Gli stessi autori dello studio del 2010 hanno fornito nuovi dati, più di recente, a sostegno dell’efficacia del fact-checking nel far cambiare opinione a chi era in precedenza convinto della verità di un dato errato. «A volte le persone cambiano idea sui fatti», ha scritto di recente sul New York Times Brendan Nyhan, coautore dello studio del 2010 (Nyhan 2016). C’è poi il rovescio della medaglia, ovvero gli effetti della disinformazione. Altri studi hanno concluso che leggere molta informazione faziosa online aumenta la possibilità di restare convinti di fatti sbagliati, pur sapendo che non sono corretti (Garrett-Weeks-Neo 2016). E per quanto riguarda le scelte elettorali? Uno studio appena pubblicato su «Royal Society Open Science » (Swire-Berinsky 2017) ha concluso che, in sostanza, il fact-checking può cambiare la convinzione sulla verità o meno di un dato, ma non sposta i voti. In altre parole, può essere uno strumento utile contro la disinformazione; meno invece come arma di battaglia politica. Insomma, le ricerche nel campo sono cominciate da pochi anni, e nonostante gli studi siano già numerosi è presto per arrivare a conclusioni definitive.

10. Quando è arrivato il fact-checking in Italia? In Italia, il fact-checking si è inizialmente diffuso, più o meno in contemporanea con i maggiori progetti americani, su interesse di alcuni giornalisti particolarmente attenti all’evoluzione dell’ambiente dei media su Internet o alla divulgazione scientifica come Paolo Attivissimo e Luca Sofri, curatore per alcuni anni della rubrica “Notizie che non lo erano” sulla Gazzetta dello Sport. Alcuni progetti indipendenti con un’ottima reputazione nell’ambiente della Rete italiana, come il sito di analisi economica LaVoce.info, si sono sporadicamente impegnati nel fact-checking.

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Dopo un periodo di grande fermento e di creazione di progetti più o meno effimeri intorno al 2010, alcuni progetti hanno raggiunto una certa stabilità e diffusione, come ad esempio Politicometro, basato a Genova e attivo tra marzo 2012 e ottobre 2014. Alla fine del 2012 è nato anche il progetto Pagella Politica e a dicembre il blog sul quotidiano online IlPost.it del giornalista Davide Maria De Luca - oggi collaboratore di Pagella Politica - inizialmente dedicato al solo fact-checking di affermazioni fatte durante i talk show politici serali. Un interesse importante per la pratica del fact-checking fu dimostrato precocemente dal quotidiano La Stampa. In occasione della campagna elettorale del 2013, il 14 gennaio venne lanciata l’iniziativa La macchina della verità, per occuparsi appunto dei numeri citati nel corso della contesa prima del voto. Nello stesso periodo, un gruppo formato da Dino Pesole, giornalista del Sole 24 Ore, Massimo Leoni, della redazione di Sky Tg24, e Simonetta Pattuglia, docente di Marketing e comunicazione dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ideò l’esperimento del primo factchecking televisivo (quasi) in tempo reale, andato in onda per la prima volta nel novembre 2012 con il confronto tra i due candidati alle primarie del Partito Democratico Matteo Renzi e Pierluigi Bersani. Al momento non risultano attivi altri progetti di grandi dimensioni dedicati esclusivamente al fact-checking politico, mentre esistono almeno tre siti di rilievo dedicati al contiguo campo del debunking delle notizie false (ma senza uno specifico focus sulle dichiarazioni politiche): Butac – Bufale un tanto al chilo, Bufale.net e Debunking.it, generalmente molto attivi sui social network e dalla produzione costante. In campo scientifico e della salute, ha avuto una grande fortuna il blog del medico Salvo Di Grazia, Medbunker. Tra le iniziative più recenti, vale la pena menzionare Factcheckers.it, un’associazione non a scopo di lucro che ha come primo obiettivo la diffusione della «cultura della verifica delle fonti tra studenti, docenti, organizzazioni educative». Nata subito dopo Global Fact 3, la terza conferenza internazionale sul fact-checking (Buenos Aires, giugno 2016), si occupa di divulgazione e formazione, nelle scuole, negli atenei e anche sui media generalisti. Ha inaugurato tre rubriche fisse su riviste per ragazzi e per adulti, in cui ogni settimana o mese vengono spiegate alcune regole base per la verifica delle notizie online. Insieme all’argentina Chequeado, l’associazione ha creato il “pacchetto educativo” per la prima Giornata Internazionale del Fact-checking.

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11. Che impatto ha il fact-checking sul panorama dei media? L’impatto delle iniziative di fact-checking nel sistema di informazione è differente a seconda dei Paesi. È indubbio che negli Stati Uniti, dove tali iniziative sono nate e hanno ormai oltre dieci anni di vita, il fact-checking sia ormai un approccio all’informazione con un proprio ruolo stabilito e che gode di ampia conoscenza da parte del pubblico. Hanno certamente aiutato in questo senso riconoscimenti prestigiosi come il Pulitzer per PolitiFact nel 2009, e le menzioni del fact-checking da parte degli stessi candidati presidenziali alle elezioni di fine 2016 sono una spia dei successi raggiunti. Nel corso degli ultimi mesi, persino la celeberrima CNN ha cominciato ad incorporare nel suo linguaggio elementi tipici del fact-checking, come il sottopancia del 7 febbraio 2017 che recitava Trump falsely claims media cover ups terror attacks (“Trump sostiene, falsamente, che i media nascondano gli attacchi terroristici”) per un collage di schermate di servizi informativi dedicati, appunto, agli attacchi terroristici. Spie di un impatto di grande rilievo si possono trovare, anche se in tono minore, in diversi altri paesi; per fare solo un esempio, in un documentario trasmesso a fine 2016 dalla TV francese France 3, l’ex primo ministro Alain Juppé si è lamentato della “mania” per il fact-checking che si sarebbe diffusa diffusa nei media del paese. Restringendo il campo ai soli media italiani, il grande dibattito sulle fake news alla fine del 2016 ha segnato un rilevante aumento di interesse per la pratica del fact-checking. Singoli articoli, video o altri contenuti dedicati alla verifica dei fatti sono stati pubblicati dai principali quotidiani italiani e si sono diffusi in alcune trasmissioni televisive (come DiMartedì su La7). L’esperienza diretta di Pagella Politica può dar conto di due collaborazioni editoriali di rilievo. La società collabora dal 2013 con RAI2, prima all’interno del programma Virus condotto da Nicola Porro e attualmente con Night Tabloid condotto da Annalisa Bruchi. All’interno del programma, un collaboratore di Pagella Politica compare come uno dei tre ospiti fissi e vengono presentati uno o due segmenti di fact-checking in formato video, prodotti durante la settimana in accordo con un autore del programma. Inoltre, nel dicembre 2016 Pagella Politica ha avviato una collaborazione con AGI – Agenzia Giornalistica Italiana, che si traduce nella pubblicazione quotidiana di un factchecking sul sito dell’agenzia di stampa e all’interno dei suoi altri mezzi di diffusione rivolti ai giornalisti. Intorno all’attenzione per la verifica dei fatti la stessa agenzia di stampa ha investito molto, con il lancio di una campagna contrassegnata da un hashtag e un richiamo sulla sua pagina principale.

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12. Come funziona Pagella Politica? Pagella Politica è online dall’ottobre 2012. È stata fondata da nove amici – tutti con meno di trent’anni, privi di esperienza giornalistica e avviati per lo più ad altre carriere – che intendevano aumentare l'obiettività del dibattito pubblico italiano, prendendo a modello l’esperienza di PolitiFact. Il progetto è nato come un blog curato e aggiornato sulla base delle disponibilità dei soci fondatori, che vi investono il loro tempo libero. Con il passare del tempo, e l’avvio della collaborazione con il programma Virus di Rai2, si è potuto reperire le risorse per finanziare l’ampliamento dell’attività ed assumere i primi collaboratori a tempo pieno. L’attività di Pagella Politica si svolge sostanzialmente in tre fasi. Per prima cosa, vengono selezionate le dichiarazioni verificabili tratte in larga parte dai profili social dei politici e dai video delle trasmissioni televisive a cui partecipano. Esse vengono quindi caricate in un apposito archivio nel backend del sito di Pagella Politica. Si passa poi alla fase di analisi: i membri del gruppo selezionano una dichiarazione che trovano particolarmente rilevante e si dedicano alla scrittura della bozza, operazione che può richiedere da poche ore ad alcuni giorni. Segue poi la fase di controllo e pubblicazione: ogni analisi viene ricontrollata minuziosamente da un altro membro del team, che fa le sue osservazioni richiedendo correzioni o modifiche. Anche questo processo di verifica può richiedere diverso tempo, visto che il via libera alla pubblicazione avviene solo quando l’autore ha risposto in modo soddisfacente, a parere del revisore, a tutte le osservazioni generali e di dettaglio. Solitamente una terza persona si occupa della revisione stilistica e della pubblicazione del fact-checking, che viene quindi diffuso tramite i social del progetto (Twitter e Facebook). Il lavoro è simile, ma con scadenza quotidiana, per quanto riguarda il fact-checking pubblicato ogni giorno da Pagella Politica sul sito dell’AGI, mentre nel caso dei materiali per la partecipazione alla trasmissione Night Tabloid (RAI2) esso si adatta alle caratteristiche del prodotto televisivo: il risultato finale è un copione che contiene anche i dati da utilizzare nelle grafiche e che viene scritto con la collaborazione tra due persone di Pagella Politica e un autore del programma. Il progetto è interamente finanziato tramite le entrate assicurate dai committenti, i progetti di crowdfunding e le iniziative di training o divulgazione. Rappresentanti di Pagella Politica hanno partecipato ad alcune iniziative di formazione o divulgazione nel campo del giornalismo digitale e del fact-checking. Tra esse, si possono citare le lezioni tenute al Master in Management politico del organizzato da Sole 24 Ore e LUISS (2015, 2016); quelle tenute all’Istituto per la Formazione al

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Giornalismo di Urbino; quelle nell’ambito del corso di laurea magistrale in Mass media e politica dell’Università di Bologna e quella a gennaio 2017 nell’ambito del corso di giornalismo della Scuola Holden di Torino; e la partecipazione a diverse edizioni del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

13. Fact-checking e fake news: qualcosa si muove? In senso stretto, la questione della diffusione di false notizie sui social media è balzata agli onori delle cronache solo negli ultimi mesi, e dunque nel campo degli strumenti volti a identificarle si può parlare soprattutto di progetti in corso, più che di pratiche consolidate. Il più rilevante è probabilmente il piano annunciato da Facebook alla fine del 2016: un gruppo di fact-checker di diverse organizzazioni avrà la possibilità di analizzare contenuti già segnalati come “sospetti” dagli utenti. Se concorderanno sul fatto che la storia non è vera, il contenuto dovrebbe apparire contrassegnato da un messaggio di “messa in guardia” sul social network e chi lo vorrà condividere riceverà un avviso. I progetti di fact-checking verranno coinvolti con la collaborazione dell’International FactChecking Network, e saranno selezionati sulla base dell’aderenza al codice dei principi dell’organizzazione. Questa iniziativa è attualmente in fase di sperimentazione negli Stati Uniti e in Germania, con un’espansione in Francia annunciata il 3 marzo 2017. Da parte sua, Google ha annunciato a ottobre 2016 che comincerà a segnalare gli articoli di fact-checking con un apposito tag, in modo che siano evidenziati tra i risultati delle ricerche. Sono poi in corso altri progetti promettenti sul piano della verifica dell’autenticità di immagini e più in generale dell’attendibilità dei contenuti diffusi sui social media: citiamo in questi campi i risultati del consorzio Reveal cofinanziato dall’Unione Europea e First Draft News, fondata nell’estate 2015. Ci sono altri strumenti promettenti nati negli ultimi mesi. Uno è l’estensione del browser Chrome che aveva l'obiettivo iniziale di fornire verifiche in tempo reale ai dibattiti presidenziali USA. Sviluppata da uno studente della Duke University, ne è stata rilasciata una versione aggiornata alla fine di gennaio 2017. Ad ottobre 2016, poi, i francesi di Les Décodeurs hanno creato una semplice interfaccia per rendere subito disponibili agli utenti dati e informazioni su temi politici di attualità, in vista di un dibattito delle primarie tra i candidati di centrodestra alle presidenziali.

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Per il resto, si può parlare soprattutto di metodi efficaci di diffusione dei contenuti. In generale, le tecniche e gli strumenti di fact-checking più diffusi sono senz’altro quelli testuali: le notizie false o i contenuti non affidabili sono di solito analizzati in forma di articolo e per la diffusione delle smentite si usano per lo più dei canali social network degli stessi progetti di fact-checking. Negli ultimi mesi, tuttavia, si sono sperimentati nuovi formati online e non solo, dai fumetti ai video a Snapchat e alle GIF. Vale la pena citare di nuovo i risultati del sondaggio dell’International FactChecking Network, effettuato durante il terzo congresso globale dei progetti di factchecking (Buenos Aires, giugno 2016). Si basa sulle risposte di 45 organizzazioni (su circa 120 - ovvero il 38%) e da esso risulta che l’80 per cento dei progetti pubblica solo online, una percentuale inferiore al 10 per cento è presente anche in televisione e ancora meno progetti hanno una presenza sulla carta stampata. Una forte spinta innovativa, comune a diversi paesi e centro di diversi progetti finanziati di recente dalla Google Digital News Initiative, va nella direzione dell’automatizzazione dei processi di fact-checking. Il progetto britannico FullFact ha pubblicato nell’agosto del 2016 un report sullo stato della questione, in cui si valuta che le tecnologie già oggi esistenti permetteranno di fornire strumenti in questo campo nell’arco di alcuni mesi.

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Per saperne di più Siti utili — International Fact-checking Day: http://factcheckingday.com/ — Mappa dei progetti di fact-checking nel mondo: http://reporterslab.org/fact-checking/ — Pagella Politica: https://pagellapolitica.it/ — International Fact-checking Network @Poynter: https://www.poynter.org/about-theinternational-fact-checking-network/ Studi e risorse generali ●

Lucas Graves e Federica Cherubini hanno dedicato uno studio, pubblicato a novembre 2016, alla crescita dei progetti di fact-checking in Europa, provando a categorizzare le ampie diversità che si ritrovano a tutti i livelli nel continente: Lucas Graves, Federica Cherubini, The Rise of Fact-Checking Sites in Europe, Oxford, Reuters Institute, 2016 (testo disponibile a questo link);



lo stesso Graves è autore della prima storia del fact-checking politico negli USA, anch’essa pubblicata nel corso del 2016: Lucas Graves, Deciding What’s True: The Rise of Political Fact-Checking in American Journalism, New York, Columbia University Press, 2016 (link alla scheda dell’editore);



per un aggiornamento costante su tutte le novità e i progetti che interessano il mondo del fact-checking si consiglia la consultazione della relativa sezione del sito web del Poynter Institute (link); un utile punto della situazione si ricava in particolare dall’articolo 366 links to understand fact-checking in 2016 (link).

Sull’esperienza italiana ●

Il giornalista italiano Sergio Maistrello ha pubblicato qualche anno fa un e-book che riflette un precoce interesse per la pratica del fact-checking e contiene una panoramica delle iniziative allora in procinto di nascere o appena sviluppatesi nel panorama italiano: Sergio Maistrello, Fact-Checking: Dal giornalismo alla Rete, Apogeo, 2013 (link);



molto ricca di materiali e interviste con i protagonisti è la tesi di laurea magistrale in Editoria e scrittura dal titolo Fact-checking all’italiana: La verifica dei fatti sulla campagna elettorale 2013, a cura di Sara Forestan, relatore Stefano Lepri (link).

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Sull’automatizzazione dei processi di fact-checking ●

Mevan Babakar, Will Moy, The State of Automated Factchecking, Full Fact, 2016 (testo e sommario disponibili qui).



Naeemul Hassan, Bill Adair, James T. Hamilton et al., The Quest to Automate FactChecking, 2015 (testo)

Sugli effetti del fact-checking ●

Brendan Nyhan, Jason Reifler, When Corrections Fail: The Persistence of Political Misperceptions, «Political Behavior», XXXII, 2010, pp. 303-330 (link).



B. Nyhan, J. Reifler, The Effects of Fact-Checking Threat, Research Paper, New America Foundation, ottobre 2013 (testo).



R. Kelly Garrett, Brian E. Weeks, Rachel E. Neo, Driving a Wedge Between Evidence and Beliefs: How Online Ideological News Exposure Promotes Political Mispercetions, «Journal of Computer-Mediated Communication», XXI, 2016, pp. 331-348 (testo).



Thomas Wood, Ethan Porter, The Elusive Backfire Effect: Mass Attitudes’ Steadfast Factual Adherence, agosto 2016 (testo).



B. Nyhan, Fact-Checking Can Change Views? We Rate That as Mostly True, «The New York Times», 5 novembre 2016 (testo).



Briony Swire, Adam J. Berinsky et alii, Processing political misinformation: Comprehending the Trump phenomenon, «Royal Society Open Science», IV, 2017 (testo).

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Fact-checking_oggi_IFCDay_31032017.pdf

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