Milena Vallero – Stanza 402

Milena Vallero – Stanza 402

«Vattene!» Carlo alzò la testa dal laptop che teneva sulle ginocchia e si guardò intorno. Tese l'orecchio ma non percepì alcun suono se non il fruscio dei fogli smossi dalla lieve brezza che entrava dalla finestra aperta. Sibilò un'imprecazione e riportò l'attenzione ai dati sullo schermo. Doveva assolutamente concentrarsi o non avrebbe sistemato in tempo la presentazione. Quell'imbecille di Levitti aveva sbagliato tutti i calcoli, e ora a lui toccava sistemare i suoi casini in tempo per la riunione del pomeriggio. Allungò una mano verso il comodino alla sua sinistra e prese il bicchiere. Lo portò alle labbra senza guardare e tirò indietro la testa continuando a tenere gli occhi fissi sullo schermo. La sua gola aspettò la calda carezza del whisky, ma rimase delusa. Il bicchiere era vuoto. «No, cazzo» disse fra i denti. La giornata era iniziata da schifo e sembrava peggiorare di ora in ora. Prima le due riunione a sorpresa, una nel pomeriggio e una l'indomani, che quell'incompetente del suo capo gli aveva comunicato solo la sera prima. «Hai un aereo domattina alle otto» gli aveva detto porgendogli i fascicoli e una penna usb. «Ah, dovrai sistemare la presentazione, il tuo collega ha combinato non so quale disastro con i grafici. Mi raccomando, la Compass è uno dei nostri migliori clienti, non farmi fare figure da pirla». Come se lui non lo sapesse. Da anni gestiva con successo ogni affare con la Compass, non aveva certo bisogno che quel borioso con la faccia da bulldog glielo ricordasse ogni volta. Poi, seconda chicca della giornata, la camera che si faceva riservare in tutti i suoi viaggi a Roma era occupata. «Ci spiace tanto, signor Bolenti» aveva detto la receptionist con una tristezza troppo grande negli occhi celesti perché potesse essere sincera, «di solito la sua segretaria ci avvisa per tempo. La 305 è occupata e lo sarà per le prossime sei notti. Ma abbiamo tutte le camere del quarto piano disponibili. E sono tutte ristrutturate di fresco, sa?» Le ristrutturazioni, certo. Per mesi aveva visto operai salire e scendere le scale dell'hotel. In quel momento, in mezzo alle nebbie dall'irritazione, era affiorato alla mente il ricordo di una conversazione avuta nel bar dell'albergo, una tarda sera di mesetto prima. Lui era seduto a uno dei tavolini; quello era il momento che preferiva, perché raramente a quell’ora c’erano molti avventori nel piccolo locale. Sorseggiava un bicchiere di Jack Daniels (rigorosamente liscio) e leggeva Il Sole 24 Ore. A un certo punto una donna sulla cinquantina si era seduta accanto a lui. Carlo aveva alzato di un centimetro gli occhi oltre il bordo del giornale e l'aveva guardata. Poi aveva sollevato la mano sinistra, muovendo appena l'anulare per mostrare alla donna l'anello che vi era infilato. In realtà, Carlo era divorziato ormai da quattro anni, ma nei suoi viaggi indossava sempre la fede, proprio per scongiurare approcci non richiesti. Casomai avesse visto una signorina a lui confacente, la fede sarebbe sparita in un istante nella tasca dei suoi pantaloni. «Oh, tranquillo» aveva detto la donna, «sono sposata anch’io. Ma lei è il primo essere umano che vedo qui dentro da almeno mezz’ora, e io ho voglia di fare due chiacchiere». Io no, vecchia ciabatta, aveva pensato Carlo. Ma era riuscito a trattenersi e a risponderle in maniera educata. Anzi, avevano iniziato a chiacchierare del più e del meno, e lui si era stupito di trovare la donna piuttosto interessante. Così interessante da fargli posare il giornale sul tavolino e offrirle da bere. «Lo vuol sapere un segreto?» gli aveva chiesto a metà del suo Bellini, «io lo so perché stanno ristrutturando le camere del quarto piano». Carlo aveva alzato un sopracciglio. «E perché?» La donna si era sporta verso di lui, come una ragazzina che voglia fare un pettegolezzo piccante alla vicina di banco. «Dicono che ci siano i fantasmi, lassù». Carlo era scoppiato a ridere. Ecco sparita tutta la magia.

Milena Vallero – Stanza 402

«No, davvero» aveva continuato lei. «Sembra che alcuni ospiti abbiano sentito strani rumori, e che le cose si rompessero all'improvviso, così, senza motivo. Ho parlato con una signora a cui è esploso il telefonino, ci pensa? Allora il direttore dell'hotel ha deciso di rifare da zero tutte le camere, per vedere se i fantasmi se ne sarebbero andati». «Se vuol sapere come la penso, signora, sono tutte baggianate» aveva risposto lui, riprendendo il giornale. «Ma in ogni caso la cosa non mi tange. Io alloggio sempre alla 305». E invece eccomi qui, aveva pensato mentre strisciava la tessera elettronica ed entrava nella stanza 402. Nella camera aleggiava ancora un tenue odore di vernice fresca. L'arredamento moderno era bello e funzionale, ma Carlo aveva comunque imprecato e sbattuto con violenza la porta dietro di sé. Avrebbe preferito la sua solita stanza, con la carta da parati a losanghe e le tende verde scuro alla finestra. Ora, mentre guardava con occhio torvo il bicchiere vuoto e resisteva alla tentazione di scagliarlo contro la bella parete giallo ocra, si chiese quante altre cose dovessero ancora andare storte prima di poter tornare a Milano. Rimise il bicchiere sul comodino e scese dal letto. Guardò l'orologio. Le due e venti. Aveva ancora un'ora di tempo per finire il suo lavoro. Poi sarebbe dovuto scendere alla fermata del tram, o non sarebbe arrivato in tempo alla riunione. Si sgranchì le ossa della schiena e si diresse verso il bagno, intenzionato a chiamare il servizio in camera per farsi portare qualcosa da mettere sotto i denti (e un altro Jack, vista la velocità con cui era evaporato il primo) subito dopo aver svuotato la vescica. «Vattene di qui!» Ma che cazzo... «Ora!» Carlo corse dall'altro lato del letto, mise un orecchio contro il muro e vi picchiò contro il pugno. «Ehi! Non è divertente!» urlò. «Ragazzini…» sussurrò poi, infastidito. Si avviò di nuovo verso il bagno, portandosi dietro lo smartphone per controllare la posta (e magari chiamare direttamente la reception se quei rompiscatole della camera accanto avessero continuato a disturbarlo). Un istante dopo, sentì tremare il pavimento sotto i piedi. Vide il bicchiere sul comodino andare in frantumi e il telefono gli volò via dalla mano, spaccandosi contro la parete. «Via!» La voce era vicinissima e veniva da dietro le sue spalle. Carlo si voltò. La creatura che stava in piedi a pochi centimetri da lui poteva essere umano. Forse lo era stato. Il bianco degli occhi splendeva al centro di un viso vermiglio, a tratti nero; uno squarcio sul lato del volto ustionato lasciava intravvedere una mandibola non del tutto integra. Carlo non rimase a guardare oltre l'orrida figura. Girò su se stesso e corse a perdifiato verso la porta della camera. Questa però non si aprì, e lui prese a scuoterla con violenza sentendo la minacciosa presenza della creatura dietro di sé. «Avanti, apriti maledetta» disse, poi si rese conto che la stava spingendo, mentre essa si apriva verso l'interno. Con uno scatto finalmente fu nel corridoio. Corse verso l'ascensore e spinse il bottone per la chiamata. La cabina arrivò al piano e le porte si aprirono lentamente. Lui fece per entrare ma a un tratto si ricordò del laptop. Non poteva lasciarlo lì. Ma non puoi nemmeno tornare là dentro, gli disse una voce nella testa. «'Fanculo» disse, tornando sui suoi passi. Si fermò a metà strada, roso dall'indecisione. Ripensò alla conversazione con la donna del bar. «Stronzate» disse a bassa voce. «Demoni, fantasmi. Tutte idiozie». Si affacciò alla porta della stanza. Mise un piede oltre la soglia ed entrò. Tutto era calmo. Non sentiva rumori né avvertiva la presenza di alcuno. Ma certo. Era stata una specie di allucinazione. Era stanco, incazzato, frustrato e, beh, sì, anche un po' bevuto. Non c'era da stupirsi se... Con la coda dell'occhio vide una macchia rossastra. Prese il laptop e si voltò, tenendo il computer di fronte a sé come uno scudo. La creatura era davanti a lui.

Milena Vallero – Stanza 402

Carlo lasciò cadere a terra il portatile. Improvvisamente, il lavoro non ebbe più alcuna importanza. Perché ora aveva capito chi aveva di fronte. Certo era quasi irriconoscibile. Il volto era completamente sfigurato. La pelle, quella poca rimasta, era del colore della carbonella di un barbecue. Il braccio sinistro non c'era più, mentre quello destro era un ammasso informe di carne macilenta da cui stillavano gocce di sangue che sparivano al contatto con la linda moquette. Il ventre era squarciato e gli intestini ne penzolavano fuori come un macabro festone. Ma come non riconoscere quegli occhi verdi? Come, quando da trentanove anni lo fissavano ogni volta che si guardava allo specchio? E quegli occhi si colmarono di tristezza e rassegnazione quando le labbra sfasciate pronunciarono le loro ultime parole. «Troppo tardi». Un istante dopo, il mondo si riempì di fuoco e frastuono. Poi, più nulla. I vigili del fuoco avevano ormai finito di domare l'incendio. La piccola piazza di fronte all'ingresso dell'hotel era gremita di persone, per la maggior parte curiosi. Una giornalista piuttosto avvenente stava in piedi appena oltre il cordone di sicurezza e parlava rivolta a una telecamera davanti a lei. «...ancora non si conoscono le cause dell'esplosione. Si sa che solo il quarto piano è stato coinvolto. A quanto pare c'è stata un'unica vittima, un uomo che soggiornava nella camera 402, la sola occupata di tutto il piano al momento dello scoppio. Il direttore dell'hotel ha dichiarato...» Le finestre del quarto piano non esistevano più. Il muro era un unico, grande squarcio. Ma all'altezza della camera 402, per qualche istante, si affacciò una figura umana. Solo gli occhi splendevano candidi nella devastazione della carne ustionata. Forse era vero, non c'erano mai stati i fantasmi al quarto piano dell'hotel. Almeno, finora.

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