© Logoi.ph – Journal of Philosophy - ISSN 2420-9775 N. I , 3, 2015 – Playing and Thinking
Fabio Lusito Sul Pragmatismo di Richard J. Bernstein. Ricognizione di una svolta filosofica contemporanea 1 L'opera del filosofo americano Richard J. Bernstein (New York, 14 Maggio 1932) ha visto la sua prima traduzione in italiano soltanto nel Settembre 2015, nonostante la sua prima pubblicazione originale sia databile al Marzo del 2010. Della pur tardiva traduzione italiana, va tuttavia dato un grande merito all'attenzione per il tema della casa editrice milanese ilSaggiatore prima, e alla precisa e puntuale traduzione di Raoul Kirchmayr in seguito. La casa editrice ha avuto il coraggio e allo stesso tempo la lungimiranza di investire sulla diffusione di uno scritto che racchiude in sé una esigenza: quella di catalizzare l'attenzione sulla forte presenza ed influenza del pragmatismo nella filosofia contemporanea. Soprattutto in Italia, questa corrente di pensiero è facilmente dimenticata, e la sua incidenza appare spesso soltanto collaterale. Va dunque apprezzato il tentativo di riportare in auge determinate tematiche, proprie di un movimento intellettuale che, nonostante una lunghissima storia, appare continuamente in rampa di lancio. Al di là di questo, posti di fronte al testo italiano appare però subito una sbavatura, che è importante ai fini dell'economia generale della percezione del testo, e su cui si deve puntualizzare. La scelta editoriale di ridurre il titolo del testo ad un freddo e distaccato Sul pragmatismo non rende giustizia di un termine chiave contenuto nell'originale statunitense voluto da Bernstein: si tratta di quel 'turn' contenuto nel titolo The Pragmatic Turn. Quella parolina non è insignificante, ed ha anzi l'audacia di dichiarare che è in atto, nel movimento del pensiero filosofico, una svolta, come l'idea dell'autore sta chiaramente ad indicare. Inoltre è necessario tener presente che l'utilizzo del termine 'turn' va ad impiantarsi stabilmente in una precisa linea di continuità con uno dei momenti più importanti della cultura filosofica – che ha tra l'altro avuto l'onere ed il merito di sdoganare la filosofia analitica e di indirizzarla verso le sponde di un recupero del pragmatismo. Si tratta di un chiaro tributo teorico, e personale, di Bernstein a Richard Rorty2, e nello specifico alla sua tanto acclamata etichetta di Svolta linguistica – The Linguistic Turn3 appunto. Per cogliere al meglio la dimensione dello scritto, è utile portare in superficie un aspetto che può essere colto come irrilevante, ma che dice tantissimo della cifra teoretica di Bernstein, e di tutta la portata del suo pensiero. Difatti, la presenza di Rorty nella sua riflessione personale, è esplicita, ed è facilmente rilevabile nel momento in cui l'autore dichiara che «nessun altro filosofo contemporaneo mi ha influenzato in maniera così creativa. Man mano che elaboravo la mia interpretazione del pragmatismo sentivo spesso che mi stavo rivolgendo a Rorty, direttamente o indirettamente, per provare a rispondere alle sue intelligenti sfide»4. In questo senso va letto il testo di Bernstein, che per quanto rigorosamente descrittivo e ampiamente esaustivo, non si manifesta come un'opera di carattere storiografico. É una guida completa, un'introduzione impeccabile, un resoconto sostanziale di una svolta
R. J. Bernstein, The Pragmatic Turn, Polity, Boston, 2010, tr. it. R. Kirchmayr, Sul pragmatismo. L'eredità di Peirce, James e Dewey nel pensiero contemporaneo, ilSaggiatore, Milano, 2015. 2 L'intero testo è dedicato, in incipit, proprio all'amico 'Dick' Rorty, e a sua moglie Mary Varney Rorty. 3 R. Rorty, The Linguistic Turn, Essay in Philosophical Method, University of Chicago Press, Chicago, 1967 tr. it. La svolta linguistica, Garzanti, Milano, 1994. 4 R. J. Bernstein, Sul pragmatismo, cit. p. 231. 1
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epocale5 della filosofia, ma non è una storiografia. Quello di Bernstein è più che altro un vero e proprio racconto. Un racconto coinvolto e coinvolgente, che ha la capacità di essere allo stesso tempo lucido e oggettivo nonostante l'autore stesso sia in primo piano intersecato all'interno della logica filosofica del pragmatismo, e ne sia un autorevole esponente nelle sue più recenti manifestazioni6. Per questo si può sostenere senza problemi che il testo di Bernstein sia effettivamente un racconto, nel farsi di una narrazione che mette insieme allo stesso tempo una memoria personale e una esperienza storica determinante, che ha nel coinvolgimento il suo punto di forza, e la vigorosa capacità di apportare una descrizione precisa ed autentica della portata filosofica del pragmatismo. Bernstein non vuole indagare ancora il pragmatismo, né andare a sploverarne gli sviluppi ed i ricorsi in senso prettamente storiografico; fa sì che il suo testo sia un punto di ricognizione da cui rendere davvero giustizia a quella prassi, concetto centrale del pragmatismo, che deve essere attività filosofica e pratica sociale nella quotidianità. Intende con questo libro mantenere viva una forma di riflessione, e apportare un contributo che non vada a definire una volta per tutte un movimento filosofico del passato, ma ad attualizzarne e a far giungere in elevazione la sua importanza nella riflessione contemporanea: La mia tesi fondamentale è questa: durante gli ultimi centocinquant'anni i filosofi che hanno lavorato nel solco di tradizioni diverse hanno esplorato e affinato alcuni temi basilari del movimento pragmatista. [...] Il libro non vuole essere una storia o un'indagine del pragmatismo. Ho vissuto con i pragmatisti per più di cinquant'anni e desidero condividere ciò che ho imparato da loro. Credo che le mie intuizioni originali sull'importanza del pragmatismo e sulla svolta epocale che ha prodotto siano state pienamente confermate. Oggi, in tutto il mondo, i filosofi discutono con vivacità e creatività sui temi del pragmatismo, che mai, in passato, hanno conosciuto una diffusione paragonabile a quella odierna7.
L'autore non si ferma quindi ad una distaccata analisi dell'orizzonte definitorio e storico del pragmatismo, ma rincara la dose ricavandone teoria e inaugurando l'apertura a nuovi dibattiti a partire dalle intrinseche pieghe del suo lavoro; è così che, introducendo il tema del pragmatismo nella sua accezione classica, partendo da Peirce, James e Dewey, si percorre nel corso delle pagine un viaggio intellettuale che porta ai giorni nostri, sino a Rorty, Putnam, Habermas e Bernstein stesso. Uno snodo teorico fondamentale è rappresentato dall'idea originale di Bernstein secondo cui differenti approcci filosofici siano convogliati completamente a conclusioni pragmatiste nel corso della storia del pensiero8. Sta in tal caso ribadendo un'idea centrale del suo percorso filosofico, già sostenuta a partire dagli anni Settanta, secondo cui il concetto di praxis, preminente nella teoria del pragmatismo e soprattutto nella riflessione di John Dewey, si sia altrimenti presentato, con derive puramente pragmatiste, in tradizioni di pensiero apparentemente distaccate quali il marxismo, l'esistenzialismo e la filosofia analitica9. Il tutto porta alla luce una delle caratterizzazioni principali del Ivi, p. 5. Il riferimento è ancora a R. Rorty, che in diversi luoghi ha sostenuto lo sviluppo di una cruciale ripresa del pragmatismo nelle ultime decadi, sotto il nome di quello che può essere agilmente definito come Neopragmatismo. Cfr. R. Rorty, Consequences of Pragmatism, University of Minnesota Press, Minneapolis, 1982, tr. it. Conseguenze del pragmatismo, Feltrinelli, Milano, 1986, ma si tenga presente anche Cfr. H. Putnam, Pragmatism. An Open Question, Blackwell, Oxford, 1995, tr. it. Il Pragmatismo. Una questione aperta, Laterza, Roma-Bari, 1992. 7 R. J. Bernstein, Sul pragmatismo, cit., p. 7. 8 Cfr. Ivi, pp. 25-34. 9 Id., Praxis and Action, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1971. 5
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pragmatista Bernstein: quella di essere stato e continuare ad essere un attento lettore delle dinamiche filosofiche della tradizione continentale. Nell'opera, un rilievo fondamentale è dato all'incrocio teorico che ad un certo punto il pragmatismo ha intrapreso con l'hegelismo – di cui Bernstein è stato uno dei pochi e primi lettori all'interno di un panorama reso saturo di letture alternative all'imperante presenza della filosofia analitica, quello Statunitense. Da ciò deriva l'accento posto nel testo all'importanza del teorizzare contemporaneo di autori come Richard Rorty, Robert Brandom e John McDowell e della loro proposta pragmatista che si avvia dalla lettura del kantismo e dell'hegelismo, ma anche delle influenze già esercitate da Hegel in primo luogo su Dewey e Peirce, ed in una fase di rinascita di un 'secondo pragmatismo' nelle pagine dei testi di Wilfrid Sellars. Riassuntivo ed utile è rifarsi direttamente alle sue parole, oltre che per cogliere l'importanza di questo paradigma anomalo del pragmatismo, che può apparire tale allo sguardo di un lettore non addentrato in tali tematiche, anche per toccare con mano la esplicita funzione non storiografica dello scritto bernsteiniano: Un filosofo vive e ci parla dal passato quando la sua opera diventa una sorgente feconda per la trattazione di problemi filosofici attuali, quand'essa può essere affrontata in modi nuovi. Altrimenti, tributare omaggi alla tradizione significa imbalsamarla. È quanto vedo accadere oggi negli Stati Uniti in relazione a Hegel. Per darne dimostrazione tornerò dunque a Sellars, il quale ci conduce indietro verso Peirce e in avanti verso i recenti contributi di John McDowell e Robert Brandom. Inoltre considererò rapidamente Richard Rorty, anche egli influenzato da Sellars e di cui Brandom è allievo. Rorty fu anche uno dei primi a registrare la svolta hegeliana10.
Un altro crocevia importante per un recupero del pragmatismo è poi letto nell'opera della seconda e terza generazione dei filosofi francofortesi, in Habermas prima, in Honneth poi. In tal caso è distintamente presente la riflessione sulla Democrazia portata avanti per tutta la sua vita da John Dewey. Un posto privilegiato all'interno del passaggio al 'neopragmatismo' è poi incentrato sui contributi determinati non solo del già citato Sellars, ma anche di Donald Davidson e Willard Van Omar Quine, imprescindibili per quel movimento di auto-dissoluzione della filosofia analitica nella lettura di Rorty, a sua volta visto da Bernstein come il promotore di un 'Umanismo profondo', o ancora della ristrutturazione adoperata da Putnam del pragmatismo soprattutto nell'ambito del superamento della erronea dicotomia sussistente tra Fatto e Valore. L'intento del pensatore statunitense è chiaro e diretto, e condotto con adeguatezza nel corso di tutta l'opera, che ha la proprietà di distinguersi in modo impeccabile nel suo essere al contempo una testimonianza eccellente del percorso del pragmatismo, ed una guida fondamentale per affacciarsi in modo approfondito a tali temi. Partendo dalle origini del pragmatismo classico e giungendo ai più vicini sviluppi in età strettamente contemporanea, il testo può intendersi come un resoconto davvero completo e ragionato dell'esperienza pragmatista - e neopragmatista in seguito. Nel complesso, il lavoro del filosofo americano, ha una portata di rilevante utilità, magistralmente accurata, che riesce a tenere insieme saldamente la doppia dialettica dell'esperienza personale in confronto con la portata storica di un movimento filosofico in prima facie; dall'altro quella dialettica di fondo della dimenticanza e del ricordo, di cui Bernstein non dichiaratamente si serve, che ha caratterizzato lo sviluppo del pragmatismo, nel corso degli eventi che hanno portato a suoi cruciali abbandoni e recuperi nel corso degli anni, e che confluiscono nella necessaria attualità della sua proposta di pensiero nel contesto della filosofia contemporanea tutta.
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R. J. Bernstein, Sul pragmatismo, cit., p. 117
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