Per questo intervento prendo spunto dalle domande che mi sono state rivolte e che riguardano la celebrazione dei sacramenti dell’IC. Un aiuto per impostare bene il discorso viene da un passaggio dell’Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis, scritta da Benedetto XVI nel 2007, al termine del Sinodo dei vescovi dedicato all’eucaristia. Mi riferisco al n. 17: Se davvero l’Eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, ne consegue innanzitutto che il cammino di iniziazione cristian a ha come suo punto di riferimento la possibilità di accedere a tale sacramento. A questo proposito, come hanno detto i Padri sinodali, dobbiamo chiederci se nelle nostre comunità cristiane sia sufficientemente percepito lo stretto legame tra Battesimo, Co nfermazione ed Eucaristia [la nota rimanda alla proposizione 13 del Sinodo . Non bisogna mai dimenticare, infatti, che veniamo battezzati e cresimati in ordine all’Eucaristia.

Nel numero successivo papa Benedetto indica la conseguenza pratica di questo discorso: A questo riguardo è necessario porre attenzione al tema dell’ordine dei Sacramenti dell'iniziazione. Nella Chiesa vi sono tradizioni differenti […]. Concretamente, è necessario verificare quale prassi possa in effetti aiutare meglio i fedeli a mettere al centro il sacramento dell'Eucaristia, come realtà cui tutta l’iniziazione tende.

A me pare che questi testi ci aiutino a cogliere il cuore del problema. Il problema non è anzitutto celebrare insieme la confermazione e l’eucaristia, oppure anticipare la cresima rispetto alla prima comunione. Il problema è aiutare i fedeli a percepire di fatto che l’eucaristia è la realtà cui tende tutta l’IC. Provo a sviluppare il discorso, cercando di rispondere a due domande: 1) in che senso l’eucaristia è la realtà cui tutta l’IC tende? 2) Come si può far sì che questo dato sia effettivamente percepito? 1. L’eucaristia, punto d’arrivo dell’IC Una premessa è d’obbligo. Grosso modo a partire dal concilio Vaticano II, quando si parla di IC, il punto di riferimento è costituito da ciò che la Chiesa propone quando un adulto chiede il battesimo; questa proposta è contenuta nel Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti (sigla RICA). Tenete presente che, in linea di principio, quel che vale per gli adulti che ricevono il battesimo vale anche quando riceve il battesimo un ragazzo in età scolare (grosso modo tra i 7 e i 14 anni). Il fatto di riferirci al battesimo degli adulti non implica alcuna svalutazione o rifiuto nei confronti del battesimo dei bambini piccoli. Il punto è che nel rito per gli adulti troviamo organizzati nella maniera più nitida e lineare gli elementi che costituiscono l’IC; quegli elementi che – fatte le dovute differenze – si possono ritrovare anche nel battesimo dei bambini. Per quanto riguarda la celebrazione dei sacramenti, il RICA propone che battesimo, cresima ed eucaristia vengano celebrati insieme, dopo che i candidati hanno percorso un cammino disteso e articolato di catecumenato. Il momento privilegiato per questa celebrazione è la Veglia Pasquale (n. 55). Questo modo di celebrare i sacramenti dell’IC mette in luce in maniera lampante quanto diceva Benedetto XVI: il fatto cioè che l’eucaristia rappresenta il termine, il punto d’arrivo dell’iniziazione cristiana. Di conseguenza, battesimo e cresima sono le tappe che portano a questa meta. Vediamo anzitutto in che senso l’eucaristia è il punto d’arrivo, il traguardo, la meta dell’IC. Lo scopo dell’IC nel suo insieme è quello di introdurre i credenti nella Chiesa in maniera piena e definitiva. Ma cos’è la Chiesa? Ci sono diversi aspetti per cui la Chiesa assomiglia ad altre istituzioni, organizzazioni, associazioni, gruppi… presenti nella società: ha una sua struttura visibile, fatta di persone e di rapporti tra le persone; fatta di luoghi, di edifici…; ha una sua organizzazione, una sua gerarchia; ha le sue regole… Però la Chiesa non è tutta in questi aspetti visibili, organizzativi, istituzionali. Nella sua realtà più profonda, nel suo cuore, la Chiesa è la comunione/relazione/amicizia degli uomini col Signore Gesù morto e risorto. Una comunione che non resta chiusa nell’interiorità di chi la vive, ma prende corpo, si rende visibile, storica, concreta attraverso le realtà visibili, organizzative e istituzionali che danno concretamente volto alla Chiesa. 1

Ora, il gesto fondamentale attraverso cui il Signore morto e risorto fa entrare gli uomini nel comunione con sé è la celebrazione eucaristica, cui si partecipa pienamente accostandosi alla mensa eucaristica. Partecipando alla celebrazione eucaristica, e soprattutto partecipandovi pienamente attraverso la comunione, i credenti sono raggiunti dal dono della vita di Gesù, offerta sulla croce, e sono coinvolti nella stessa carità di Cristo; contemporaneamente sono uniti fra loro e quindi sono costituiti come Chiesa. Diventano cioè il popolo di coloro che, con Cristo e come Cristo, sono resi capaci di donare la vita come Lui per risorgere un giorno con Lui. San Paolo scrive: «Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo» (1 Cor 10,16-17). Nutrendoci dell’unico pane eucaristico, che è il corpo del Signore, diventiamo anche noi corpo di Cristo: il corpo di Cristo che è la Chiesa. E dunque, se lo scopo dell’IC è quello di introdurre un credente nella Chiesa, questo scopo può dirsi raggiunto pienamente quando i credenti partecipano pienamente alla celebrazione eucaristica che li costituisce come Chiesa, li fa diventare Chiesa. Una volta individuato nell’eucaristia il punto d’arrivo dell’IC, battesimo e cresima possono essere riletti come le tappe che ci permettono di raggiungere questa meta. Vediamo in che senso. I credenti hanno bisogno dell’eucaristia per vivere col Signore e come Lui; hanno bisogno dell’eucaristia per essere Chiesa. Ma i credenti, lasciati a se stessi, non possono accedere all’eucaristia: sono infatti legati a un mondo dove il male è ben presente, e condiziona anche loro, e in tutti i modi li spinge a ripiegarsi su se stessi, invece che ad aprirsi al Signore e agli altri credenti. Per questo, per accedere all’eucaristia, i credenti hanno bisogno di rinascere: rinascere dall’acqua e dallo Spirito. I sacramenti del battesimo e della confermazione realizzano proprio questa rinascita e ciascuno di essi mette in primo piano un aspetto di questa rinascita. Il battesimo mette in primo piano il rinascere alla vita nuova, il passaggio radicale dalla morte alla vita, dalla sottomissione al peccato alla capacità di «camminare in una vita nuova» (Rom 6); tutto ciò implica già l’azione dello Spirito, senza il quale non c’è vita nuova. La cresima, da parte sua, mette in primo piano precisamente il dono dello Spirito. In questa linea, si può proporre una specie di uguaglianza: la cresima sta al battesimo, come la Pentecoste sta alla Pasqua. Attenzione: non sto dicendo che il battesimo corrisponde alla Pasqua e la cresima alla Pentecoste. Dico invece la relazione che c’è tra la Pentecoste e la Pasqua ci aiuta a intuire la relazione che lega la cresima al battesimo. In effetti, la Pentecoste non si aggiunge alla Pasqua, ma è il compimento, la pienezza della Pasqua, che rivela il Risorto come Colui che dona lo Spirito; similmente la confermazione non aggiunge un «di più» al battesimo, ma dice che la rinascita battesimale non è completa senza un rito che esplicitamente significa e realizza l’effusione dello Spirito, dando specifico rilievo a questo aspetto dell’unico mistero pasquale. Per spiegare il legame tra battesimo e cresima, c’è anche chi ha utilizzato un paragone di tipo musicale: ciò che già risuona nella liturgia battesimale (cioè l’azione dello Spirito) viene ripreso e svolto come “tema” nel rito della confermazione. 2) Come far sì che questo dato sia effettivamente percepito? A questo punto, in concreto, «è necessario verificare quale prassi possa in effetti aiutare meglio i fedeli a mettere al centro il sacramento dell’Eucaristia, come realtà cui tutta l’iniziazione tende». Questa richiesta deriva dalla natura stessa dei sacramenti, che esistono solo in quanto sono celebrati, cioè concretamente realizzati in una certa prassi celebrativa. Non si può dunque parlare di un senso/contenuto dei sacramenti a prescindere dal modo in cui vengono celebrati. Il senso/contenuto dei sacramenti si offre a noi grazie al modo concreto in cui vengono celebrati: ecco perché è importante verificare la prassi, cioè, appunto, il modo in cui i sacramenti vengono celebrati. Ma notate: Benedetto XVI chiede di verificare quale prassi meglio aiuti a percepire l’eucaristia come vertice dell’IC, ma non si spinge fino a indicare quale sia questa prassi. Questo vuol dire che le prassi per evidenziare la tensione dell’IC verso l’eucaristia possono essere diverse. 2

Tra le diverse prassi possibili, mi pare particolarmente adatta allo scopo quella di celebrare la cresima nella messa in cui i ragazzi si accostano per la prima volta alla comunione eucaristica. Questa possibilità suscita diverse obiezioni. A) L’obiezione più radicale è quella secondo cui, in fondo, anche la disposizione dei sacramenti cui siamo abituati (prima comunione, seguita dalla cresima a distanza di qualche tempo) può evidenziare il ruolo dell’eucaristia come punto d’arrivo dell’IC. In questa linea, nel catechismo della CEI per i cresimandi leggiamo: Il cammino di iniziazione cristiana comincia con il Battesimo, viene confermato con il sacramento della Cresima e trova il suo culmine nell’Eucaristia. Il fatto che il sacramento della Confermazione sia celebrato dopo la Messa di prima co munione, non deve far pensare che esso sia slegato dal ritmo proprio dei sacramenti della iniziazione cristiana. È necessario che la catechesi sulla Confermazione ponga in evidenza che sacramento della piena maturità cristiana resta sempre l’Eucaristia e la vita nuova che da essa scaturisce (Catechismo della Conferenza Episcopale Italiana per la vita cristiana, 4.2.3. / Sarete mi ei testimoni, Roma, 1991, 97).

Stando a questa indicazione, anche se la cresima è regolarmente celebrata dopo la messa di prima comunione, la catechesi dovrebbe mettere in evidenza che il cammino di IC trova il suo culmine nell’eucaristia. La situazione che si crea mi pare un po’ confusa. A parole la catechesi dice (o dovrebbe dire): l’eucaristia è il vertice. Contemporaneamente, però, la prassi dice un’altra cosa, perché la celebrazione sacramentale che conclude l’itinerario (cioè la cresima) appare di fatto come il vertice dell’itinerario stesso. B) Un’altra serie di obiezioni viene da chi ritiene che, celebrando insieme la cresima e la prima comunione, diventi difficile per i ragazzi apprezzare le singole celebrazioni e appropriarsi adeguatamente del dono di salvezza che ciascuna di esse porta in sé. La celebrazione unitaria, poi, finirebbe per mortificare soprattutto la cresima, anche perché, in diversi casi, bisognerebbe rinunciare alla presenza del vescovo. La questione dell’appropriazione personale del sacramento celebrato è seria, ma forse non si risolve semplicemente distinguendo le due celebrazioni. Sono altri gli strumenti da mettere in campo: si tratta in particolare di valorizzare il tempo che segue la celebrazione sacramentale. Ma su questo, mi pare, la vostra Diocesi sta opportunamente ragionando. Per quanto riguarda la cresima, mi chiedo se forse alla sua celebrazione non sia stata data un’enfasi eccessiva, sovraccaricandola di significati che vanno al di là di ciò che essa può effettivamente «sopportare». Probabilmente, ricollocata nella sua posizione di punto di passaggio verso l’eucaristia, la cresima non viene mortificata, ma ritrova il suo volto più vero. Quanto alla presenza del vescovo, è vero che la Chiesa d’Occidente l’ha molto valorizzata, per cui, anche oggi, il Codice di Diritto Canonico insegna che il vescovo è il ministro ordinario della cresima. Dopo il concilio Vaticano II, però, l’affermazione può essere intesa in senso un po’ più soft rispetto a prima; come dimostra l’ampia diffusione della delega che il vescovo accorda perché la cresima sia celebrata da chi vescovo non è. E mi chiedo: il fatto che un parroco – debitamente delegato – celebri la cresima e l’eucaristia nel corso della Veglia pasquale, mentre il vescovo fa la stessa cosa in cattedrale, non rappresenta forse un gesto eloquente di comunione ecclesiale attorno al vescovo? C) Resta infine la questione relativa all’età nella quale celebrare unitariamente cresima e prima comunione. La scelta fatta dalla vostra Diocesi colloca la celebrazione sacramentale unitaria verso la fine del quinto anno della scuola primaria (quinta elementare). C’è chi ritiene che la prima comunione collocata a questa età arrivi troppo tardi nella vita di un ragazzo. E non ha tutti i torti: se abbiamo battezzato un bambino piccolo, è sensato non ritardare troppo per lui la celebrazione degli altri due sacramenti dell’IC. D’altra parte, però, l’ispirazione catecumenale del percorso richiede una certa distensione nel tempo; e questa esigenza entra in qualche modo in tensione con la precedente. In fondo, però, l’età che risulta dalla composizione di queste due esigenze (grosso modo gli 11 anni) sembra tutto sommato accettabile. Anche perché il progetto di IC nel suo insieme è proprio finalizzato a far sì che la prima comunione non sia anche l’ultima. 3

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