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Il caso Oliari and others v. Italy e il riconoscimento giuridico dell’amore omoaffettivo: necessità o utopia? Nota a Corte europea dei diritti dell’uomo 21 luglio 2015 (ric. 18766/11 e 36030/11) di Luciano De Vita

1. – I dettami della recente sentenza del 25 luglio 2015 resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo all’esito della causa Oliari and others v. Italy (la sentenza è agevolmente reperibile al sito echr.coe.int; per un primo commento si segnala la nota di L. Paladini, L’inerzia del Parlamento italiano in tema di unioni civili al cospetto della Corte di Strasburgo, in questa Rivista, 2015-3) sul tema del riconoscimento e tutela dell’“amore” omoaffettivo, consente di ritornare sul tema, delicato e complesso, della protezione giuridica delle unioni omosessuali (sul tema si rinvia, ex multis, a G. C. Feroni, T. E. Frosini, La tutela della famiglia nelle democrazie contemporanee: tra pluralismo dei modelli e multiculturalismo, in Diritto pubblico comparato ed europeo, II, Torino, 2010, 391 ss.; F. Fiorillo, Matrimonio omosessuale: la lacuna italiana nella tutela dei diritti, alla luce della Costituzione e della normativa europea in Giur. Merito, 2009, 1848; T. E. Frosini, Nozze gay, chi si ferma è perduto, in www.confronticostituzionali.eu), incuneatosi in modo pervicace nel nostro ordinamento a far data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 130 del 2010, che ha aperto la strada al «riconoscimento e (alla) garanzia» (punto 10 del considerato in diritto) del diritto alla convivenza omosessuale (la sentenza è agevolmente reperibile al sito giurcost.org.; fra i numerosi commenti si segnalano, ex multis, R. Romboli, La sentenza 138/2010 della Corte costituzionale sul matrimonio tra omosessuali e le sue interpretazioni, www.dpce.it

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in www.rivistaaic.it; A. Ruggeri,“Famiglie” di omosessuali e famiglie di transessuali: quali prospettive dopo Corte cost. n. 138 del 2010? in www.rivistaaic.it; per una parte della dottrina la sentenza rappresenta una difesa del tradizionale valore della famiglia, vedi, in particolare, M. Croce, Diritti fondamentali programmatici, limiti all’interpretazione evolutiva e finalità procreativa del matrimonio: dalla Corte un deciso stop al matrimonio omosessuale, in www.forumcostituzionale.it). Tale diritto, espressione della realtà sociale e dell’evoluzione dei costumi, è da iscriversi a pieno titolo nel catalogo di quelli c.d. “nuovi”, ovvero «diversi, ulteriori (rispetto a quelli comunemente conosciuti), emergenti cioè dalla evoluzione sociale», prospettabili «indipendentemente da un loro riconoscimento normativo» (F. Modugno, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995) ed è inevitabilmente collegato alla fase di fragilità che contraddistingue il modello tradizionale di famiglia. La ricerca del “riconoscimento legale” da parte delle coppie omosessuali, costituisce uno dei punti più caldi del XXI secolo sul fronte del riconoscimento dei diritti civili. Tuttavia, e ciò spiega la particolare rilevanza e l’attualità della tematica, il nostro Paese, insieme alla Lituania, alla Lettonia, alla Polonia, alla Bulgaria e alla Romania, rappresenta uno dei pochi ordinamenti costituzionali contemporanei all’interno del quale si è molto parlato ma poco concretizzato. Non a caso, alla data di stesura del presente lavoro, è in discussione in Parlamento il c.d. “d.d.l. Cirinnà” sulla «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», il cui iter è attualmente “strozzato” dagli oltre 6000 emendamenti proposti (per un primo commento si segnala M. Gattuso, Le Unioni civili in mare aperto: ecco il progetto di legge che andrà in Aula in Senato, in www.articolo29.it). A bilanciare tale “atarassia giuridica” del nostro Paese, si contrappongono stimoli “nervosi” esterni favorevoli al riconoscimento giuridico del matrimonio o a forme alternative di riconoscimento e tutela delle unioni omosessuali, che provengono dal contesto sovranazionale.

2. – Sul piano comunitario, già da parecchi anni, le istituzioni hanno sollecitato gli Stati membri a riconoscere il principio di non discriminazione anche in ambito familiare. In particolare, con la Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 settembre 2015, ritenendo «che i diritti fondamentali delle persone LGBTI sarebbero maggiormente tutelati se esse avessero accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio», sono stati espressamente sollecitati i Paesi, tra i quali il nostro, a «prendere in www.dpce.it

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considerazione tali istituti», già adottati da diciotto Paesi membri o, ancora, a fornire adeguati strumenti di tutela legale alle unioni di fatto (etero e omosessuali) laddove non già giuridicamente disciplinate e, dall’altro, per gli Stati che riconoscono le unioni di fatto, a trattare in egual misura, anche sotto il profilo pensionistico, le coppie eterosessuali e quelle omosessuali. Sul piano normativo dell’UE si pensi ai Trattati europei e ad alcune Carte fondamentali,

potenti

strumenti

interpretativi

per

il

giudice

nazionale

anche

nell’applicazione del diritto statuale, nelle quali il divieto di discriminazione fondato sull’orientamento sessuale, il diritto a costituire una famiglia e il diritto al matrimonio trovano particolare enfasi e pieno riconoscimento, conferendo solennità a quei valori e principi condivisi dagli Stati membri assegnando, in particolare, una rilevanza autonoma al diritto di contrarre matrimonio rispetto a quello di creare una famiglia ed eliminando, quale presupposto per l’esercizio di questi diritti, la diversità di genere (per una ricostruzione della tutela delle coppie omosessuali nell’ordinamento dell’UE, si vedano, ex multis, P. Pallaro, I diritti degli omosessuali nella Convenzione europea per i diritti umani e nel diritto comunitario, in Riv. internaz. dir. uomo, 2000, 104 ss.; K. Waaldijk, Towards the recognition of same-sex partners in European Union law: expectations based on trends in national law, in R. Wintemute, M. Andenaes (cur.), Legal Recognition of Same Sex Partnership, Oxford, 2001, 635-651; F. Vari, Unità nella diversità: famiglia, unioni more uxorio e altre forme di convivenza tra principi costituzionali, suggestioni comparatistiche e diritto comunitario, in A. D’Atena, P. Grossi (cur.), Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo multilivello: tra Europa e Stati nazionali, Milano, 2004, 209-246).

3. – Sul piano del diritto comparato, terreno fertile sul tema, molteplici e variegate sono le soluzioni adottate, fin dagli anni Novanta. L’Europa è stato il primo continente ad aprire l’istituto del matrimonio alle coppie dello stesso genere, nonché il primo a offrire un riconoscimento formale alle unioni. Già dal 1989 la Danimarca, con la registreret partnerskab dalla quale derivano i medesimi effetti legali del matrimonio, ha assunto il ruolo di modello di riferimento per gli altri ordinamenti del nord Europa a cui è seguito un effetto “domino” in gran parte dell’Europa. Tale soluzione è stata poi adottata dalla Germania, dall’Austria, dalla Repubblica ceca, dall’Ungheria, dall’ Irlanda, dalla Slovenia, dalla Svizzera, dal Lichtenstein, dalla Grecia e da Malta (per quadro notevole di diritto comparato, non solo europeo, sulle unioni fra persone dello stesso genere, si veda, ex multis, P. Passaglia, Il matrimonio fra persone dello stesso sesso in alcuni Stati europei, in www.cortecostituzionale.it.). www.dpce.it

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Relativamente all’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali, sono stati i Paesi Bassi nel 2001 a modificare per via legislativa il matrimonio, scelta rimasta isolata fino al 2003, quando il Belgio ha compiuto lo stesso passo intervenendo sul codice civile. Nel 2005 ha modificato la propria disciplina codicistica la Spagna del Governo Zapatero, seguito nell’ordine da Svezia e Norvegia (2009), da Islanda (2010) e Portogallo (2010), dalla Francia (2013), dal Regno Unito (2014), dal Lussemburgo (2015), Irlanda (2015) e dalla Finlandia (dal 2017). Infine, con riferimento ai Paesi extraeuropei, in tutti i continenti sono presenti ordinamenti che riconoscono tutela alle unioni omosessuali. Fra i tanti, l’Argentina, l’Uruguay, gli Stati Uniti d’America dopo la sentenza Obergefell v. Hodges (la sentenza è agevolmente reperibile al sito supremecourt.gov; per un primo commento si rinvia a E. Falletti, Democrazia e diritti fondamentali: il caso dei referendum sui same-sex marriage in Irlanda e negli Stati Uniti, in questa Rivista, 2015-2), il Canada, il Messico (non in tutta la Federazione), la Nuova Zelanda e il Sudafrica.

4. – Nell’attesa che questi stimoli diventino realtà giuridica, sono stati i giudici a essere investiti delle domande di tutela. La Corte europea dei diritti dell’uomo attraverso il suo dictamen sussidiario, con i suoi vincoli più o meno stringenti, ha condannando l’Italia per “omissione legislativa” in materia di unioni omosessuali. La direttrice di fondo dell’intera ed articolata decisione dei Giudici di Strasburgo si snoda lungo il solco tracciato sia dalla propria giurisprudenza sia dalla giurisprudenza delle Corti apicali nazionali nell’ultimo lustro. Partendo dalla prima storica decisione della Corte costituzionale sul tema, la sentenza n. 138/2010 (cit.), la Corte, per la prima volta nella storia repubblicana, escludendo l’illegittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis del c.c. che limitano l’applicazione dell’istituto matrimoniale alle unioni tra uomo e donna, ha compiuto un’ampia apertura al riconoscimento del “diritto fondamentale” per le coppie omosessuali di «vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri» (punto 8 del considerato in diritto), assimilandole alle categorie delle formazioni sociali ex art. 2 Cost. Infatti, i giudici costituzionali nell’ambito della riflessione sulla nozione di “formazione sociale” precisano che la stessa deve intendersi come «ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello www.dpce.it

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pluralistico» (punto 8 del considerato in diritto). La sentenza, in considerazione del fatto che il tema delle unioni omosessuali ha un “alto contenuto sociale” più che giuridico, incorpora anche un monito al legislatore affinché, nell’ambito del suo potere discrezionale, introduca una legislazione finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia omosessuale, come già avvenuto per le convivenze more uxorio. Questo storico “monito” con cui la Corte, richiamando l’art. 12 della CEDU e l’art. 9 della Carta di Nizza i quali prevedono il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia «secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto», cerca di scuotere il suo interlocutore, e cioè il legislatore, è rimasto a tutt’oggi inascoltato. La citata sentenza precede l’altrettanto nota sentenza Schalk and Kopf del 24 giugno del 2010, con cui la Corte di Strasburgo stabilisce che le coppie formate da persone dello stesso sesso rientrino nella definizione di “vita familiare” di cui all’art. 8 CEDU (la sentenza è agevolmente reperibile al sito echr.coe.int, ed è stata ampiamente commentata dalla dottrina. Tra i vari commenti, si veda, ex multis, F. Crisafulli, Same-Sex Couples’ Rights (Other than the Right to Marry) Before the ECtHR, in D. Gallo, L. Paladini, P. Pustorino (cur.), Same-Sex Couples before National, Supranational and International Jurisdictions, Springer/TMC Asser Press, Berlin/The Hague, 2014, 409 ss.). La decisione in commento, che ha avuto grande eco nell’opinione pubblica italiana, è stata emessa a seguito di due diversi ricorsi riuniti (il n. 18766/11 e il n. 36030/11) presentati da tre coppie di cittadini italiani rispettivamente il 21 marzo e il 10 giugno 2011. Dopo avere dichiarato ammissibile ciascuno dei ricorsi proposti, la CO.D.U. li ha esaminati nel merito. I ricorrenti lamentavano la violazione, da parte dello Stato italiano, degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 12 (diritto al matrimonio) e 14 (divieto di discriminazione) della CEDU a causa della totale mancanza di una disciplina che consentisse loro di contrarre matrimonio o, in alternativa, di dar vita ad altro tipo di unione civile giuridicamente valida ed efficace. Le tre coppie, infatti, in tempi diversi, avevano tentato di ottenere dall’Ufficiale di stato civile dei rispettivi comuni di residenza le pubblicazioni di matrimonio, ricevendo, tuttavia, un rifiuto. Nel merito, deve premettersi che la CO.D.U ha respinto il primo ricorso nella parte in cui lamentava la violazione dell’articolo 12 (da solo o in combinato con l’art. 14) della convenzione, in quanto l’ordinamento italiano, non prevedendolo, avrebbe violato il diritto al matrimonio delle coppie omosessuali. Non senza avere ricordato che la convenzione è uno strumento www.dpce.it

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vivente, e che il diritto al matrimonio non deve essere considerato come limitato alle coppie eterosessuali, la CO.D.U, nel confermare la propria giurisprudenza (sentenza Schalk und Kopf del 24 giugno 2010, agevolmente reperibile al sito echr.coe.int), perviene ad una interpretazione particolarmente ossequiosa del margine di apprezzamento dei singoli Stati i quali «si trovano in una posizione migliore per valutare e rispondere alle esigenze della società» (par. 191). Poiché solo alcuni Stati contraenti appartenenti al Consiglio d’Europa ammettono il matrimonio egualitario non si può considerare esistente un consensus tale da far considerare l’articolo 12 interpretabile nel senso di imporre un obbligo agli Stati membri di riconoscere necessariamente alle coppie omosessuali il matrimonio. Pertanto, le eventuali forme di tutela per le tali coppie restano tuttora riservate alla discrezionalità del legislatore statale (par. 177-178). Passando al tema centrale della decisione, i Giudici della CO.D.U. rilevano che in Italia è assolutamente carente una disciplina di riconoscimento e di tutela dei diritti fondamentali delle coppie omosessuali, respingendo, in modo del tutto condivisibile, l’argomento sostenuto dalla difesa erariale secondo cui alcune tutele sarebbero riconosciute dai registri comunali delle unioni civili, atti che hanno un valore meramente simbolico, affermando la scarsa rilevanza dei cosiddetti accordi di convivenza che non hanno lo scopo del riconoscimento e della tutela della coppia. Pertanto, hanno ritenuto che la mancanza di una normativa volta al riconoscimento giuridico e alla tutela delle coppie formate da persone del medesimo genere contrastasse con l’art. 8 CEDU, ricordando che tale disposizione, diretta a proteggere gli individui dalle ingerenze arbitrarie dello Stato nella loro vita privata e familiare, può anche imporre allo stato l’adozione di misure positive finalizzate a rendere concreto ed effettivo il rispetto dei diritti dalla stessa tutelati (par. 159). Nell’applicare le misure positive, lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento, ma, secondo la giurisprudenza della Corte, quando si tratta di aspetti particolarmente importanti della vita privata, tale margine può essere soggetto a restrizioni.

5. – Orbene è chiaro che la condanna inflitta all’Italia dai Giudici di Strasburgo impone al nostro Paese un salto poderoso nella direzione della tutela di tali diritti, i quali non potranno certamente essere negati in favore di chi manifesta una differente propensione affettiva ma che, al contrario, dovranno richiedere una configurazione giuridica certa da parte del legislatore, tenuto conto del bilanciamento tra interessi del www.dpce.it

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singolo e della comunità. Il margine di apprezzamento per l’Italia si riduce in considerazione del grado elevato di accettazione della società rispetto alle unioni dello stesso sesso e dei richiami giurisprudenziali. L’ultimo dubbio è: matrimonio o unioni civili? Se si procede nel solco tracciato dalla giurisprudenza costituzionale non si può che confermare il presupposto eterosessuale del matrimonio (art. 29 Cost.), istituto particolarmente radicato nei caratteri culturali della società italiana, residuando in favore delle coppie omosessuali una tutela “ragionevole” realizzabile attraverso le c.d. unioni civili. Ecco, dunque, che il parametro della ragionevolezza si pone ancora come faro del diritto e canalizzatore del volere sociale. Solo la trasformazione ermeneutica del concetto costituzionale di “società naturale” potrebbe far propendere verso l’apertura del matrimonio a persone appartenenti allo stesso sesso, opzione questa, tuttavia, ancora difficilmente praticabile. Per queste ragioni quindi sarebbe ben più ragionevole ammettere una regolamentazione delle unioni civili che sia ovviamente tesa a garantire diritti ma a prevedere anche doveri dei membri della coppia, in condizioni di uguaglianza con le coppie etero, così liberando l’amore dalle strette reti del diritto ma stabilendo, al contempo, il diritto d’amare. Last but not least, ritenendo che la giurisprudenza – rimediando all’inerzia del legislatore – ha saputo dare risposte convincenti alle molteplici questioni che si sono state poste, il dibattito politico emerso nel corso dei lavori parlamentari sul d.d.l. Cirinnà, mi spinge a ritenere che il legislatore avrebbe potuto muoversi attribuendo al metodo comparato un ruolo decisivo nella stesura del d.d.l., in quanto tale metodo rappresenta uno strumento fondamentale della normazione (sul tema si veda T.E. Frosini, Legislazione e comparazione, in Dir. pubbl. comp. eur., 1/2015, 63 ss.).

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