Nietzsche, Considerazioni inattuali (riassunti: Levi Strauss, Sull’utilità e il danno della storia, Schopenhauer come educatore, Wagner)

di Daniele Palmieri Altri documenti su: http://nerodinchiostro.blogspot.it/ Pagina Facebook: https://www.facebook.com/nerodinchiostro94/

NIETZSCHE – CONSIDERAZIONI INATTUALI

1. David Strauss, l’uomo di fede e lo scrittore Confronto tra la cultura francese e quella tedesca. Nonostante la vittoria tedesca, non si può dire che la cultura germanica abbia prevalso su quella francese; la cultura tedesca è ancora strettamente dipendente da quella francese. La cultura tedesca attuale si contraddistingue da quella passata solo perché ha accumulato più sapere, ma dove viene in questione il sapere fare, non la cultura ma l’arte, a la cultura tedesca è ancora arretrata. In Germania il puro concetto di cultura è andato perduto e l’esercito tedesco, benché molto istruito, non possiede la cultura di vita che possedeva, ad esempio, l’esercito greco. Cultura è innanzitutto unità di stile artistico in tutte le sue rappresentazioni e questo manca alla Germania. Il tedesco è solo un accumulatore erudito di culture differenti, non possiede una cultura propria. Non c’è ancora stata una cultura tedesca originale, i tedeschi stanno solo imitando i francesi che invece possiedono una propria cultura. Questo tipo di filosofo colto si illude di essere figlio delle Muse ma non lo è. All’opposto c’è il filisteo còlto, impregnato della sua cultura e cieco a tutte le altre e che in tutte le altre vede soltanto l’impronta della sua cultura. Ad esempio David Strauss, quando critica Schopenhauer di essere tutto stile e niente contenuti. Il libro di David Strauss, La vecchia e la nuova fede, è una confessione dello spirito filisteo, ottuso e fanatico, nonostante tenti di passare per un progressista. Crede in un universo come un meccanismo scientificamente determinato basato sul progresso della storia, ma in realtà la sua è una lettura volgare della storia a servizio della cultura degenerata. Lessing è perito a causa di questo tipo di spirito e Winchelman fu costretto a elemosinare dai gesuiti. Questo tipo di cultura ammette un artista solo nei limiti in cui rientra nei suoi schemi. David Strauss rappresenta quel nuovo tipo di filosofo che vive distruggendo l’opera altrui dall’interno, come un verme. Con i suoi attacchi immotivati a Kant e Schopenhauer dimostra tutta la sua pochezza di pensiero; con il suo realismo ingenuo non riesce a tener fronte a quei due pilastri del pensiero e per di più non si accorge che tutto il suo sistema si regge su Hegel e Scheliermacher. Il suo pensiero è un magro ottimismo scientifico e, lì dove non riesce più ad andare avanti, infila ad hoc un finalismo della natura che dimostrerebbe la bontà di tutto il creato. Strauss piace perché nelle sue pagine manca tutto ciò che è urtante; il problema è che tutto ciò che è urtante è produttivo. Storpia la lingua tedesca a suo piacimento e questo viene considerato positivo, così come il suo uso smodato di metafore nuove che in realtà coprono un pensiero assente, ottenendo un effetto controproducente perché, per spiegare concetti oscuri, utilizza immagini ancora più oscure.

2. Sull’utilità e il danno della storia per vita Abbiamo bisogno della storia per la vita e per l’azione, non per ritirarci a studiarla come materia fine a se stessa, che non ha nulla da insegnarci. L’animale vive in un momento non-storico, perché si dimentica subito del momento appena passato, al contrario dell’uomo. L’uomo si porta dietro ed è oppresso dal pesante carico del passato. A un certo punto però il passato deve essere dimenticato se non si vuole che esso diventi il nostro becchino, per vivere per un momento felici come l’animale. Se così non fosse, sanguineremmo ad ogni momento, oppressi dal momento appena passato. E così il non storico e lo storico sono entrambi necessari per la salute di un popolo. E’ vero, solo dallo storico nasce l’uomo, ma in un eccesso di storia l’uomo trova anche la sua fine.

Gli uomini storici credono che il flusso della storia sia un processo omogeneo la cui fase finale è il progresso dell’umanità e che la loro stessa esistenza abbia un senso poiché inserita in questo flusso storico. Si ricerca un flusso omogeneo in base alle esigenze, si manda la storia lì dove noi vogliamo che vada. Gli ultimi dieci anni di storia non possono insegnarci nulla di diverso. Passato e presente sono identici. La storia non potrà mai diventare scienza pura come la matematica. Tuttavia, la storia serve all’uomo; ciò che non serve è l’eccesso della storia. La storia appartiene al vivente in tre sensi: per colui che agisce e per le sue aspirazioni, per colui che la osserva e la adora, per colui che soffre e ha bisogno di essere liberato. A questi tre sensi corrispondono tre approcci, il monumentale, l’antiquario e il critico. I primi sono tesi verso il futuro, sono gli uomini che creano nuova storia; la fama che acquisiscono non è il loro semplice e vanitoso ologramma, ma la fede nell’affinità e la continuità dei grandi di ogni tempo. Tuttavia, questa connessione non è tanto un flusso determinato, quanto un “effetto in sé”, un evento storico che trova la sua compiutezza e la sua grandezza in se stesso. Il problema sorge quanto questa storia monumentale, fatta di grandi azioni, diventa oggetto di venerazione, condizionando il giudizio dei posteri. Questo tipo di storia porta al fanatismo. E’ pericolosa se entra nelle mani degli uomini di potere e ancora di più se entra nelle mani degli uomini mediocri, che distruggeranno ogni senso artistico. Il secondo tipo di storico è colui che si cura della storia da cui è venuto e che vuole a tutti i costi tramandarla ai posteri; l’anima di questo uomo si trasferisce nelle cose che conserva. La storia che tenta di conservare diventa la sua storia. Percepisce se stesso come spirito della propria città, della propria casa, crea un “noi” fittizio, un surrogato della sua personalità ed è convinto che la vita possa procedere solo permettendo a questo “noi” di continuare a vivere nella stessa immutabile realtà in cui lui è nato. L’antiquario ha l’orizzonte limitato, crede che il suo giardino sia il centro dell’universo, e se all’inizio la tradizione può vivificare la storia, a lungo andare la mummifica. E’ in grado di conservare la vita ma non di produrla. Paralizza la decisione, vanifica ogni sforzo e ogni energia tesa al futuro, concentrata com’è sul passato. Di fianco a questo tipo di storia, c’è bisogno del terzo tipo di storico, quello critico. Questo deve distruggere il passato per poter vivere. Deve condurre il passato in tribunale, sottoporlo a un’inchiesta meticolosa e poi condannarlo. E’ un processo che nasce quando ci si accorge dell’ingiustizia e che la vita stessa è tutta un’ingiustizia. Tuttavia, questo passo è rischioso perché vuole costruire un nuovo passato da cui venire, e la cosa non è semplice. Per quanto riguarda l’epoca presente, questa sta perdendo il senso di cultura, poiché ha perso l’idea di unitarietà per far spazio a quella di un eruditismo scientifico. Si elogia il tedesco per la sua interiorità, ma essa è qualcosa di personale, non c’è alcuna fibra che unisce i singoli uomini e il che rende la cultura tedesca debole. L’uomo moderno è indebolito nella sua cultura perché ha fatto diventare la cultura come una grande parata della diversità, senza creare una cultura unitaria. La stessa Filosofia si è indebolita; non esiste più nessuno che vive filosoficamente, come gli stoici che aderivano alla Stoà, ma essa è diventata un terreno limitato dai paletti delle istituzioni. Trattano neutramente la filosofia così come trattano neutramente la storia; ci si occupa di un filosofo in maniera arbitraria, si sceglie di studiare Democrito piuttosto che Socrate come se fosse del tutto indifferente, basta che se ne rispetti l’oggettività storica. Si snatura ogni tipo di impulso culturale, tolgono la vita alla filosofia vera, facendola diventare una voce dell’enciclopedia insieme alle altre. Questo eruditismo è in realtà un’impotenza della nostra epoca.

Nonostante il progresso, la nostra epoca è davvero più giusta e vera di quelle precedenti? Ogni epoca ha sempre la superbia di ritenersi migliore di quella precedente, di ritenersi l’unica giusta, l’unica che possiede la verità e che tramite essa può criticare quelle passate. Nel corso degli anni, gli uomini si sono sempre fatti ingannare dalla verità e dalla giustizia; spesso, il giudice che predica la verità è in realtà un fanatico. La storia stessa, quando è scritta con oggettività, non si può dire che sia “vera”, poiché compito dello storico è quello di ricercare un nesso tra i fatti del passato che, per loro stessa essenza, sono impenetrabili. La storia è un groviglio di causalità dove entrano in gioco migliaia di cause parallele ed è impossibile tracciare un decorso storico unitario, ancor più utopico riconoscere un decorso storico teso verso il futuro. Il senso della storia non può trovarsi nella sua fine, bensì nel suo perpetuo e ciclico decorso; in questo senso, la storia è una sinfonia artistica, un’opera d’arte, non ha un senso morale intrinseco ma piuttosto un senso estetico. L’epoca presente non può essere giudice di quella passata perché è arrivata dopo di essa, e un giudice deve sedere più in alto per giudicare un imputato. Soltanto compiendo una grande impresa storica si possono giudicare quelle passate; l’uguale per l’uguale. La storia la scrive chi è esperto e superiore. Chi non ha vissuto qualcosa di grande non potrà comprendere le grandi imprese del passato; il motto del passato è un motto oracolare, come quello dell’oracolo di Delfi, e soltanto interpretandolo correttamente è possibile costruire un futuro che ne sia all’altezza. Bisogna studiare le azioni dei grandi condottieri del passato, come gli eroi di cui narra Plutarco, per creare una cultura degna di questo nome. Il giudizio storico fine a se stesso, che non sia costruttivo, distrugge le fondamenta e non fa nulla di positivo. Una religione ricostruita tramite la scienza storica viene snaturata, viene distrutta e svuotata di tutta la sua spiritualità, poiché vengono fuori tutte le azioni turpi e violente, mentre l’uomo di fede si nutre di amore e di speranza e con esse edifica il futuro. La scienza storica così come è impostata accieca l’uomo; il giovane viene messo di fronte a centinaia di fatti storici in chiara luce di cui non può comprenderne lo spirito. Perde sempre di più il senso di stupore e alla fine ha perso ogni curiosità, è inattivo e apatico, non può costruire nulla di nuovo. E’ la morte della cultura. Lo storico formatosi su questo tipo di nozionismo si sente completo già dalla giovinezza e quando diventa storico a tutti gli effetti è un supponente che si sente ancora più completo per aver criticato un certo capitoletto di un certo manuale, il tutto finché non si scade nella mediocrità più assoluta. In questo modo si distrugge la scienza, che viene automatizzata. Con questo tipo di cultura storica gli uomini nascono già vecchi e si avvera la profezia di Erodoto secondo la quale l’ultima generazione di uomini nascerà già con i capelli grigi. Con l’idea di un “ringiovanire” dell’umanità con il procedere del tempo non si fa altro che tramandare la visione teologica cristiana della storia, tesa verso un’apocalisse divina. Si guarda alla storia con la stessa reverenza clericale ed è come se si attendesse che il momento presente passi per trascriverlo su un libro di storia o, al massimo, per limitarne gli effetti. Lo storicismo hegeliano ha reso la storia qualcosa di sacro e necessario; si vede l’epoca presente come il frutto tardo ma maturo di un processo universale, cadendo in un fanatismo storico e precludendo ogni altra forma d’arte. Per di più, questo tipo di storicismo rende ciechi gli studiosi che giustificano ogni evento passato, trovando un cavillo come fossero avvocati. Ad esempio, si giustifica la morte dei grandi artisti dicendo che ormai avevano fatto il loro tempo.

Questi uomini sono tronfi d’orgoglio, credono di essere il vertice della storia, credono di aver raggiunto il traguardo della storia, di esserne il suo gioiello, addirittura di portare a compimento la natura. Questo tipo di uomo non trova ideali per realizzare la propria vita, concentrato com’è su questo presunto processo storico necessario, e non compirà mai nulla di grande, appiattendosi al livello della massa che altro non è se non una lastra venuta male dei grandi uomini, uno strumento dei grandi uomini o un loro ostacolo. Le cosiddette leggi storiche che rintracciano non sono nient’altro che l’opinione di questa massa di creta di alcun valore. Purtroppo l’educazione dei giovani tedeschi si basa su questi presupposti e li sta rendendo non degli uomini ma degli eruditi buoni a nulla. Per spezzare questa superstizione bisogna innanzitutto far cadere l’illusione della necessità di questo tipo di educazione, che indottrina il ragazzo ma non gli insegna a vivere. Meglio mandarli nei laboratori della natura piuttosto che in un museo. Dovrebbe valere l’ideale platonico della tripartizione delle caste. Questa è l’unica verità necessaria; chi è nato filosofo, ha oro nel suo corpo. Il motto della nuova generazione dovrebbe essere non cogito ergo sum, ma sum ergo cogito, vivo, quindi penso. Il rimedio è l’individuo non storico e quello sovrastorico; il primo dimentica tutto il passato, il secondo sposta il suo interesse soltanto verso l’arte e la religione, che trapassano ogni era. La scienza vede in queste potenze forze avversarie, che vede in ogni cosa un fatto storico. Bisogna seguire l’esempio dei greci che si trovarono in una situazione; colpiti da una serie di influssi di culture straniere, riuscirono a dare ordine a questo caos grazie al motto delfico “conosci te stesso”, tenendo solo il necessario e creando una cultura propria. Un cultura che era una voce unica tra vita, pensiero, apparire e volere, non una cultura decorativa come quella tedesca.

3. Schopenhauer come educatore I grandi artisti ci mostrano l’uomo come è veramente e la cosa che più disprezzano dei piccoli uomini è la pigrizia, che fa accumunare il singolo alla massa. Basta essere se stessi per sfuggire a questo demone. La propria vera essenza non sta dentro di sé, ma al di sopra di sé. I veri educatori ti rivelano qual è il senso originario e la materia fondamentale del tuo essere, difficilmente accessibile. I tuoi educatori non possono essere altro che i tuoi liberatori. Questo è ciò che è stato Schopenhauer. Nell’epoca presente sono pochi gli educatori degni di questo nome. La parola virtù è diventata un concetto vuoto; è raro trovare un vero filosofo come educatore. La forza di Schopenhauer sta proprio nel non voler mai sembrare ma nel voler sempre essere. Parla in modo schietto come un padre che dà istruzioni al figlio. Paragonabile a Schopenhauer c’è solo Montaigne con cui ha in comune, oltre all’onestà, una serenità rasserenante. Non quella ottimistica e mediocre, ma quella di chi sa farti prendere la medicina amara rassicurandoti che andrà tutto bene. Il vero educatore è d’esempio non solo con i suoi libri ma soprattutto con la sua vita. Kant ebbe una vita universitaria, attaccato com’era al mondo accademico e alle istituzioni, ed è chiaro che la sua figura presa come esempio non ha fatto altro che creare altre generazioni di professori accademici. Schopenhauer, al contrario, non si invischiò con la casta accademica rimanendo indipendente dalla società e dallo stato e questo è il suo modello. Il vero genio non ha paura di contraddire le istituzioni e per farlo bisogna avere una natura di ferro.

Stimava più la sua filosofia che i suoi contemporanei ed ha combattuto per difenderla dalla loro noncuranza, una sorta di censura del silenzio. Lui ha combattuto come un eremita e gli eremiti sono gli uomini di cui i governi hanno più paura, perché questi mettono in salvo la loro libertà. Il secondo pericolo sotto cui crebbe fu il disperare per la verità; questo pericolo accompagna ogni pensatore che prende come punto di partenza Kant. In poche persone Kant è intervenuto in modo vivente, cioè in quelle che non hanno interpretato la sua filosofia come un semplice scetticismo relativistico, ma che sono andati in cerca di ulteriori risposte. Schopenhauer è proprio la guida che conduce fuori dalla caverna dopo l’abbattimento scettico, che porta direttamente verso la contemplazione tragica. E’ salito su questa vetta per contemplare la vita come un tutto, mentre gli altri studiosi sono come critici d’arte che commentano i singoli colori e non il quadro intero. Da questo quadro della vita bisogna comprenderne il senso e la sua filosofia va intesa individualmente, dal singolo solo per se stesso per acquistare la visione della propria miseria e del proprio bisogno, per poi comprendere i rimedi e le consolazioni, ossia il sacrificio dell’io, il sacrificio per gli scopi più nobili della giustizia e della pietà. Il terzo pericolo era la rassegnazione e la malinconia, che colpisce ogni uomo di genio e che potrebbe portare all’indurimento morale e intellettuale; così facendo, smette di seguire il suo ideale per diventare un territorio infertile. Tutti possono educarsi con Schopenhauer contro il tempo presente. Non può bastare un’innovazione politica a rendere gli uomini soddisfatti abitatori della terra; questa falsa credenza è attribuibile alla filosofia tedesca odierna, secondo la quale lo Stato è lo scopo supremo dell’umanità e che l’unico dovere dell’uomo è quello di servire lo stato. Lo stato moderno richiede lo stesso culto che richiedeva la chiesa, e per di più è gestito da avidi affaristi. La medicina è l’uomo di Rousseau, l’uomo di Goethe, l’uomo di Schopenhauer; il primo è quello più ardente, l’uomo del popolo; il secondo è per pochi, le nature contemplative; il terzo per gli uomini più attivi e snerva sia il primo sia il secondo. Dal primo infatti arriva la forza delle rivoluzioni socialiste, il secondo è il correttivo e il calmante delle eccitazioni del primo, una forza conservatrice e tollerante; il terzo assume su di sé il dolore volontario della veridicità, quello che serve ad uccidere la volontà personale per preparare il rovesciamento del proprio essere, dove si trova il senso della propria vita; è un uomo che sembra cinico e spietato ai più, sente nella sua esistenza un significato metafisico e vuole spezzare le leggi di questa vita annichilendo tutto ciò che è mediocre e innecessario; la sua via è il dolore, la sua massima aspirazione una vita eroica. L’uomo mediocre cerca ogni distrazione per non sentire la vita, perché nel suo profondo sa che è dolorosa; ma l’uomo di genio si tuffa proprio in quel dolore, trovando in esso il significato della vita e smettendo di essere un giocattolo delle istituzioni. Il suo compito è distruggere tutto ciò che diviene, tutto ciò che è vacuo e superficiale per scoprire il vero nocciolo della vita. La sua forza sta nel dimenticare se stesso. Ora bisogna capire come si può trasformare in pratica questo ideale, come si può dimostrare che esso educa un uomo. Prima di tutto bisogna rendersi conto che tutte le istituzioni, le azioni umane, le idee, le passioni, sono tutto una continuazione dell’animalità, l’istinto che ci spinge a cercare un’inesistente felicità duratura. Ma il nostro vero compito è un altro; questo edificare società e concetti è soltanto un nascondere la testa; educare un uomo significa renderlo un filosofo, un santo o un artista che ha rifiutato il suo essere-animale, che comprende che il più alto scopo dei mortali è partecipare a questa illuminazione. Solo pensando a ciò l’anima diventa solitaria ed infinita.

La natura ha bisogno di questo tipo di uomo per comprendere questa verità oscurata dal divenire in maniera chiara e distinta. Questa somma di sentimenti è la prima consacrazione della cultura. La seconda avviene quando il singolo utilizza le sue lotte e le sue aspirazioni come l’alfabeto con cui adesso è in grado di decifrare le aspirazioni degli uomini, deve lottare per la cultura contro le influenze delle abitudini, delle leggi, delle istituzioni nelle quali non riconosce il suo fine; soltanto così possono nascere uomini nuovi. Bisogna prima di tutto combattere contro chi fa cattivo uso della cultura, ossia gli affaristi con il loro egoismo che utilizzano la cultura come un vanto, uno strumento con cui mettersi in mostra. Questi tipi di uomini utilizzano la cultura come uno strumento di elevazione sociale; secondo loro bisogna apprendere in fretta per diventare il fretta qualcuno e guadagnare denaro. A questo tipo di uomo la cultura interessa solo nella misura in cui produce guadagno. Vi è poi l’egoismo dello stato che desidera che la cultura sia quanto più diffusa e generalizzata, avendo così in mano lo strumento per realizzare i propri desideri e aggiogare il popolo, utilizzandolo come uno strumento per rivaleggiare con gli altri stati. Vi sono poi quelli che diffondono cultura superficiale, abbellendola con la loro immagine. Essere colto in questo periodo dipende dal momento, dalla mentalità e dalla moda, sicché è diventato un modo di nascondere la propria nullità con la menzogna e l’abbellimento dell’eruditismo. Vi è poi l’egoismo della scienza che sta alla saggezza come la virtù alla santificazione; essa è fredda e arida, è utile a se stessa e nociva ai suoi servitori perché trasferisce a loro il suo carattere ammuffendoli. E’ arida, trasforma ogni esperienza in esperimento, non ricerca la verità ma il ricercare stesso, in nome della propria vanità personale, cosicché la verità diventa solo un pretesto. Gli scienziati odiano la filosofia prima di tutto per i suoi sillogismo e la ricercatezza delle dimostrazioni; poi per la loro impossibilità nel focalizzare il generale e non solo il particolare; in terzo luogo per la moderazione e la mediocrità della sua natura nelle simpatie e nelle antipati, in quanto va sulle tracce dei motivi di uomini passati conformemente alle sue intenzioni; in quarto luogo, per la povertà di sentimento e aridità della sua anima; in quinto luogo per la poca stima di sé; in sesto luogo per la fedeltà verso i maestri e i capi; poi per il continuare il cammino certo sul quale è stato spinto per abitudine; per la fuga davanti alla noia, perché non comprende il senso della filosofia; per guadagnarsi il pane; per i colleghi e la paura di essere disprezzato; per vanità; per gioco. Per questo in tutti i tempi i geni e gli scienziati hanno litigato, in quanto i primi contemplano la natura vivente mentre i secondi la sezionano e così facendo la uccidono. La natura scaglia il filosofo in mezzo agli uomini consapevole che non verrà capito ma sicura che almeno attecchirà da qualche parte. L’artista compie la propria opera secondo la volontà della natura per il bene degli altri uomini ma egli sa che mai qualcuno di essi comprenderà e amerà la sua opera. Schopenhauer è uno di questi artisti incompresi. Apparentemente sembrerebbe che lo stato stia incrementando la filosofia, grazie alle istituzioni accademiche da lui create, ma in realtà sta soltanto permettendo ad alcuni uomini di vivere della filosofia, sta creando professori che vivono alle spalle dei filosofi del passato, non sta in alcun modo diffondendo la vera filosofia. Questi uomini perdono ogni tipo di libertà, diventano dei servitori dello stato che non possono in alcun modo insegnare la vera filosofia, perché non insegnano se si può vivere seguendo questa o quella filosofia, ma si limitano a riempire gli studenti con aride nozioni manualistiche. E’ interesse della cultura togliere la

filosofia dalle mani dello stato. I filosofi non devono essere pagati dallo stato, il vero filosofo è perseguitato, vive sempre sul lastrico, è osteggiato dai più; il professore statale non è un filosofo ma un bambolotto dello stato. L’amore per la verità è qualcosa di violento.

4. Richard Wagner a Bayreuth Wagner è filosofo soprattutto lì dove è più energico ed eroico e dove combatte contro la cultura erudita del proprio tempo per sbarazzarsi della mediocrità. Nonostante l’avvento del cristianesimo sulla civiltà ellenica, essa è ancora presente nella società moderna nelle figure di Kant, Schopenhauer e Wagner, che rappresentano rispettivamente gli eleati, Empedocle ed Eschilo, proprio come se non ci fosse alcun arco di tempo tra un’epoca e l’altra e come se il pendolo della storia oscillasse indifferentemente verso il futuro e verso il passato. Nell’opera d’arte tragica di Bayreuth si ammira l’ideale eroico dell’uomo che prende consapevolezza della morte e lotta per essa, dove l’arte è una breve interruzione che ci rivela il significato simbolico e metafisico della nostra esistenza per poi ritornare ad immergerci nel divenire. Poi l’arte si allontana da noi e la lotta continua. L’arte esiste perché l’arco non si spezzi, per rendere sopportabile la vita. Avere questa consapevolezza è l’avere il senso del tragico e l’unica speranza che deve avere l’uomo è che questa consapevolezza non si spenga. Wagner è un semplificatore del mondo nel senso che trae dal caos originario una coerenza, creando un’opera d’arte, generando un mondo estetico. Fondo musica e vita, musica e dramma. Ha compreso la parabola discendente del linguaggio, non più in grado di esprimere con veridicità la sofferenza e ha dato un impulso vitale all’arte e alla vita cominciando a parlare con la musica. Nella sua arte risuona la natura trasformata in amore. Wagner parla con la musica perché essa arriva all’orecchio dell’uomo, unica strada nel mondo moderno per arrivare alla sua anima poiché ormai egli è immerso in migliaia di stimoli visivi differenti che l’hanno reso apatico alla vita. La musica supera la vanità della forma superficiale a cui ci ha assuefatto l’epoca presente. L’uomo moderno è alienato dalla sua avidità; in ogni momento cerca il profitto, anche quando studia la millenaria saggezza orientale lo fa per adornarsi di una vanitosa cultura. Lo studio è relegato all’utilità e alla preparazione per il futuro. In questa società la voce di Wagner è la voce dell’oracolo che mostra all’uomo quanto sia sublime, magnifica e tremenda la natura. Lo spettatore di Wagner è respinto in se stesso e nella sua fragilità e proprio grazie a questa catarsi dal mondo della vanità è diventato forte attraverso lui e contro di lui. Rinasciamo e allo stesso tempo ci sentiamo colmati di una forza dirompente che ci porta a voler distruggere lo stesso artefice della nostra rinascita; è lo spirito della musica ditirambica degli antichi greci, lo spirito dionisiaco, lo spirito di Eschilo. La sua musica annulla e respinge la ragione facendo scaturire l’irrazionalità della natura, è una liberazione. Wagner diventa un rivoluzionario che smaschera l’arte del lusso, quella che viene ostentata in un mondo che pensa solo all’apparenza. La sua musica è la voce dirompente della poesia del popolo, perché proprio dalla voce oracolare dei miti popolare egli attinge la sua ispirazioni.

Allo stesso tempo, la sua arte è disprezzata perché si percepisce il suo carattere dirompente e rivoluzionario che vuole distruggere i canoni fittizi dell’estetica neoclassicheggiante. Wagner ricorda l’esistenza eroica del gande uomo. La sua poetica non si esprime per concetti ma per fatti concreti e visibili, egli pensa poeticamente come ha sempre pensato il popolo. Ha fatto regredire il linguaggio a uno stadio più primitivo, quando esso si esprimeva soltanto con la musica e con questo colpo contro la roccia ha fatto sgorgare acqua di sorgente. Prima di lui la musica era solo ethos, adesso sta recuperando il pathos delle antiche tragedie greche. La musica di Wagner non preparerà certo una generazione migliore, perché è impossibile sradicare dall’uomo ciò che egli è veramente; al contrario, avrà l’effetto terapeutico di lasciar libero sfogo a tutte le passioni che gli ribollono dentro, contro quello stoicismo che invece porta a reprimerle, perché soltanto un uomo che può lasciar libero sfogo alle proprie passioni è un uomo libero.

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