ISSN 2037-6677

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FRANCIA - Il Governo francese risponde agli attentati del 13 novembre 2015 proclamando lo stato di emergenza e proponendo una revisione costituzionale di Anna Maria Lecis

Nella notte tra il 13 e il 14 novembre, a poche ore dai primi attacchi terroristici allo Stade de France e nella città di Parigi e quando ancora la presa di ostaggi al teatro Bataclan era in corso, il Presidente della Repubblica François Hollande ha indetto un Consiglio dei ministri e annunciato in un discorso alla nazione le prime misure che sarebbero state adottate a partire dalla mezzanotte per far fronte agli attentati. Così come preannunciato dal Presidente, il Consiglio dei ministri straordinario tenutosi a mezzanotte ha decretato lo stato di emergenza in applicazione della legge n. 55-385 del 3 aprile 1955 e imposto un giro di vite nei controlli alle frontiere, la cui reintroduzione era già stata prevista per ragioni di pubblica sicurezza legate allo svolgimento, nella stessa Parigi, della Conferenza COP21. Lo stato di emergenza statuito col decreto del 14 novembre prevede, come disposto dalla legge, un allargamento dei poteri del prefetto e delle forze di polizia e, in particolare, la possibilità di istituire dei coprifuoco (azione che è stata messa in pratica in un quartiere della cittadina di Sens con decreto del prefetto di Yonne del 20 novembre), di vietare la circolazione in alcune zone, di effettuare perquisizioni di giorno e di notte, di vietare le riunioni in luogo pubblico, di imporre la chiusura di www.dpce.it

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sale di spettacolo. Inoltre, il Ministro dell’interno può imporre la misura cautelare degli arresti domiciliari; misura, questa, che durante la conferenza COP21 è stata utilizzata nei confronti di alcuni attivisti ambientalisti per motivi di ordine pubblico non direttamente collegati alla lotta al terrorismo. Quanto alle misure di divieto di riunione e manifestazione, sono state applicate essenzialmente a Parigi e e nella regione parigina, in concomitanza alla COP21 e, in alcuni casi fino a metà dicembre, anche se per qualche giorno si sono avute restrizioni anche nel resto del territorio nazionale. In principio dichiarato, a partire dalla mezzanotte del 14 novembre, su tutto il territorio metropolitano e in Corsica (e poi esteso il 19 novembre alle collettività d’Oltremare all’eccezione dei territori del Pacifico e di Saint-Pierre-e-Miquelon), lo stato di emergenza avrebbe dovuto durare 12 giorni, termine massimo previsto dalla legge del 1955 in mancanza di proroga legislativa. Tuttavia, prima della scadenza, il Parlamento ha adottato una legge volta a prorogare il regime d’eccezione istituito il 14 novembre e ad ampliarne e precisarne il contenuto e le condizioni di applicazione. La legge n. 2015-1501 del 20 novembre, infatti, da un lato dispone, nel suo articolo 1, la proroga dello stato di emergenza per la durata di tre mesi dalla sua scadenza naturale al termine dei primi 12 giorni (ovvero dal 26 novembre); d’altro lato, interviene sul contenuto, rafforzando nel complesso i poteri di polizia e del Ministro dell’interno, in particolare con riferimento alle misure cautelari e allo scioglimento di associazioni, e introducendo una forma di controllo parlamentare. Viene inoltre soppressa la disposizione, mai applicata, che autorizzava il controllo sulla stampa e le trasmissioni radio. Il ricorso da parte dei prefetti e delle forze di polizia ai poteri eccezionali conferiti loro dallo stato d’emergenza non ha mancato di destare preoccupazioni e in alcuni casi anche forti critiche da parte delle organizzazioni di difesa dei diritti umani che hanno stigmatizzato, da un lato, il fatto che una parte della popolazione sia maggiormente soggetta ai controlli in forza di caratteristiche etniche e, dall’altro, l’impiego generalizzato di tali poteri eccezionali anche per scopi che esulano dall’emergenza terroristica (come nel caso degli arresti degli attivisti ambientalisti in occasione della conferenza COP21). Tuttavia, secondo le informazioni ufficiali fornite dal Governo sull’applicazione dello stato di emergenza, la stragrande www.dpce.it

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maggioranza delle misure sono state effettivamente adottate nei confronti di persone,su cui vi era fondato timore di un coinvolgimento in di azioni terroristiche. Quanto al rischio di violazione dei diritti fondamentali nell’esecuzione di misure eccezionali autorizzate dallo stato di emergenza, bisogna segnalare che, con comunicazione del 24 novembre, il Governo francese ha informato la Corte europea dei diritti dell’uomo della possibilità che lo Stato deroghi agli obblighi imposti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come previsto dall’art. 15 «in caso di ... pericolo pubblico che minacci la vita della nazione». La disciplina dello stato di emergenza di cui alla legge n. 385 del 1955, oggi modificata, risaliva all’epoca della guerra in Algeria. Prima del 13 novembre, tale regime eccezionale era stato applicato 5 volte, di cui solo tre nel territorio metropolitano. Nel 1955, all’indomani dell’adozione della legge, esso fu adottato per il territorio algerino. Sempre durante la guerra di Algeria, lo stato di emergenza fu proclamato altre due volte, nel 1958 e nel 1961, ma sul territorio metropolitano, per il rischio di attentati e di un eventuale colpo di Stato che facesse seguito a quello di Algeri. Lo stato di emergenza del 1961 fu prorogato a più riprese, senza alcun controllo parlamentare o costituzionale, fino al 1963. Nel 1984 fu invece proclamato in Nuova Caledonia e prorogato per una durata di 6 mesi. L’unico precedente nel territorio della Francia metropolitana successivamente alla guerra di Algeria si è avuto nel 2005, quando l’allora Presidente Chirac lo istituì all’indomani dei cosiddetti “moti delle banlieues”, in una parte del territorio, tra cui la regione parigina. Nel 2007, in occasione dei lavori in vista della revisione del 2008, il Comitato Balladur (il “Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et le rééquilibrage des institutions”) aveva proposto di dare un fondamento costituzionale alla disciplina dello stato di emergenza, rinviando poi ad una legge organica la definizione delle condizioni della sua proclamazione e attuazione. Tale proposta, respinta all’epoca, è tornata in auge oggi con una proposta del Presidente Hollande che sta già facendo molto discutere. In un discorso tenuto dinanzi al Parlamento riunito in Congresso (seconda volta che tale procedura è stata messa in pratica da quando questa possibilità, fortemente voluta da Sarkozy, è stata introdotta con la revisione costituzionale del www.dpce.it

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2008), Hollande ha infatti annunciato, tra la altre cose, di voler proporre una modifica della Costituzione per inserirvi la disciplina dello stato di emergenza. L’altra importante modifica costituzionale prevista è la perdita della nazionalità francese per i cittadini con doppia nazionalità, nati francesi, che siano stati condannati per atti di terrorismo. Queste proposte hanno cominciato a dividere politici e costituzionalisti ancora prima di essere formalizzate nero su bianco in un progetto di legge costituzionale a firma del Presidente della Repubblica. Il progetto di legge costituzionale preannunciato da Hollande a Versailles è stato depositato all’Assemblea nazionale il 23 dicembre 2015. Esso comprende due articoli relativi, rispettivamente, alle condizioni di proclamazione e di applicazione dello stato di emergenza e alla decadenza della nazionalità per i francesi dotati di doppia nazionalità che siano stati condannati per crimini gravi connessi col terrorismo. Questo secondo articolo intende dunque estendere a coloro che siano cittadini francesi dalla nascita il regime attualmente in vigore, in virtù di disposizioni legislative, per i soli cittadini francesi in possesso di doppia cittadinanza che abbiano acquisito la cittadinanza francese da meno di dieci anni. Questa misura, che secondo i sondaggi incontrerebbe il favore di una larghissima maggioranza dei francesi, sta però destando critiche provenienti non solo da una parte, a dire il vero minoritaria, dell’opposizione, ma anche da diversi esponenti della maggioranza e perfino del Governo stesso. Sta destando infatti molto scalpore l’opposizione al provvedimento da parte della Guardasigilli Christiane Taubira, che lo giudica inefficace e inutilmente discriminatorio e divisivo. In effetti, sono molti, nel partito socialista e in altre formazioni politiche di sinistra, a sottolineare come questa misura sia una sorta di riconoscimento costituzionale della superiorità della cittadinanza per ius sanguinis su quella ottenuta per ius soli e quindi, in definitiva, una messa in discussione di quest’ultima, dal momento che in tutta evidenza i cittadini francesi dotati di doppia nazionalità dalla nascita sono prevalentemente coloro che, figli di immigrati e dunque cittadini di un altro Paese per discendenza, hanno acquistato la cittadinanza francese per il fatto di essere nati sul territorio della Repubblica. Prevedere una misura di decadenza della nazionalità che colpisce esclusivamente questa categoria significa considerare la loro come una cittadinanza di serie B e inasprire così le www.dpce.it

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divisioni all’interno del Paese in un momento in cui la pace sociale è già messa a dura prova dall’esasperazione mediatica e politica del conflitto tra “francesi repubblicani” e “integralisti musulmani”. D’altro canto c’è chi pone il problema della violazione del principio di uguaglianza tra cittadini francesi dalla nascita proponendo però una soluzione alternativa

che contempli anche la decadenza: l’estensione della sanzione

dell’“indegnità nazionale” anche ai cittadini francesi che non abbiano una seconda nazionalità; provvedimento, questo, che non sembra avere molte possibilità di superare il vaglio della commissione dal momento che avrebbe per effetto la creazione di apolidi. Il Consiglio di Stato, nel suo parere obbligatorio reso sul progetto di legge (e pubblicato dal Governo secondo la pratica inaugurata dalla Presidenza Hollande), aveva sottolineato l’esigenza di restringere le condizioni di applicazione della sanzione limitandole ai soli crimini più gravi contro la vita della nazione, per non incorrere in una violazione del criterio di proporzionalità, sanzionabile dalle Corti europee. Su tale riserva, esso ha in definitiva ritenuto che la misura della decadenza della nazionalità così come prevista nel progetto sia da ritenersi costituzionalmente e convenzionalmente ammissibile, mentre ha espresso perplessità per un’eventuale estensione della misura nei confronti di tutti i cittadini francesi anche sprovvisti di doppia nazionalità. Per quanto riguarda invece l’inserimento dello stato di emergenza in Costituzione, anche qui si registra qualche voce critica, invero più tra i costituzionalisti che nell’alveo della politica. È stato infatti osservato che se l’ancoraggio costituzionale permetterebbe di definire condizioni e limiti di applicazione della disciplina, sottraendo alla legge ordinaria una materia così delicata all’eterna ricerca dell’equilibrio tra garanzia delle libertà fondamentali e pubblica sicurezza, d’altro lato sottrarrebbe tali condizioni e limiti al controllo del giudice costituzionale; eventualità, questa, che non può che preoccupare, in particolare davanti ad una revisione costituzionale proposta “di pancia”, in reazione a fatti tragici e scioccanti per la nazione che rischiano di far pendere l’ago della bilancia sulla sola sicurezza, a discapito delle libertà fondamentali.

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Il progetto di legge sarà esaminato a febbraio dall’Assemblea nazionale e nella prima metà di marzo dal Senato. Ai sensi dell’articolo 89 della Costituzione, il Presidente Hollande potrà allora, in caso di voto favorevole da parte delle maggioranze di entrambe le camere, evitare il referendum convocando il Parlamento in seduta comune, nel Congresso, il quale dovrà votare il testo con la maggioranza dei tre quinti. La primavera potrà dirci quale sarà la risposta costituzionale della Francia alla minaccia terrorista interna.

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