A.S. 2016-'17

ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE-RUFFANO

MACROTEMATICA D’ISTITUTO

Economia senza Natura? (…alla ricerca di un modello per vivere … TUTTI!)

EQUO

VIVIBILE

SVILUPPO SOSTENIBILE

Dopo l’Ambiente, nella sua Biodiversità e la Società, nelle sue Diversità Culturali, il percorso formativo interesserà l’Economia come modello etico-ecologico in interconnessione con Ambiente e Società in funzione dello Sviluppo Sostenibile.

Approccio alla tematica… (Tratto da P. Barrotta, docente Università di Pisa, Filosofia della Scienza)

Nonostante “economia” ed “ecologia” siano due discipline scientifiche che condividono la stessa radice etimologica – “oikos” ovvero la “casa” o l’ambiente di vita che va amministrato e studiato – si sono storicamente sviluppate lungo linee assai differenti. L’economia si è concentrata sull’uomo, giungendo ad ignorare la natura; l’ecologia si è al contrario concentrata sullo studio della natura, ignorando l’uomo e la società umana. È questa una situazione non realistica dato l’impatto della crescita economica sulla natura e il ruolo che le risorse naturali hanno, a loro volta, sulla velocità e sul tipo di crescita economica. Per il senso comune, vi è una chiara e inequivocabile relazione tra l’economia e la natura: l’uomo prende dalla natura del materiale che viene lavorato e trasformato in modo da consentirne il consumo e, infine, parte del materiale in precedenza prelevato ritorna alla natura sotto forma di rifiuti. Questa immagine dell’economia e della natura, per quanto assai generica, influenzò i primi economisti. Per i fisiocratici, tutta la ricchezza nasce dalla terra. Anche per gli economisti classici la terra svolge un ruolo centrale… Si tratta perciò di una importante concezione filosofica, ad un tempo scientificamente rilevante e fortemente radicata nel senso comune. Credo che i più ritengano ovvio che l’economia sia una parte del più ampio sistema della natura. Questa, infatti, sembra situarsi sia all’inizio che alla fine del processo economico. Ciononostante, non riusciremmo a ritrovare questa immagine filosofica nei libri di testo adottati nei corsi odierni di economia.

E’ questa, invece, l’immagine che rappresenta un “circuito economico”, riportata nelle pagine iniziali di pressoché tutti i libri di testo elementari di economia. Vediamo, da una parte, le famiglie e, dall’altra, le imprese. Le famiglie domandano beni e servizi alle imprese pagandoli in denaro. È questo il mercato dei beni di consumo. Dall’altro canto, troviamo il mercato dei fattori produttivi, dove le famiglie offrono il loro lavoro alle imprese ricevendone in cambio il salario ed altri redditi. Tra i due mercati vi è un flusso circolare che in teorie si può protrarre nel tempo senza avere un inizio e senza aver una fine… Ma non ritroviamo affatto la natura: abbiamo un’economia senza natura…

Si è verificato un rovesciamento della relazione tra economia e natura:

MATERIA

MATERIA

NATURA

ENERGIA

ESTRAZIONI RIFIUTI

ECONOMIA ENERGIA

NATURA

Immagine tradizionale del rapporto tra Economia e Natura

ECONOMIA Immagine rovesciata del rapporto tra Economia e Natura

La profonda diversità filosofica di queste due immagini del rapporto tra economia e natura spiega il prolungarsi della controversia sui limiti dello sviluppo. Per i sostenitori dell’’immagine tradizionale’, in anni passati la natura non rappresentava un vincolo allo sviluppo soltanto perché era enormemente estesa rispetto alle esigenze dell’economia. Erano i tempi della cowboy economy, per riprendere una frase resa popolare da Kenneth E. Boulding, quando territori immensi si aprivano davanti all’intraprendenza umana, così estesi da sembrare infiniti. Tuttavia, come si evince dalla figura a sinistra, lo sviluppo dell’economia necessariamente trova un limite superiore (si pensi ad un processo in cui il rettangolo che raffigura l’attività economica è in crescente espansione, sino a riempire l’intero rettangolo rappresentante la natura). Al contrario, nell’immagine a destra, implicita nell’approccio della maggioranza degli economisti, non c’è alcun limite superiore allo sviluppo economico: la natura non racchiude la sfera economia, ma al contrario è una sua componente. Da una testimonianza di Boulding (1910-1993 economista, pacifista e poeta inglese): “Sia pure in modo pittoresco chiamerò ‘economia del cowboy’ l’economia aperta; il cowboy è il simbolo delle pianure sterminate, del comportamento instancabile, romantico, violento e di rapina che è caratteristico delle società aperte. L’economia chiusa del futuro dovrà rassomigliare invece all’economia dell’astronauta: la Terra va considerata una navicella spaziale, nella quale la disponibilità di qualsiasi cosa ha un limite, per quanto riguarda sia la possibilità di uso, sia la capacità di accogliere i rifiuti, e nella quale perciò bisogna comportarsi come in un sistema ecologico chiuso capace di rigenerare continuamente i materiali, usando soltanto un apporto esterno di energia” …. E inoltre “la nave spaziale ha due ponti: nel ponte superiore si trovano gli abitanti opulenti del Nord del mondo; nella stiva la maggior parte dei terrestri, abitanti dei paesi poveri del Sud del mondo, il cui numero aumenta continuamente, come aumenta la consapevolezza delle condizioni inique in cui sono stati finora relegati”. Boulding ha percorso un cammino parallelo a quello di Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994 economista rumeno, fondatore della bioeconomia (o economia ecologica) e della decrescita.

Georgescu-Roegen sostiene che qualsiasi scienza che si occupi del futuro dell'uomo, come la scienza economica, deve tener conto della ineluttabilità delle leggi della fisica ed in particolare del secondo principio della termodinamica, secondo il quale alla fine di ogni processo la qualità dell'energia (cioè la possibilità che l'energia possa essere ancora utilizzata da qualcun altro) è sempre peggiore rispetto all'inizio. Qualsiasi processo economico che produce merci materiali diminuisce la disponibilità di energia nel futuro e quindi la possibilità futura di produrre altre merci e cose materiali. Inoltre, nel processo economico anche la materia si degrada, ovvero diminuisce tendenzialmente la sua possibilità di essere usata in future attività economiche: una volta disperse nell'ambiente le materie prime precedentemente concentrate in giacimenti nel sottosuolo, queste possono essere reimpiegate nel ciclo economico solo in misura molto minore ed a prezzo di un alto dispendio di energia. Materia ed energia, quindi, entrano nel processo economico con un grado di entropia relativamente bassa e ne escono con un'entropia più alta. Da ciò deriva la necessità di ripensare radicalmente la scienza economica, rendendola capace di incorporare il principio dell'entropia e in generale i vincoli ecologici. La teoria della bioeconomia è poi stata tradotta nel sistema economico della decrescita: visto che materia-energia entrano nel processo economico in uno stato di bassa entropia e ne escono in uno di alta formula la sua controversa quarta legge che dice: in un sistema chiuso (come la terra) il lavoro meccanico non può crescere ad un tasso costante per sempre o, più semplicemente, la materia non può essere completamente riciclata. Una tecnologia che diminuisca irrimediabilmente le riserve di materie o generi inquinamento o violi la capacità delle stesse di rigenerarsi, non è sostenibile. La rilevanza di ciò, è che tutti i processi produttivi sono caratterizzati dall’afflusso di materie dalla natura e dal deflusso di rifiuti alla natura e sono, dunque, limitati. Il PIL Il grande dono degli economisti al mondo è rappresentato dalle statistiche del reddito nazionale, del Prodotto Interno Lordo (PIL), e della sua crescita percentuale. Però, come ogni economista sa, il calcolo del PIL è un puro esercizio di fantasia e, anche se i numeri fossero veri, il PIL è una ben miserabile misura del benessere. Il PIL può crescere grazie alla corsa agli armamenti o alla costruzione di dighe inutili. Il Prodotto Interno Lordo dovrebbe essere depurato dai costi della produzione di armi e di mantenimento degli eserciti, costi che non hanno niente a che fare con la difesa. Dovrebbe essere depurato anche dai costi del pendolarismo e dell’inquinamento. Quando qualcuno inquina qualche cosa e qualcun altro depura, le spese per la depurazione fanno aumentare il PI, ma il costo dei danni arrecati dall’inquinamento non viene sottratto, il che, ovviamente, è ridicolo.

DISEGUAGLIANZA INTERNAZIONALE: la mappa indica la distribuzione dei guadagni mondiali nel 2015. Quanto più un Paese appare grande, tanto più è ricco. L'immagine qui sopra rappresenta un mondo economicamente diseguale, in cui qualcuno guadagna molto e qualcuno poco, così poco da avere spesso difficoltà a vivere, a comprare cibo a sufficienza e di qualità sufficiente, a mandare i figli a scuola, ad avere una casa decente.

Quanti sono i poveri al mondo? Tre miliardi di persone al mondo vivono con 2,5 dollari al giorno (1,8 euro). Sembra impossibile, ma è così. E non sono neppure i più "sfortunati": cifre ben più impressionanti si trovano nell’’economia della povertà’: 1. Acqua bene prezioso. Più di 1 miliardo di persone non ha accesso sufficiente all'acqua potabile e si stima che 400 milioni di queste siano bambini. 2. I bambini sono i più poveri. Su 2,2 miliardi di bambini al mondo, circa la metà, 1 miliardo vive in povertà. Secondo l'UNICEF, 22.000 bambini muoiono ogni giorno a causa dell'indigenza. Nel 2011, 165 milioni di bambini sotto i 5 anni erano rachitici a causa della malnutrizione cronica. 3. Ricchi e poveri. Le 300 persone più ricche del mondo possiedono la stessa ricchezza dei 3 miliardi dei più poveri. 4. Analfabetismo. Al mondo almeno 1 miliardo di persone sono totalmente analfabete, incapaci persino di scrivere il proprio nome. 5. Fame atavica. 870 milioni di persone soffrono di denutrizione, non hanno cioè cibo a sufficienza per sfamarsi. Di queste, 852 milioni vivono nei paesi in via di sviluppo e 16 milioni nei paesi sviluppati. Particolarmente in Africa il numero di affamati è cresciuto passando da 175 a 239 milioni, col risultato che 1 abitante del continente africano su 4 soffre la fame. 6. Povertà estrema. Nella povertà esiste un'ulteriore forma di indigenza, la cosiddetta "povertà estrema" alla quale appartiene chi vive con meno di 1,25 dollari: 1,4 miliardi di persone al mondo (di cui il 75% sono donne). Questo dato è ottenuto da una media delle soglie di povertà nei 15 paesi più poveri. Secondo la Banca mondiale il paese più povero del mondo è Haiti, dove più della

metà della popolazione (poco più d 10 milioni di abitanti) vive con meno di 1 dollaro al giorno, mentre circa l’80% del paese vive con meno di 2 dollari al giorno.

Ricchi e poveri: la crisi aumenta le diseguaglianze (LA REPUBBLICA 24 novembre 2014)

La crisi è una grande opportunità…! È dal 2008 che economisti, scienziati e politici ripetono a perdifiato questo mantra dal sapore antidepressivo. E infatti, per qualcuno, gli anni di declino economico sono stati un vero affare. Secondo la classifica dei super ricchi di Forbes (rivista statunitense di economia e finanza), i miliardari del pianeta sono raddoppiati: erano 793 nel 2009 oggi sono 1645. E non solo. Tra il 2013 e il 2014, le 85 persone più ricche al mondo hanno aumentato la loro ricchezza di 668 milioni di dollari al giorno, quasi mezzo milione di dollari al minuto. Negli ultimi 4 anni la ricchezza aggregata degli attuali miliardari è aumentata del 124% e ora è balzata a 5.400 miliardi di dollari, pari a due volte il Pil di paesi avanzati come la Francia. Purtroppo il resto del pianeta non può brindare con vecchi e nuovi miliardari. Perché, nello stesso lasso di tempo in cui sono prosperate le grandi fortune, la povertà si è diffusa sempre di più su scala globale. Tanto che gli 85 super miliardari posseggono la stessa ricchezza della metà della popolazione più povera al mondo. Anche Vandana Siva (1952, attivista e ambientalista indiana) sostiene che quando le economie sono misurate solo in termini di flussi di denaro le disuguaglianze crescono: i ricchi diventano più ricchi, i poveri più poveri. La domanda di risorse dell’attuale modello economico porta anche alla guerra per le risorse: guerre per il petrolio, guerre per l’acqua, guerre per il cibo. Ci sono tre livelli di violenza nello sviluppo non-sostenibile:  Il primo è la violenza contro la Terra che è espresso attraverso la crisi ecologica;  Il secondo è la violenza contro le persone, espresso attraverso la povertà, la miseria e le dislocazioni;  Il terzo è la violenza della guerra, dato che i potenti si accaparrano le risorse di altre nazioni più deboli a causa del loro illimitato appetito e della loro smania di crescita illimitata. E l'Italia? Secondo l'OCSE, da metà degli anni '80 fino al 2008, la disuguaglianza economica è cresciuta del 33% (dato più alto fra i paesi avanzati, la cui media è del 12%). Al punto che oggi l'1% delle persone più ricche detiene più di quanto posseduto dal 60% della popolazione (36,6 milioni di persone), mentre dal 2008 a oggi, gli italiani che versano in povertà assoluta sono quasi raddoppiati fino ad arrivare a oltre 6 milioni, rappresentando quasi il 10% dell'intera popolazione. Secondo la Coldiretti sono 4 milioni gli italiani che chiedono un aiuto per mangiare. Per la Cia, la confederazione degli agricoltori, le famiglie che hanno tagliato gli acquisti alimentari sono addirittura il 65% del totale.

Il coefficiente di calcolo che misura la concentrazione delle disuguaglianze è stato sviluppato da Corrado Gini, (1884-1965) statistico italiano di fama internazionale, nel 1912 sulla base delle differenze di reddito, il cui valore può variare tra zero e uno, oppure può essere espresso in percentuali da 0% - 100%. Valori bassi indicano una distribuzione omogenea, mentre valori alti una distribuzione più disuguale. Con la soluzione di Gini, la statistica sociale esce dalle variabili "mediane" (che rappresentante la maggior parte della popolazione, come il reddito pro capite o il PIL) per analizzare invece le differenze. Fino a ieri questo termometro misurava le distanze tra mondo industrializzato e quello in via di sviluppo. Oggi il solco che divide l'Italia è sempre più profondo. L'indice Gini di disuguaglianza nel nostro Paese è pari 0,32 a livello nazionale, 0,34 nel Sud. Il che vale a dire che il 20% più ricco delle famiglie percepisce il 37,7% del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta il 7,9%.

Ma come si spiega la disuguaglianza? L’economista francese Thomas Piketty (1971) in “Il capitale nel XXI secolo” non ritiene che la disuguaglianza sia la conseguenza necessaria della globalizzazione e del progresso tecnologico: l’esperienza di Paesi diversi nel corso della storia ha dimostrato che le peggiori disuguaglianze sono nate in realtà da deliberate scelte politiche ed economiche. I propulsori economici e politici della disuguaglianza, che spiegano in larga parte gli estremi a cui assistiamo oggi, sono due: il fondamentalismo del mercato e l’accaparramento del potere da parte delle élite economiche. In assenza di un intervento governativo questo modello economico tende a concentrare la ricchezza nelle mani di una piccola minoranza causando così un aumento della disuguaglianza. Da sempre gli interessi delle élite economiche e politiche inaspriscono la disuguaglianza. Con il denaro si compra l’influenza politica che i più ricchi e potenti usano per consolidare sempre più le loro posizioni di iniquo vantaggio. L’enorme potere di lobbying delle ricche corporazioni plasma le regole a loro favore ed ha rafforzato la concentrazione del potere e del denaro nelle mani di pochi. Le istituzioni finanziarie pagano oltre 120 milioni di dollari all’anno a schiere di lobbisti che hanno il compito di influenzare a loro vantaggio le politiche UE. UN MODELLO ECONOMICO SOSTENIBILE (Il ritorno alla cura della Terra…) Cosa è possibile fare affinché la situazione evolva un po' meno peggio rispetto a quanto accaduto fino a oggi? Secondo Petrini, fondatore di Slow Food e Terra Madre, " dietro alla situazione drammatica che è il depauperamento della terra c'è una logica economica ben chiara della quale non ci siamo ancora liberati ". Qual è questa logica? "Al centro non c'è il bene comune, al centro c'è il profitto". Petrini cita Pier Paolo Pasolini quando dice che senza più contadini e senza più artigiani non c'è più la storia: "La società agricola che sparisce per lasciare il posto a quella consumistica - prosegue - non è una questione di modernità, è una scelta".

Oggi non c'è più cibo, c'è solo più merce. Non conta quanto vale ma quanto costa. La nostra agricoltura è al disastro e lo è in modo strutturale. Uno che decide di tornare alla terra riesce a farlo solo se si inventa un metodo di distribuzione capace di creare reddito. In Italia celebriamo la retorica dell'Expo ma contemporaneamente stiamo chiudendo i caseifici che producono Parmigiano Reggiano. E' una logica perversa, un elemento distruttivo che ha generato il depauperamento del terreno agricolo. Il lavoro agricolo, peraltro, era anche un presidio per la pulizia dei fossi, dei boschi e il mantenimento delle colline affinché non franassero. Lo scellerato consumo di suolo libero, la cementificazione selvaggia, l´incuria cui sono sottoposti i terreni demaniali in svendita, i boschi, le coste e i suoli…non c’è cura. Non c´è cura se non si cura la piccola agricoltura di qualità, non c´è cura se si preferisce l´agricoltura dei grandi numeri, quella industriale che dicono «competitiva», che alla fine desertifica. Non c´è cura se c´è cemento ovunque… Un poeta come Tonino Guerra un anno fa mi ha detto: «L´Italia non è più bella come una volta perché una volta c´era chi la curava. Non erano dieci persone messe lì e pagate dallo Stato, erano quelli che l´abitavano: i contadini. Dobbiamo riapprendere quella forza d´amore che avevano loro». Bisogna tornare ad amare per davvero questa terra E dovrà essere green l’economia della rinascita Un processo già in atto, promosso e accelerato da due crisi: quella climatica e quella economica, iniziata con la recessione del 2008- 2009 e in molti paesi ancora in corso. Il perché lo spiega autorevolmente l’Ocse: le misure green incrementano la produttività delle risorse naturali, ormai scarse, rafforzano la fiducia degli investitori, aprono nuovi mercati, contribuiscono al risanamento dei conti pubblici con misure di fiscalità ecologica e attraverso l’eliminazione dei sussidi pubblici dannosi per l’ambiente e riducono i rischi degli impatti delle crisi ambientali. La green economy comincia a proporre risposte anche alla domanda di nuove qualità dello sviluppo, sollecitando nuovi indicatori capaci di andare oltre il Pil e di dare indicazioni più ampie e complete sul benessere. Un benessere che, per essere reale, deve affrontare le problematiche dell’impatto che il cibo ha sui cambiamenti climatici (e viceversa!), del suo ruolo nel garantire uno sviluppo rispettoso dell'ambiente e della società contro l’ingiusto quotidiano spreco (circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, ovvero un terzo degli alimenti prodotti, buttati via). Un concetto che si deve estendere a un'ampia fascia di lavori e di comportamenti, valorizzando chi re-impara il savoir faire del cibo e lo mette a disposizione della comunità con attività educative e di recupero, rivalutando prodotti tradizionali. Non si fa green economy solo con il solare o l'eolico ma con una vera rivoluzione che ci permette di lottare attivamente contro i cambiamenti climatici, ricostruendo l'intero sistema proprio partendo dal cibo. Anche con i piccoli gesti quotidiani, modificando la dieta o la nostra spesa o riducendo gradualmente lo spreco di cibo, possiamo influire su un nuovo modo di fare economia... A cura della DIRIGENTE

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che in teorie si può protrarre nel tempo senza avere un inizio e senza aver una fine... Ma. non ritroviamo affatto la natura: abbiamo un'economia senza natura.

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