RELAZIONE FINALE PROGETTO CARBONAGRI: Valutazione delle emissioni di GHG nel sistema produttivo lombardo della carne bovina da incroci Sommario 1 - Premesse ....................................................................................................................................... 3 1.1 - L’agricoltura come sistema di trasformazione dell’energia solare ................ 3 1.2 - Il cambiamento................................................................................................................... 4 1.3 - Effetto serra ......................................................................................................................... 5 1.4 - Come l’effetto serra è influenzato dall’agricoltura ............................................... 6 1.4.1 - Anidride carbonica ................................................................................................... 6 1.4.2 - Metano .......................................................................................................................... 8 1.4.3 - Perossido di azoto .................................................................................................... 9 1.4.4 – Ammoniaca .............................................................................................................. 10 1.5 - Confronto tra agricoltura intensiva e agricoltura estensiva.......................... 11 1.6 - Pratiche di mitigazione dell’impatto ambientale dell’agricoltura intensiva ......................................................................................................................................................... 12 1.6.1 - Anidride carbonica: ............................................................................................... 12 1.6.2 - Metano ....................................................................................................................... 13 1.6.3 - Perossido di azoto ................................................................................................. 14 2 - Materiali e metodi .................................................................................................................. 15 2.1 – Emissioni legate alla produzione degli alimenti................................................ 15 2.1.1 – Procedura di calcolo delle emissioni legate ai consumi diretti e indiretti di energia primaria ........................................................................................... 17 2.1.2 – Procedura di calcolo delle emissioni legate allo sviluppo di perossido di azoto .................................................................................................................................... 19 2.1.3 – Procedura di calcolo delle emissioni legate alla degradazione della sostanza organica ................................................................................................................ 19 2.1.4 – Esempio di calcolo di emissioni legate all’alimentazione standard .. 21 Fig. 2.6 ‒ Tabella rappresentante razione alimentare presa in considerazione 21 2.2 – Emissioni dovute alle fermentazioni enteriche ................................................. 21 2.2.1 – Procedura di calcolo............................................................................................. 21 2.2.2 – Esempio di calcolo di emissioni legate all’alimentazione standard .. 22 2.3 - Emissioni dovute a allo stoccaggio delle deiezioni ........................................... 22 2.3.1 – Procedura di calcolo............................................................................................. 23 1

2.3.2 – Esempio di calcolo di emissioni legate all’alimentazione standard .. 24 3 - Risultati ...................................................................................................................................... 24 3.1 – Confronto con analoghi modelli e previsioni riportate in bibliografia ..... 24 3.2 – Impiego del modello per calcolare l’influenza delle pratiche di mitigazione per diminuire le emissioni ........................................................................... 26 3.2.1 – Pratiche di campo ................................................................................................. 26 3.2.2 – Pratiche di alimentazione .................................................................................. 27 3.2.3 – Pratiche di gestione dei liquami ...................................................................... 27 4 – Conclusioni ............................................................................................................................... 29 5 – Bibliografia ............................................................................................................................... 30

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1 - Premesse Il settore dell’allevamento da latte ha in Lombardia una consistenza di oltre 600.000 soggetti, come tale di molto superiore a quella degli allevamenti da carne. Per tale ragione, il settore dell’allevamento da latte potrebbe, con economie di scala interessanti anche da un punto di vista economico, rendere disponibili per l’allevamento da carne i baliotti maschi necessari alla produzione di animali maturi da macello. In tal modo si renderebbero disponibili sul mercato carni di elevata qualità certificabili secondo disciplinari tesi a garantirne la provenienza locale (nato, allevato, macellato e sezionato a filiera corta). Tali carni sono al momento molto apprezzate dal mercato dei consumatori metropolitani lombardi. Una tale produzione di carne viene in genere vista con favore individuando in essa un bene di consumo caratterizzato da una elevata sostenibilità ambientale. Con il presente studio è stato analizzato, impiegando un modello di calcolo semplificato, l’impatto ambientale del sistema produttivo agricolo, con particolare riferimento a quello della produzione di carne bovina ottenuta a partire da ristalli provenienti da bovine da latte (incroci tra razza lattifera e razza da carne). Il modello semplificato vuole essere uno strumento di facile impiego per analizzare numericamente la sopra citata supposta sostenibilità confrontandola con quella misurata o calcolata da altri autori per altre condizioni di allevamento nel mondo.

1.1 - L’agricoltura come sistema di trasformazione dell’energia solare L’agricoltura è un sistema produttivo in grado di sfruttare l’energia solare per produrre delle biomasse di vario genere, come cereali e foraggi. Infatti, tramite il processo della fotosintesi clorofilliana le piante catalizzano l’energia solare trasformandola in energia chimica. Questo processo biochimico appartenente agli organismi autotrofi, permette di sintetizzare glucosio partendo da due precursori, l’acqua e l’anidride carbonica. Questi due elementi, sono presenti rispettivamente nel terreno e nell’aria. L’energia solare necessaria allo svolgimento del processo viene catturata dalla clorofilla, un pigmento verde fotosensibile contenuto nelle foglie delle piante. Il prodotto finale della fotosintesi è il glucosio, un monosaccaride molto importante, perché può essere utilizzato sia come fonte energetica sia come base per produrre altre molecole ad alto contenuto energetico. Il glucosio prodotto potrà essere quindi utilizzato direttamente dagli organismi vegetali o indirettamente da tutti gli organismi viventi tramite la catena alimentare. Infatti gli organismi erbivori sono in grado di trasformare delle biomasse non adatte all’alimentazione umana in alimenti pregiati, quali latte, carne e uova. Nella fotosintesi clorofilliana viene anche prodotto un importantissimo elemento, l’ossigeno che è indispensabile per la vita di tutti gli organismi. Tutto questo processo può essere rappresentato dalla seguente equazione: 6 CO2 + 6 H2O + LUCE ------> C6H12O6 + 6 02 Le piante possono essere viste dunque come utilizzatori e deposito di CO2; infatti esse assorbono anidride carbonica che viene sia depositata nelle biomasse, depositata nel suolo.

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Questo sarà un punto chiave di questo studio per calcolare l’impatto ambientale dell’agricoltura. Vista cosi l’agricoltura risulta essere molto utile all’ambiente: infatti riduce i quantitativi di anidride carbonica nell’atmosfera e inoltre produce biomasse e ossigeno.

1.2 - Il cambiamento In questi ultimi anni, a partire dal secondo dopo guerra, si è verificato un passaggio da un’agricoltura di tipo estensivo ad una di tipo intensivo. Nel primo tipo, le colture avevano come unica fonte di energia, l’energia solare. Esse erano poco produttive, soprattutto perché si aveva una carenza di azoto e questo rappresentava il maggior effetto limitante. Inoltre era richiesto molto lavoro umano e animale per la loro coltivazione. Con l’avvento dell’industrializzazione invece l’agricoltura ha effettuato dei passi da gigante dovuti all’introduzione delle macchine in sostituzione del lavoro umano e animale e dei composti agro-chimici, quali per esempio fertilizzanti e antiparassitari. Per esempio nel secondo dopo guerra, tramite il processo di Haber-Bosch di sintesi dell’ammoniaca, inizialmente utilizzato per la produzione di munizioni, vennero sviluppati fertilizzanti azotati industriali. Tutto ciò ha consentito un incremento delle produzioni delle colture e una richiesta minore di manodopera. Come paragone possiamo pensare che nel medioevo nell’agricoltura era impegnata quasi tutta la popolazione, questo perché il lavoro di un contadino era sufficiente solamente per soddisfare i suoi fabbisogni e il rimanente serviva perlopiù a soddisfare i fabbisogni di un altro soggetto. Ora un solo addetto agricolo può lavorare decine di ettari e soddisfare i consumi primari di più di 500 persone. Bisogna sottolineare che questo passaggio comporta che in agricoltura vengano utilizzate energie derivanti dai combustibili fossili, sia come carburante per il funzionamento dei mezzi agricoli, sia come base per la produzione dei concimi inorganici e altri fattori. In questo modo l’agricoltura contribuisce ad essere una sorgente e deposito di GHG (GreenHouse Gases), ovvero i gas responsabili dell’effetto serra.

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1.3 - Effetto serra Esso è un fenomeno atmosferico-climatico che indica la capacità del nostro pianeta di trattenere nella propria atmosfera parte dell’energia solare proveniente dal sole. Dunque l’effetto serra è uno dei complessi meccanismi di regolazione dell’equilibrio termico del pianeta così come schematizzato in Fig.1.1

Fig. 1.1 – Schema del meccanismo di interazione che interessa i diversi gas atmosferici e regola l’equilibrio energetico del pianeta Questo equilibrio, infatti, è regolato dalla presenza in atmosfera di alcuni gas, detti appunto gas serra, che hanno come effetto la capacità di creare uno strato isolante attorno alla sfera terrestre, evitando grandi sbalzi termici cui sarebbe soggetta la medesima in loro assenza. Il loro meccanismo di azione può essere semplificato in questo modo: i gas risultano trasparenti alla radiazione solare entrante ad onda corta, ma opachi alla radiazione infrarossa ad onda lunga rimessa dalla superficie terrestre riscaldata dai raggi solari. L’effetto serra si amplifica quando le concentrazioni di gas serra variano in maniera evidente impedendo quindi la fuoriuscita dei raggi infrarossi ad onda lunga. Questo fa sì che si abbia un riscaldamento del globo, ovvero un innalzamento della temperatura terrestre. La ricaduta di tale riscaldamento comporta numerose conseguenze, per esempio lo scioglimento dei ghiacciai e un’alterazione degli ecosistemi con conseguente alterazione della biodiversità. I gas che hanno una forte influenza sull’effetto serra sono: il vapore acqueo , l’anidride carbonica, il metano, l’ossido di azoto, l’ozono e i CFC, ovvero i cloro fluoro carburi. Per cercare di limitare il riscaldamento globale del pianeta, un nutrito gruppo di stati ha deciso di intervenire per determinare un inventario delle emissioni e individuare delle politiche per ridurre le medesime. Il protocollo di Kyoto individua nei sei gas di seguito citati i più importanti gas ad effetto serra: anidride carbonica (CO 2); protossido di azoto (N2O); metano (CH4); 5

idrofluorocarburi (HFC); perfluorocarburi (PFC); l'esafluoruro di zolfo (SF6). Ognuno di essi ha un diverso GWP (Global Warming Potential) che può essere definito come il potenziale del riscaldamento globale. Di solito, questo potenziale viene misurato su un periodo di 100 anni e standardizzato su un'unica scala di tonnellate equivalenti di CO2 (t CO2 eq). Tutti questi gas derivano da varie fonti, che possono essere industrie, agricoltura e trasporti.

1.4 - Come l’effetto serra è influenzato dall’agricoltura Nel contesto dei gas individuati dal protocollo di Kyoto l’agricoltura risulta concorrere in modo non trascurabile alla produzione di anidride carbonica, perossido di azoto e metano. Essa è responsabile, come possiamo vedere dal grafico di Fig. 1.2, del 14% delle emissioni totali di gas a effetto serra su scala mondiale. Quindi si può dire che l’agricoltura presenta un notevole impatto ambientale essendo una delle fonti più importanti di GHG.

INFLUENZA GHG rifiuti e acque reflue

3%

silvicoltura

14% 17%

fornitura energia edifici commerciali e residenziali

19%

26%

trasporti industria

13% 8%

agricoltura

Fig. 1.2– Ripartizione percentuale della provenienza dei GHG Di seguito vengono individuate per i principali GHG (GreenHouse Gases), le fonti di emissione in agricoltura. 1.4.1 - Anidride carbonica Essa rappresenta il maggior responsabile dell’effetto serra. Il ciclo del carbonio è il modo attraverso il quale il carbonio viene scambiato tra la geosfera, di cui fanno parte i sedimenti e i combustibili fossili, l'idrosfera ovvero mari e oceani, la biosfera comprese le acque dolci e l'atmosfera della Terra (Fig. 1.3). Tutte queste componenti del sistema terra sono considerabili come riserve di carbonio. Il ciclo è infatti solitamente inteso come l'interscambio dinamico tra questi quattro sottosistemi. Gli oceani contengono la maggior riserva di carbonio presente sulla Terra, sebbene essa sia solo in piccola parte disponibile all'interscambio con l'atmosfera. Le dinamiche di interscambio sono legate a processi chimici, fisici, geologici e biologici. Il bilancio globale del carbonio rappresenta gli scambi, quindi le entrate e le perdite, tra le riserve di carbonio. Un 6

esame del bilancio di carbonio di una riserva può fornire informazioni se questa stia funzionando da fonte o da consumatore del biossido di carbonio ed è importante per andare a valutare quindi le possibili conseguenze sull’effetto serra.

Fig. 1.3 – Schema rappresentativo del ciclo del carbonio L’agricoltura moderna, caratterizzata da lavorazioni intensive, ha portato a una diffusa diminuzione delle concentrazioni di sostanza organica nei suoli specie laddove le perdite non sono state compensate da apporti organici. Questa situazione si è verificata soprattutto nelle zone in cui i sistemi agricoli si sono specializzati nelle produzioni cerealicole con una riduzione delle attività di allevamento, che tramite la produzione e l’incorporazione nel suolo di liquami e letami, permette di rigenerare le riserve di carbonio nei terreni. A livello globale va ricordato che le quantità di carbonio contenuta nei suoli è pari a 1.500 miliardi di tonnellate sotto forma di sostanza organica. Essa è circa il doppio rispetto a quella atmosferica e principalmente si trova sotto forma di CO 2. L’incremento del tenore della sostanza organica presente nei suoli, oltre a contribuire al miglioramento di molte proprietà fisiche e chimiche del terreno, concorre al contenimento del livello di anidride carbonica in atmosfera. Il punto chiave di tutto ciò è rappresentato dalla capacità delle colture, grazie alla fotosintesi clorofilliana, di assorbire l’anidride carbonica presente in atmosfera e quindi di aumentare la quota di carbonio sequestrata, grazie all’accumulo di sostanza organica nei suoli. Tutto questo è a vantaggio dell’ambiente perché si riducono le quantità di CO2 presente in atmosfera e quindi si riducono gli effetti dell’effetto serra. Inoltre la CO2 viene prodotta in agricoltura, come già detto, tramite il funzionamento delle macchine agricole, la produzione di composti agro-chimici e la produzione di energia. L'energia fossile consumata nella produzione delle colture dipende da vari fattori quali il numero e tipo di operazioni aziendali, ovvero la profondità di lavorazione del terreno, il numero di passaggi, le dimensioni del motore e la velocità di avanzamento della macchina. Altro fattore 7

di fondamentale importanza sono i prodotti agro-chimici e fertilizzanti utilizzati, in particolare quelli azotati. Tutti questi fattori dipendono dalla coltura effettuata. Inoltre viene consumato carburante anche durante il trasporto dei prodotti, l'essiccazione delle colture, lavorazione e refrigerazione di prodotti agricoli. Quindi anche queste operazioni contribuiscono alle emissioni di gas serra. Per questo possiamo dire che l’agricoltura contribuisce all’emissione di anidride carbonica non solo in maniera diretta ma anche indiretta, a differenza di ciò che avviene per il metano e l’ossido di azoto. Ciò perché molte delle emissioni non derivano direttamente dall’agricoltura, ma dall’utilizzo dell’energia fossile non rinnovabile. In definitiva, si stima che l’agricoltura contribuisca per il 25% del rilascio totale annuo di anidride carbonica nell’atmosfera. (Tubiello et al., 2007). 1.4.2 - Metano Il metano, a differenza dell’anidride carbonica, deriva direttamente dall’agricoltura, ed è un potente gas ad effetto serra in quanto ha un GWP (Global Warming Potential) di 21 t CO2 eq ed è quindi un potente componente dell’effetto serra complessivo. Esso viene prodotto dalla decomposizione del materiale organico in condizioni anaerobiche. Tali condizioni si riscontrano per esempio in terreni saturi d'acqua, nel rumine del bestiame o nei liquami o letami presenti nelle diverse aree di pascolo, stabulazione e stoccaggio degli animali. Le perdite di metano più significative comunque sono rappresentate dalle fermentazioni enteriche che avvengono nei ruminanti ad opera di batteri metanogeni e variano in funzione della dieta, della digeribilità degli alimenti, della razza degli animali e dalle loro prestazioni produttive. Anche le emissioni imputabili alla gestione dei liquami sono molto variabili in base al tipo di animale, tipologia di stabulazione e dieta. Il metodo di stoccaggio delle deiezioni, la temperatura e la fonte, ovvero il tipo di animale, sono fattori chiave nel determinare il tasso con cui viene emesso CH4. L'allevamento del bestiame e, in particolare, le imprese zootecniche sono la più grande fonte agricola di CH4 in Europa. Si stima infatti che un solo capo bovino produca giornalmente 350 g di metano. A partire da ciò, si stima che l’agricoltura contribuisca per il 45% delle emissioni di metano che può essere suddiviso in tre parti, ovvero: un 12% derivante dalla coltivazione del riso, dovuto alla decomposizione anaerobica del materiale organico lasciato nelle risaie allagate; il restante 33% derivante all’allevamento del bestiame. Quest’ultima quota può essere attribuita per un 4% derivante dalle deiezioni animali, ovvero dalla decomposizione anaerobica del materiale organico presente in essa, mentre il restante 29% deriva dalle fermentazioni enteriche legate ai processi di digestione in particolar modo dei ruminanti. Quindi il controllo dell’alimentazione e un suo bilanciamento sono fondamentali per la regolazione delle emissioni di metano. Più un particolare, poi, per quanto riguarda invece lo sviluppo di metano dai reflui animali questo dipende dalla temperatura alla quale avviene lo stoccaggio. Infatti il tasso di produzione di CH4 con temperature inferiori ai 15°C è limitato, mentre le emissioni sono importanti al superamento di tale limite. Inoltre il metano prodotto dallo stoccaggio sia del letame, sia dei liquami varia in base alla combinazione di condizioni anaerobiche e alto contenuto organico (Monteny et al. 2006). 8

METANO riso

impianti a gas

miniere di carbone

olio

discariche

acque reflue

stazioni di rifornimento e macchine

combustione biocarburanti

fermentazioni enteriche

letame 4% 12%

29% 4% 1%

16% 14%

8% 1%

11%

Fig. 1.4 – Ripartizione percentuale della provenienza delle emissioni di metano 1.4.3 - Perossido di azoto Questo gas serra viene prodotto dalle emissioni del suolo, dalle deiezioni degli animali, dai concimi e dal deposito di questa sostanza nei terreni usati come pascolo. Il protossido d'azoto ha un GWP di 298 t CO 2 eq quindi, piccole emissioni di esso contribuiscono in modo significativo alle emissioni di CO 2 complessive di una coltura o di un sistema di bestiame. (Abberton et al, 2008; Jackson et al, 2009; Moorby et al, 2007; Smith et al, 2008a). Il perossido di azoto è un prodotto intermedio della nitrificazione e della denitrificazione, infatti per esempio, nei suoli esso si può formare durante la nitrificazione di ammonio (NH4+) in nitrati (NO3-) in condizioni aerobiche: processo di nitrificazione: NH4+ →NO2- →NO3Oppure tramite la denitrificazione di (NO3) in azoto atmosferico (N2) in condizioni anaerobiche: processo di denitrificazione: NO3- →NO2- →NO →N2O→N2

Fig. 1.6 ‒ Schema descrittivo rappresentante i processi di nitrificazione e denitrificazione 9

N2 O

agricoltura altro processi naturali

rifiuti energia uso solventi

6% 2% 17% 7% 68%

0%

Fig. 1.5 - Ripartizione percentuale della provenienza delle emissioni di protossido di azoto Si stima che l’agricoltura contribuisca all’emissione del 68% di questo gas serra, sul totale delle emissioni antropogeniche. Quindi come per il metano, l’agricoltura contribuisce direttamente all’emissione di esso. Per quanto riguarda gli animali allevati all’aperto, l’azoto viene depositato sia degli animali al pascolo tramite le urine e le feci, sia come fertilizzanti utilizzati per aumentare la produttività dei pascoli. Le quantità di azoto depositato dipendono dal tipo di animale, dalla densità degli animali, dalla percentuale dell'anno che l'animale rimane fuori al pascolo e dalla dieta. Ovvero se gli animali sono alimentati solamente con le essenze che trovano sul pascolo o viene fatta un’integrazione con mangimi. (Abberton et al, 2008; Moorby et al, 2007). Questi fattori fanno sì che aumenti la probabilità che la stessa superficie di terreno avrà concentrazioni di azoto maggiori. Sistemi di pascolo meno intensivo, hanno dato come risultato una ridotta deposizione di azoto. Questo si traduce in diminuzione di azoto percolato negli strati inferiori del terreno, in una diminuzione della denitrificazione e in un calo delle emissioni di NH3 a causa della maggiore efficienza delle aziende agricole nell’utilizzazione agronomica dell’azoto. (ADAS, 2007b).

1.4.4 – Ammoniaca Sebbene essa non sia un gas serra, l’ammoniaca presente nelle deiezioni animali, inizialmente sottoposta a condizioni di aerobiosi, viene convertita in nitriti e nitrati attraverso il processo della nitrificazione. Successivamente poi sottoposta a condizioni di anaerobiosi, che favoriscono il processo di denitrificazione, ossia di conversione dei nitriti e dei nitrati in N 2. Questo processo ha come intermedi N2O e NO, il primo come già citato prima è un gas serra: per questo è giusto citare come l’ammonica intervenga nei processi emissivi di GHG. La forma N2O climalterante emessa tende ad essere problematica quando viene ad aumentare di molto la concentrazione di ammoniaca nella parte superficiale dei liquami in combinazione con temperature di aria calda, ad esempio nei pascoli in estate (Chambers et al., 1999). Altre condizioni per le quali l’ammoniaca nel settore agricolo può rappresentare un problema sono riconducibili allo spandimento del letame e durante la sua conservazione, alla deposizione di urina dagli animali al pascolo e di urina e feci 10

degli animali presenti nelle stalle. Le perdite possono essere influenzate ulteriormente da fattori locali, quali il tipo di suolo, i tempi e le modalità di applicazione del concime e la velocità del vento. Di seguito possiamo vedere dal grafico quali siano le fonti di ammoniaca maggiori in Europa.

principali fonti di emissioni ammoniacali in europa agricoltura

industria 1%

rifiuti 2%

2%

trasporti

altro

1%

94%

Fig. 1.7 - Ripartizione percentuale delle fonti di ammoniaca (Con altro vengono definite viarie fonti che sono le seguenti: utilizzo dell’energia in industria, utilizzo di solventi chimici ed emissioni provenienti da edifici commerciali e privati) Fonte EEA (European Environment Agency)

1.5 - Confronto tra agricoltura intensiva e agricoltura estensiva Come sopra ricordato, nell’agricoltura intensiva si ha un maggior utilizzo delle fonti energetiche non rinnovabili rispetto ad un’agricoltura estensiva. Infatti nella prima si ha un maggior utilizzo di macchinari, di composti agro-chimici e di strutture rurali, quali depositi e ricoveri per gli animali; bisogna pensare che per la costruzione di queste strutture viene utilizzata dell’energia derivante dai combustibili fossili. Detto questo si potrebbe pensare che l’agricoltura intensiva sia solamente dannosa per l’ambiente, ma vista più dettagliatamente questo tipo di agricoltura non presenta solo effetti negativi per l’ambiente. Negli ultimi anni si è cercato di portare in agricoltura delle innovazioni tese a incrementare la produttività dei sistemi agricoli, in particolare si sono introdotte tecnologie che limitano o riducono l’impatto ambientale dovuto all’utilizzo di energie fossili non rinnovabili e alle emissioni di GHG nell’ambiente. Per esempio possiamo pensare all’inserimento di macchine più efficienti in termini di consumi di carburanti e rese energetiche. Oppure all’installazione dei pannelli solari sui tetti delle costruzioni rurali, in modo tale da poter ricavare dell’energia elettrica dall’energia solare e utilizzare meno l’energia elettrica proveniente dall’esterno da fonti convenzionali. Oppure ancora, altra innovazione a cui pensare è l’introduzione del biogas, con cui si ottiene energia elettrica dalla fermentazione in anaerobiosi dei residui aziendali, quali i reflui zootecnici. Dall’altro lato, il sistema estensivo non è sempre a difesa dell’ambiente perché vengono utilizzate anche in esso fonti di 11

energia fossile non rinnovabile, anche se in maniera minore. Inoltre gli animali allevati in questo sistema, necessitano più tempo per arrivare al peso di mercato, perché gli incrementi giornalieri sono minori a causa di un’alimentazione meno energetica rispetto a quella degli animali allevati in modo intensivo. Questo perché nel primo caso gli animali sono alimentati con i foraggi che trovano sul pascolo ed eventualmente con un’integrazione di mangimi. Mentre nel secondo caso le diete sono molto più concentrate per la presenza di vari componenti tra cui molti cereali. Quindi gli animali passano più tempo sui pascoli, producendo delle quantità di metano maggiori rispetto al sistema intensivo. Tutto ciò dipende da molti fattori, che sono per esempio la qualità e il tipo di pascolo, la gestione delle colture per la produzione di mangimi, la loro ubicazione, la quantità e il tipo di input chimici utilizzati e per finire la quantità e il tipo di energia utilizzata per le operazioni agricole. Quindi in entrambi i casi possiamo dire che ci sia un impatto ambientale, difficile da dire però quale sistema contribuisca maggiormente a tutto questo, perché appunto controllato da vari fattori. Possiamo però dire che è importante sostenere la produttività delle colture nei terreni più fertili, unitamente ad un uso ottimale dei mezzi tecnici, per permette di destinare aree più ampie a foreste e pascoli favorendo l’immobilizzazione del carbonio e tutelando la biodiversità delle essenze vegetali. Questo concetto viene ribadito da LULUCF, ovvero land use-land use change and forestry, che è una sezione appartenente al protocollo di Kyoto: un’adeguata gestione del suolo, delle pratiche agricole e delle foreste comporterebbe una riduzione delle emissioni e la possibilità di aumentare, o quanto meno mantenere inalterata, la capacità di assorbimento del carbonio presente in atmosfera. Infatti un corretto uso dei suoli, per esempio una riduzione delle deforestazione con conseguente rimozione della vegetazione può creare una superficie di colore scuro. Questo fa sì che venga assorbita una quantità maggiore di radiazioni ad onde corte presenti nella radiazione solare, con la conseguenza di un maggior riscaldamento terrestre (Ostle et al., 2009).

1.6 - Pratiche di mitigazione dell’impatto ambientale dell’agricoltura intensiva Da quanto sopra descritto, risulta sempre più importante il ruolo dell’agricoltura nella mitigazione dell’effetto serra, perché una corretta gestione delle pratiche agricole, permetterebbe un maggior controllo delle emissioni. 1.6.1 - Anidride carbonica: Per le emissioni di CO2 una corretta gestione delle pratiche agricole, permetterebbe un maggior sequestro del carbonio, che può essere sequestrato sia nella biomassa sia nel terreno. L’anidride carbonica fissata nel biomassa, potrebbe essere poi destinata alla produzione di energia, in modo tale da essere in sostituzione delle fonti di energia fossile. Infatti bruciare energia fossile rilascia nell’atmosfera CO2 che è rimasta immobilizzata per milioni di anni nei giacimenti biologici, mentre la combustione di biomassa restituisce all’atmosfera la CO 2 già assorbita dalle piante. Questo ciclo se inalterato nel tempo non causa un aumento complessivo di CO2. In generale si può dire che tutte le pratiche agronomiche che mantengono o incrementano la sostanza organica presente nel terreno sono positive sia per la conservazione della fertilità dei suoli sia per favorire l’immobilizzazione di CO2 atmosferica contrastando l’effetto serra. Queste pratiche agronomiche possono essere: 12

Riduzione delle lavorazioni del terreno: Le arature profonde provocano un'intensa ossigenazione del terreno ed un'accentuazione dei processi di mineralizzazione e decadimento della sostanza organica. Il rivoltamento degli strati di terreno, infatti, velocizza il processo per cui il carbonio nel suolo viene ossidato e rilasciato come CO2. Tecniche di lavorazione come il minimum tillage, la fresatura e l’aratura superficiale, provocando una minore respirazione del suolo ed avendo un coefficiente di mineralizzazione più basso, diminuiscono le emissioni di CO 2 nell’atmosfera e favoriscono viceversa l’accumulo di carbonio nel terreno. Rotazioni e sovesci: Sono tecniche naturali che permettono di migliorare la fertilità dei terreni. La rotazione e gli avvicendamenti fanno sì che sullo stesso campo non si ripetano per più anni di seguito le stesse colture, che finiscono con impoverire il terreno, e che anzi si alternino colture che si complementano nel fabbisogno di nutrienti. Il sovescio consiste nel seminare e interrare alcune specie erbacee, soprattutto leguminose, per sfruttare la sostanza organica e l’azoto immagazzinato nei loro organi. Inerbimento: Un terreno provvisto di copertura vegetale è più protetto dall’azione della pioggia, e quindi dall'erosione e dalla perdita di elementi nutritivi e di sostanza organica. Pratiche di concimazione: La fertilizzazione con letame o con materia organica proveniente dal compostaggio migliora l'humificazione del terreno e non inquina. Irrigazione: Una buona pratica irrigua mira a contenere la perdita di nitrati per lisciviazione profonda o per scorrimento superficiale, come potrebbe avvenire con la somministrazione di quantità eccessive di acqua. Scelta delle colture: La scelta di piante ed animali che resistono alle malattie e si adattano alle condizioni del luogo è fondamentale per ottenere rese agricole migliori con minore spreco di risorse. Riduzione di pesticidi: La gestione integrata della lotta antiparassitaria, con il minor ricorso possibile a pesticidi chimici, consente un minore inquinamento del suolo e delle falde acquifere, la conservazione della biodiversità e, allo stesso tempo, una riduzione delle emissioni indirette. (fonte osservatore Kyoto)

1.6.2 - Metano Secondo numerosi studi le produzioni di questo GHG sono correlate con la facilità dell'animale di digerire il mangime. Ovvero più lento è il tasso di digestione, cioè 13

minore la digeribilità, maggiore è il volume di CH 4 prodotto (Duncan, 2008). Un aumento dell’amido solubile, componente alimentare dei carboidrati, fa sì che aumenti la formazione di propionato e questo riduce l'idrogeno disponibile per formare CH4. Recensioni recenti riguardo l’impatto di CH4 enterico riguardano anche l’utilizzo di additivi alimentari come potenziale mezzo per ridurre la fermentazione enterica nel bestiame Beauchemin et al. (2008), Monteny et al. (2006) e Smith et al. (2008). Tra tali additivi si includono: 1. I lipidi, in particolare gli oli, che fanno sì che ci sia un aumento dei tassi di digestione, ovvero di digeribilità. In particolare, quelli ad alto contenuto di acidi grassi a catena media (MCFA) assicurerebbero le migliori performance (Beauchemin et al, 2008;. Duncan, 2008; Lovett et al, 2002; McGinn et al, 2004;. Smith et al, 2008a). 2. I composti alogenati che impediscono produzione di CH4 da parte di batteri metanogeni. Peraltro l'impatto di questa pratica può essere temporaneo e la produttività del bestiame può essere ridotta a causa dell'inibizione del consumo di mangime (Van Nevel e Demeyer, 1996; Wolin et al, 1964;. Smith et al, 2008a). 3. Il fumarato e il malato che impediscono che si formi un legame di idrogeno con la molecola C e quindi la a formazione del metano. Ma la praticabilità commerciale di questa pratica è limitata dalla necessità di intervenire con un alto dosaggio di questi additivi in dieta (Beauchemin et al, 2008;. McGinn et al 2004;. Newbold et al, 2005;. Smith et al, 2008a ). Inoltre anche l’utilizzo di ormoni della crescita, che aumentano la produttività (McCrabb, 2001), può portare alla diminuzione delle emissioni per unità di prodotto. In merito, tuttavia, come è noto esistono delle restrizioni riguardo al loro utilizzo all'interno dell'UE e quindi il loro impiego ai fini della riduzione delle emissioni è al momento solo teorico. Ulteriori possibilità potrebbero essere offerte dagli antibiotici, in particolare gli ionofori, ovvero da quelle molecole organiche che aumentano la permeabilità della membrana cellulare ad alcuni ioni metallici, diminuendone la concentrazione, che hanno dimostrato di ridurre CH4 enterico, anche se con effetto generalmente temporaneo (Beauchemin et al, 2008;.. Smith et al, 2008a). Anche l'uso di questi prodotti tuttavia non è consentito all'interno dell'UE (Smith et al., 2008a). 1.6.3 - Perossido di azoto Le emissioni di perossido di azoto provenienti dalle deiezioni animali dipendono da vari fattori come: dalla movimentazione e stoccaggio degli effluenti; dal metodo di conservazione di essi; dal tempo di conservazione; nonché dal contenuto nella dieta di azoto e dall'efficienza con cui è utilizzato. Infatti l’azoto che non viene prelevato per la sintesi di amminoacidi e successivamente di proteine viene perso tramite le feci e l’urina. Per questo l’alimentazione è un punto chiave e deve essere bilanciata, non devono essere presenti degli eccessi di azoto rispetto alle esigenze dell’animale, altrimenti non verrebbero utilizzati da parte dell’animale. Una certa 14

quota comunque di azoto viene persa perché non digerito: si stima tuttavia che un’animale in condizioni ottimali possa utilizzare fino al 90% dell’azoto totale. La quantità di azoto presente nelle feci non dipende solo da questo; un altro fattore molto importante è la presenza di energia nella dieta, perché diete povere di energia implicano una minor digeribilità dell’azoto e una minor capacità dei microorganismi ruminali di trattenerlo. Infatti diete carenti in amido, esercitano un'influenza positiva in quanto si ha una rapida digestione delle proteine, ma una mancanza nei confronti dei batteri del rumine per incorporarlo a causa della mancanza di “energia prontamente disponibile” durante la decomposizione della proteine vegetali. Questo è causa di uno squilibrio dietetico che porta a un aumento del N escreto (Abberton et al, 2008; Dewhurst et al, 1996). Le diete che contengono una maggiore percentuale di amido, ad esempio ricche di mais, sono state trovate vantaggiose per ridurre la quantità di N all'interno di urine (Kebraub et al, 2001; Schils et al, 2007).

2 - Materiali e metodi Per raggiungere gli scopi del presente studio, ovvero di valutare le emissioni della produzione di carne a partire da ristalli di incroci provenienti da bovine da latte in Lombardia, è stato realizzato un modello di calcolo in Excel. I risultati ottenuti sono stati poi confrontati con quelli ricavati dalla bibliografia per capire se detta filiera produttiva possa presentare dei vantaggi in termini di sostenibilità ambientale. Infine, sono state effettuate alcune analisi di sensitività, modificando i parametri del modello legati alle diverse pratiche di allevamento, in modo da verificare come le medesime pratiche possano influenzare detto livello di sostenibilità. Il modello calcola per la produzione di carne bovina da feedloot, le emissioni suddivise in:   

emissioni legate alla produzione degli alimenti; emissioni dovute a fenomeni enterici legati alla alimentazione degli animali; emissioni dovute allo stoccaggio delle deiezioni;

La scelta di operare sugli incroci permette di introdurre come semplificazione nei calcoli delle emissioni quella di non dover inputare le emissioni legate alla produzione del vitello, che in questo tipo di organizzazione, possono essere - in prima istanza e per la semplificazione modellistica scelta - considerate totalmente a carico della produzione di latte. In una sezione parallela del modello, che non verrà qui discussa è comunque disponibile anche una valutazione delle emissioni nella filiera latte e, quindi, da questa potrebbe facilmente venire estrapolato un valore di stima della produzione del vitello.

2.1 – Emissioni legate alla produzione degli alimenti Per quanto riguarda gli alimenti si è scelto di operare solo su quelli che entrano a far parte della alimentazione dei bovini in modo prevalente e che sono 15

tipicamente coltivati in Pianura Padana. In particolare ci si è concentrati sulle seguenti colture: 

frumento



orzo



soia



mais da granella



mais insilato



medica

Per ognuna di esse è stata compilata una scheda di produzione caratterizzata dalla sequenza di lavorazioni di campo tipicamente eseguita nei nostri ambienti e redatta sulla base dell’esperienza di agronomi locali. In Tab. 2.1 si riporta a titolo di esempio quella del mais da granella.

Fig. 2.1 ‒ Tabella rappresentante la scheda di lavorazione del mais Come si può notare, la tabella affronta in modo analitico la coltivazione di mais in pianura padana in un terreno a medio impasto, ovvero un terreno in cui sabbia, limo e argilla si trovano in egual misura, caratterizzato dal fatto di consentire una produzione pari a 10,4 tonnellate per ettaro. In questa tabella vengono elencate 16

tutte le operazioni agronomiche, quali per esempio aratura, erpicatura e semina. Per ognuna di esse viene elencato il quantitativo di ore necessarie, le unità lavoro e la tipologia di trattore utilizzata. Inoltre nella tabella compaiono le macchine utilizzate assieme al trattore e la tipologia di prodotti utilizzati come fertilizzanti e diserbanti. Per tutte le voci presenti in tabella viene indicato il consumo in termini di carburante e lubrificanti. Per le schede standard utilizzate nella prima analisi di riferimento la scelta delle operazioni e delle modalità di conduzione agronomica per la coltivazione delle colture ha previsto di utilizzare tecniche non pensate per raggiungere elevati livelli di sostenibilità ambientale. Così, i valori di fertilizzazione sono stati impostati tendo conto delle tabelle MAS (Regione Lombardia 2011). Con l’acronimo MAS, limiti di massima applicazione standard, vengono definiti i limiti di apporto di azoto da non superare nella coltivazione delle colture. Analogamente, non si è previsto di adottare nessuna rotazione definita e, quindi, come meglio verrà specificato nel seguito, si è previsto che la coltura risulti sempre depauperante per quanto riguarda la fertilità organica del suolo. 2.1.1 – Procedura di calcolo delle emissioni legate ai consumi diretti e indiretti di energia primaria Una volta completate le schede di ogni coltura, i diversi fattori di input sono stati trasformati nei loro equivalenti di energia in termini di energia primaria. Con questa definizione si intende come energia primaria quella prodotta o estratta direttamente dalle risorse naturali quali, il petrolio, il carbone o il gas, o quella prodotta direttamente dalle materie prime. L'Energia Primaria che può essere indicata con l’acronimo EP, viene espressa in kgep. Essa si calcola a partire dalle Quantità di Fattore o QF dei diversi prodotti utilizzati quali per esempio gasolio, lubrificanti ed energia elettrica espressi in kg o unità, impiegando i coefficienti di Valore Energetico, ovvero VE in kgep/kg o in unità secondo la seguente notazione: EP = QF * VE (kgep) Per far ciò sono stati utilizzati i valori riportati in Tab. 2.2, messa a punto a partire dalla ormai ampiamente consolidata bibliografia disponibile in argomento (Fiala, 2012), dove per ogni input ritroviamo le corrispettive unità di misura e valore in termine di energia primaria.

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Fig. 2.2 - Tabella rappresentante vari input con rispettive unità di misura e valore di energia primaria Così, a esempio, ogni kg di gasolio consumato è stato moltiplicato per il relativo coefficiente che, sempre per il gasolio, è pari a 1,1. Questo ha permesso di poter calcolare per ogni coltura rispettivamente le tonnellate di petrolio equivalente consumate per ettaro, espresse come tep/ha, e i kilogrammi di petrolio equivalente consumati per produrre un kilogrammo di prodotto espressi come kgeq/kg. I risultati della messa a punto delle schede standard sono riportati in Tab. 2.3 . Coltura Frumento Soia Orzo Mais Silomais Medica I° anno Medica II° anno

tep/ha 0.625 0.336 0.556 0.936 0.782 0.476 0.332 18

kgeq/kg 0.096 0.096 0.093 0.090 0.014 0.079 0.027

Medica III° anno 0.266 0.029 Fig. 2.3 ‒ Tabella rappresentante varie colture con rispettivi valori di consumo tonnellate di petrolio per ettaro e kilogrammi equivalenti di petrolio per kilogrammo di coltura Per trasformare i suddetti valori di energia primaria in termini di emissioni di gas GHG equivalenti si è adottato il valore di 2,683 kgeqCO 2/kgeqp che si ottiene applicando il metodo e i fattori proposti dal IPPC (IPPC 1996). Detto ciò otteniamo i valori della seguente Tab. 2.4. Coltura kgCO2/ha kgCO2/kgprod Frumento 1678.054 0.258 Soia 903.853 0.258 Orzo 1493.717 0.248 Mais 2512.099 0.241 Silomais 2100.130 0.038 Medica I° anno 1277.9189 0.212 Medica II° anno 892.644 0.074 Medica III° anno 714.115 0.079 Fig. 2.4 - Tabella rappresentante varie colture con rispettivi valori di produzione kilogrammi di CO2 per ettaro e kilogrammi di CO2 per kilogrammo di coltura I dati rappresentati in questa tabella con i valori di kgCO2/ha e kgCO 2/kgprod rappresentano rispettivamente le emissioni di CO 2 per ettaro e di CO 2 per kilogrammo di prodotto. 2.1.2 – Procedura di calcolo delle emissioni legate allo sviluppo di perossido di azoto Per stimare le quantità di perossido di azoto sviluppato dalle coltivazioni, si è scelto di procedere seguendo le indicazioni IPCC (Good practice guidance an uncertainty management in National green house gas inventories) di cui i fattori di emissione riguardante il perossido di azoto sono pari a 0.0125 kg di N2O per kg di N derivante da fertilizzanti chimici, ovvero 0.0125kgN 2O-Nkg-1 N. 2.1.3 – Procedura di calcolo delle emissioni legate alla degradazione della sostanza organica Per quanto riguarda la sostanza organica, e quindi lo stock di carbonio (carbon sink) accumulato nel suolo, chiamato anche SOC, è possibile calcolarlo tramite la seguente formula: SOC= ∑( SOCref * Flu * F mg * Fi * A ) Dove intendiamo per: SOCref= lo stock di carbonio di riferimento; Flu= fattore di conversione dello stock in base all’utilizzazione del terreno; Fmg = fattore di conversione dello stock in base alla gestione del terreno; 19

Fi= fattore di conversione dello stock in base all’aggiunta di sostanza organica; A= superficie dello strato preso in considerazione; Il valore Ft scelto pari a 0,92 è stato ricavato dalla Tab. 2.5 (IPCC, 1996).

Fig. 2.5 - Tabella rappresentante i valori IPCC per calcolare la sostanza organica presente nel terreno Tramite questo valore possiamo calcolare le variazioni di sostanza organica presente nel suolo in termini di CO 2. A esempio, la sostanza organica presente nel suolo viene calcolata sullo strato superficiale interessato dalle radici (0,3m), tenendo conto di una densità apparente del terreno pari a 1,2 t/m3 e di una quota percentuale di materia organica pari all’1,8% risultando quindi pari a 64.8 tonnellate di sostanza organica per ettaro, così come evidenziato nella tabella che segue: Profondità densità apparente % S.O. iniziale massa S.O. iniziale

0,3 m 1,2 t/m3 1,8 % 64,8 t/ha

Considerando il valore di riferimento 0.92, presente nella Fig. 2.5, e un periodo di riferimento pari a 20 anni si arriva a calcolare un accumulo stimato pari a -0.2592 tonnellate ad ettaro. Questo dato viene ottenuto moltiplicando la sostanza organica presente nel terreno, per il fattore IPCC sottratto di un unità per gli anni tenuti in considerazione. Tenendo presente che nella sostanza organica accumulata è presente una percentuale pari al 58% di carbonio organico si ottiene un accumulo pari a -0.1503 di carbonio espresso in tonnellate ettaro per anno. Inoltre se consideriamo che nella quantità di carbonio presente nella sostanza organica troviamo una percentuale pari al 27% di CO 2, questo significa che l’accumulo annuo di CO2 nel terreno in termini di tonnellate per ettaro per anno è pari a -0.5568.

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2.1.4 – Esempio di calcolo di emissioni legate all’alimentazione standard I risultati standard che vengono di seguito riportati, fanno riferimento a una razione ordinaria impiegata per l’allevamento degli incroci negli allevamenti della nostra regione (Sgoifo Rossi, 2013, comunicazione personale). La razione è la seguente: Alimento Quantità Insilato di mais 8 kg Farina di mais 3.5 kg Girasole nazionale non decorticato 1 kg (PG 28%) Paglia di frumento 0.6 kg Farina di estrazione di soia (PG 44%) 0.7 kg Semola di mais glutinata 0.4 kg Integratore minerale vitaminico 0.2 kg Urea 0.05 kg Fig. 2.6 - Tabella rappresentante razione alimentare presa in considerazione Le caratteristiche della razione sono le seguenti: S.S 8.63 kg UFC 0.97 PG 15.61% FG 14.85% EE 3.3% NDF 33.23% 21.42% AMIDO 36.6% NFC 46.6% Ca 0.65 P 0.44% .

FENDF

Si è stimato che gli animali alimentati con razione abbiamo un incremento giornaliero (IMG) pari a 1.2 kg e un indice di conversione (ICA) pari a 7.5. Con questo tipo di dieta e impiegando le procedure descritte ai punti precedenti si arriva a calcolare tramite il foglio di calcolo di Excel che la razione somministrata corrisponde a 0,346 kgCO2/kgSS e che quindi da essa vengono prodotti 2,594 kgCO 2/kgPV a causa del consumo degli alimenti prodotti con le tecniche indicate precedentemente.

2.2 – Emissioni dovute alle fermentazioni enteriche La somministrazione degli alimenti agli animali, come già detto, provoca delle produzioni di CH4 derivanti dalle fermentazioni enteriche. 2.2.1 – Procedura di calcolo Per calcolare le emissioni enteriche, nel modello viene utilizzata la seguente procedura: 𝑌

EF=

𝐺𝐸∗(100 )∗365 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖/𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑀𝐽

55.65 𝑘𝑔 𝐶𝐻4

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Dove intendiamo per: EF= fattore di emissione CH4 (kg CH4/ capo anno) Y= tasso di conversione, è la frazione lorda di energia presente nei mangimi convertita in CH4 GE= apporto energetico lordo Quest’ultimo valore è possibile calcolarlo tramite la seguente formula: GE={

𝑁𝐸𝑚 +𝑁𝐸𝑎 +𝑁𝐸𝑖 +𝑁𝐸𝑤 +𝑁𝐸𝑝 𝑁𝐸𝑚𝑎 /𝐷𝐸

+

𝑁𝐸𝑔 𝑁𝐸𝑔𝑎 /𝐷𝐸

}/(DE/100)

Dove intendiamo per: NEm= energia netta richiesta dall’animale per il mantenimento (MJ/giorno) NEa= energia netta per l’attività degli animali (MJ/giorno) NEi= energia netta per la lattazione (MJ/giorno) NEw= energia netta per il lavoro (MJ/giorno) NEp= energia necessaria per la gravidanza (MJ/giorno) NEg= energia necessaria per la crescita (MJ/giorno) NEma /DE= rapporto tra energia netta disponibile nella dieta per mantenimento e energia digeribile consumata NEga/DE= rapporto tra energia netta disponibile per la crescita e energia digeribile consumata DE= energia digeribile 2.2.2 – Esempio di calcolo di emissioni legate all’alimentazione standard A titolo esemplificativo, i risultati standard che vengono di seguito riportati fanno riferimento a una razione ordinaria descritta al punto precedente. Tenendo in considerazione le condizioni prima citate, ovvero un animale di 350 kilogrammi che ingerisce 11.25 kg/giorno di alimento, considerando 4400 kcal/kg di energia grezza contenuta nell’alimento, otteniamo che l’animale ingerisce giornalmente 49500 kcal. L’ICPP stima che il 6% di tale energia venga persa sotto forma di emissioni di CH4, esso viene prodotto nelle fermentazioni enteriche degli animali (2970 kcal/gg pari a 1084050 kcal/anno che corrispondono, tenendo conto di un potere calorico pari a 13350 kcal/kg, a 81.20 kg/anno). Il valore di massa di CH4 calcolato è poi moltiplicato per il fattore GWP di conversione in CO2 (come visto pari a 21) per ottenere la produzione annua di 1700.25 kg CO2. Con questo tipo di dieta e impiegando le procedure descritte ai punti precedenti si arriva a calcolare tramite il foglio di calcolo di Excel che per le emissioni dovute alle fermentazioni enteriche vengono prodotti 3.114 kgCO2/kgPV.

2.3 - Emissioni dovute allo stoccaggio delle deiezioni La gestione e lo stoccaggio delle deiezioni, come già detto, provoca delle produzioni di CH4 derivanti dalle fermentazioni anaerobiche. Nel modello di calcolo si è considerato di stabulare gli animali sempre e solo su grigliato, come

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comunemente avviene nelle pratiche di allevamento della Lombardia, producendo quindi esclusivamente liquame. 2.3.1 – Procedura di calcolo Per calcolare le emissioni di CH4 dalle deiezioni è stata utilizzata la seguente procedura derivata da fonte IPCC. CH4 = (TS)[EFTS * NTS] Dove abbiamo per: CH4 = metano prodotto dalle deiezioni per categoria zootecnica e sistema produttivo, Kg CH4 / anno-1 NT = consistenza; T = categoria zootecnica T; S = sistema produttivo. Calcolo fattori di emissione: EF(T) = (VS(T) * 365) * [B0(T )* 0,67 kg/m3 * (S,K) (MCF (S,K) / 100) * MS (T,S,K)] Dove abbiamo per: EF(T) = fattore di emissione di CH4 per la categoria zootecnica T, kg CH 4 capo-1 anno-1; VS(T) = escrezione giornaliera solidi volatili per la categoria zootecnica T, kg sostanza secca capo-1 anno-1; 365 = giorni anno; B0(T ) = coefficiente che esprime la capacità massima di produzione di CH4 dalle deiezioni prodotte dalla categoria zootecnica T, m3 CH 4 kg-1 di VS escreta; 0,67 = fattore di conversione del metano da m3 a kg; MCF (S,K) = fattore di conversione del metano per i differenti sistemi di gestione delle deiezioni S in funzione delle condizioni climatiche della regione K, %; MS (T,S,K) = frazione delle deiezioni della categoria zootecnica T gestita con il sistema S nelle condizioni climatiche della regione K, adimensionale. Calcolo dei solidi volatili: VS = PV * %DE * %SV Dove abbiamo per: VS = escrezione giornaliera solidi volatili, kg sostanza secca capo-1 anno-1; %DE = % deiezioni escrete in base al PV dell’animale; %SV = contenuto % di Solidi volatili nelle deiezioni Più in particolare, in base a tale impostazione, poi, si è deciso di considerare quanto sviluppato da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) per redigere l’inventario nazionale delle emissioni (ISPRA, 2011). La procedura di calcolo è più precisa di quella standard proposta da IPCC in quanto sviluppata su scala regionale in relazione alle condizioni climatiche regionali (temperature medie mensili), alle quantità di deiezioni prodotte per categoria zootecnica e alle pratiche di gestione. Questo approccio metodologico ha consentito la stima di specifici fattori di conversione che sono risultati pari a 15.32 g CH 4 e 4.80 g CH4 per kg di solidi volatili prodotti (VS), rispettivamente per il liquame e il letame. Il fattore di 23

conversione specifico per il liquame così individuato è stato utilizzato per il calcolo dei fattori di emissione EF: EFliquame = 15.32 g CH4/kg * VSliquame kg capo-1 giorno-1 * 365

2.3.2 – Esempio di calcolo di emissioni legate all’alimentazione standard In definitiva, partendo da un animale di 350 kilogrammi che produce circa il 7% di deiezioni rispetto al suo peso vivo, in cui sono presenti circa 8% di sostanze volatili otteniamo che lo stesso produce 14.02 kg di CH4/anno e, quindi, tramite un GWP pari a 21, abbiamo che dalle deiezioni si producono 295.91 kg di CO2 all’anno. A partire da questo valore si arriva a calcolare per la dieta standard, vengano prodotti dalle deiezioni 0.675 kgCO 2/kgPV.

3 - Risultati 3.1 – Confronto con analoghi modelli e previsioni riportate in bibliografia

kg CO2 annui 10% emissioni produzione alimenti

34%

emissioni enteriche emissioni stoccaggio reflui

56%

Fig. 2.7 - Ripartizione percentuale fonti CO2 Per un animale di 350 kg, con la razione costituita da colture prodotte senza rotazione, sommando le varie emissioni ottenute nel foglio di calcolo di Excel, ovvero quelle derivanti dalle fermentazioni enteriche, dallo stoccaggio dei reflui e dalla produzione degli alimenti, otteniamo che annualmente vengono prodotti 2174.78 kilogrammi di CO 2. Questo valore, se rapportato alla crescita annua complessiva pari a 340.667 kgpv, ci fornisce una stima di quanta CO2 viene prodotta per kilogrammo di peso vivo, che risulta pari a 6.38 kgCO2/kgpv. Frazionando questo valore in funzione delle diverse voci di emissione, otteniamo 3.114 kgCO2/kgpv derivante dalle emissioni enteriche, 2.593 kgCO 2/kgpv per le 24

emissioni derivanti dalla produzione degli alimenti e 0.675 kgCO 2/kgpv derivanti dalle emissioni provenienti dallo stoccaggio dei reflui. In bibliografia è possibile trovare dati riguardanti le emissioni di CO 2 per la produzione di un kilogrammo di peso vivo. In particolare i dati presenti nella tabella sotto riportata provengono dall’articolo “Carbon Footprint of Beef Cattle”. (Raymond et al. 2012) NAZIONI kg CO2/kg peso vivo USA 13.2 EUROPA 10.4 BRASILE 22 AUSTRALIA 11.4 Fig. 2.8 ‒ Tabella che riporta le produzioni di CO2 per kilogrammo di peso vivo in varie nazioni La tabella evidenzia notevoli differenze con i valori calcolati in questo lavoro a causa dei diversi fattori considerati quali: peso dell’animale; incrementi giornalieri; tipologia di allevamento e di alimentazione che nelle varie regioni del globo sono differenti. Inoltre poi nei dati ricavati dalla bibliografia viene anche considerato l’impatto di CO 2 dovuto al cambiamento di utilizzo del suolo, ovvero per esempio da foresta a terreno coltivato per la produzione di foraggio. Inoltre bisogna considerare che gli animali presi in considerazione nell’articolo sopra citato vengono allevati prevalentemente secondo la tecnica della linea vaccavitello, mentre quelli da noi considerati sono animali provenienti da incroci di linee da carne con linee da latte: ciò significa che nel calcolo si tiene conto anche della quota di CO2 derivante dal mantenimento della nutrice. Sempre secondo l’articolo prima citato, l’aumento della produttività degli animali comporta una diminuzione della produzione di CO 2 per kilogrammo di peso vivo. Infatti in Canada tra il 1981 e il 2006, si è riscontrata una diminuzione dell’impronta del carbonio. Questo è il risultato dell’aumento dell’efficienza produttiva, conseguito grazie a: una migliore selezione genetica; una migliore formulazione delle diete e dei mangimi; e, infine, il miglioramento delle pratiche di gestione. Esse possono essere per esempio un aumento del peso di macellazione e una diminuzione del tempo per arrivare ad esso. ANNO CANADA kg CO2/ kgpv 1981 16.6 1986 15.3 1991 13.7 1996 12.4 2001 10.3 2006 10.0 Fig. 2.9 ‒ Tabella rappresentante produzione CO2 per kilogrammo di peso vivo in Canada in vari anni E’ quindi prevedibile che gli stessi possano continuare a ridursi nel tempo man mano che le pratiche di mitigazione, di cui si discute nel seguito, saranno adottate a largo raggio. 25

3.2 – Impiego del modello per calcolare l’influenza delle pratiche di mitigazione per diminuire le emissioni Come visto al punto 1.6. diverse sono le pratiche di mitigazione che possono consentire di ridurre l’impatto ambientale. Nel seguito si forniscono alcuni esempi di analisi di sensitività effettuate a partire dai dati standard e inserendo diversi valori di efficienza produttiva legati al cambiamento delle pratiche. 3.2.1 – Pratiche di campo Come abbiamo già accennato, anche la coltivazione dei terreni e delle colture crea un impatto ambientale. Per questo l’agricoltura deve impegnarsi anche in questo settore. Le possibili strade potrebbero essere l’introduzione della rotazione, la concimazione con fertilizzanti organici, la riduzione delle lavorazioni e l’utilizzo di macchinari adeguati. La rotazione come già detto è una tecnica che permette di migliorare la fertilità dei terreni. Infatti le rotazioni e gli avvicendamenti fanno sì che sullo stesso campo non si ripetano per più anni di seguito le stesse colture, che finiscono con impoverire il terreno, e che anzi si alternino colture che si complementano nel fabbisogno di nutrienti. Questo quindi unito alla concimazione con fertilizzanti organici farebbe sì che si manterrebbe la concentrazione della sostanza organica presente nel terreno e di conseguenza porterebbe alla riduzione dell’utilizzo dei concimi di origine inorganica. Concimi che come già detto hanno un notevole impatto ambientale. Mentre per quanto riguarda la riduzione delle lavorazioni e l’utilizzo di macchinari adeguati o più efficienti, porterebbe ad un utilizzo minore di energia derivante dai combustibili fossili. Introducendo la sola rotazione per quanto riguarda il fattore Ft di tabella 2.5, i valore di default IPPC passerebbe da 0.92 a 1 per quanto riguarda gli stock di sostanza organica presente nel terreno. Questo fa variare in diminuzione i valori standard prima calcolati e porterebbe ai valori riportati in Tab. 2.10. Colture

Prodotti con rotazione kgCO2/kg S.S.

Prodotti senza rotazione kgCO2/kg S.S.

0.359 Frumento 0.316 Mais 0.052 Silomais 0.342 Orzo 0.283 Soia Fig. 2.10 ‒ Tabella rappresentante varie colture prodotte senza rotazione

0.444 0.370 0.062 0.435 0.442

con rotazione e

I valori presenti in tabella si intendono come di quantità (kg) di CO2 emessa per unità di sostanza secca prodotta (kg). Considerando questi aspetti, la razione vista prima, se costituita da foraggi ottenuti senza rotazione, avrebbe un impatto di 0.34 kgCO 2/kg SS. Mentre se costruita da foraggi ottenuti con rotazione, avrebbe un impatto di 0.31 kgCO 2/kg SS. Quindi, se agli animali viene somministrata la razione con rotazione si produrrebbero 6.14 kilogrammi di CO2/kgpv che confrontata con il dato standard precedentemente individuato (6.38 kg/kgpv) significa una riduzione del 3.8% 26

solo per il fatto di adottare una rotazione senza nulla mutare nelle tecniche di coltivazione. 3.2.2 – Pratiche di alimentazione Come si può vedere dalla Fig. 2.7 le emissioni maggiori provengono dalle fermentazioni enteriche degli animali. Questo fattore è molto importante per dare delle indicazioni su come l’agricoltura e in particolare l’allevamento bovino da carne deve agire per essere più sostenibile dal punto di vista ambientale. Le possibili strade da intraprendere potrebbero essere, migliorare gli indici di conversione degli alimenti e gli incrementi medi giornalieri. Esso è dell’ordine di 4,5-5 UFC/kg oppure 6-7 kg di SS/kg per i vitelloni all’ingrasso; di 7-10 UFC/kg oppure 10-12 kg di SS kg per i bovini all’ingrasso a fine carriera. Per gli agnelloni è di 3-4 UFC/kg o 4-5 kg di SS. Questo valore dipende da vari fattori che possono essere: la specie, la razza, il sesso, l’età, lo stato di ingrassamento e il piano alimentare. Questo perché esistono delle razze più specializzate per la produzione della carne rispetto ad altre razze. Solitamente poi le femmine tendono ad avere questo indice maggiore rispetto ai maschi. Con l’età l’ICA o indice di conversione alimentare, tende ad aumentare. Questo perché con l’aumentare dell’età lo stato di ingrassamento aumenta e di conseguenza sarà necessario costituire più lipidi che proteine, questo comporta che per costituire i lipidi servono più energie rispetto a quelle necessarie per la costituzione delle proteine. Mentre il secondo, ovvero l’incremento medio giornaliero, rappresenta la quota di peso che l’animale ogni giorno acquista. Detto questo, se modifichiamo il foglio di calcolo di Excel, inserendo un valore pari a 5 per quanto riguarda l’ICA e 1.4 per quanto riguarda gli incrementi medi giornalieri, otteniamo che la produzione di anidride carbonica per kilogrammo di peso vivo si abbassa da 6.38 kgCO 2/kgpv a 4.25 kgCO2/kgpv. Questo perché gli animali vengono alimentati con diete più concentrate e di conseguenza avranno degli incrementi di peso giornalieri maggiori. Questo significa che il tempo che impiegheranno per arrivare al peso di macellazione sarà minore e che quindi il loro impatto ambientale in termini di CO 2 prodotta sarà minore. I dati da noi trovati trovano conferma nell’articolo prima citato, infatti secondo uno studio se si riducesse il tempo necessario per raggiungere il peso di macellazione da 602 gironi a 482 giorni, in combinazione con altri miglioramenti nella gestione aziendale si potrebbe avere una riduzione del 16% nelle emissioni di anidride carbonica. (Johnson et al. 2003). Sempre secondo questo studio, utilizzare diete povere di fibre alimentari, quindi ricche di energia derivante dai cereali e mangimi, porterebbe una diminuzione delle emissioni. Cosi come far completare il ciclo produttivo agli animali in stalla e non al pascolo, questo perché utilizzando diete ricche in energia e povere di fibra porterebbe gli animali al peso di macellazione più velocemente e quindi l’impatto ambientale diminuirebbe come già spiegato prima. 3.2.3 – Pratiche di gestione dei liquami Come già detto anche i reflui zootecnici contribuiscono ad incrementare il riscaldamento del pianeta, questo perché rilasciano gas ad effetto serra quali CO 2, CH4 e N2O. Le possibili soluzioni per ridurre le emissioni provenienti dalle vasche di stoccaggio dei liquami sono rappresentate dall’installazione di coperture, che 27

possono essere sia fisse che flottanti. In particolare quest’ultime possono a loro volta distinguersi in naturali o sintetiche. Per quanto riguarda le coperture fisse, che generalmente sono in cemento, esse presentano alcune problematiche quali il costo, una mancanza di efficienza nel recupero dei gas e se a tenuta, rendono difficoltoso lo scarico della vasca. Vediamo ora invece di che materiali possono essere le coperture flottanti, partendo da quelle di origine naturale, esse possono essere costituite da paglia, stocchi di mais, trucioli di legno, oli vegetali, argilla espansa e perlite. Mentre per quelle di origine sintetica, esse possono essere dei film plastici, delle membrane flessibili di polietilene o exa covers. Le coperture flottanti di origine sintetica possono permettere anche il recupero del biogas.

efficienza media coperture abbattimento emissioni NH3

CH4

CO2

85%

54% 57%

Fig. 2.11 - Ripartizione percentuale efficienza media coperture per abbattimento emissioni GHG (fonte Progetto SIREMA) Inoltre non solo lo stoccaggio dei liquami può contribuire all’emissione in atmosfera dei gas serra, ma anche il loro spandimento. Infatti esistono degli accorgimenti che rendono minori le emissioni che sono:  Non impiegare il getto irrigatore  Interrare entro 6-12 ore il liquame  Non distribuire in superficie in presenza di vento superiore a 1.5 m/s  Distribuire se possibile in un’unica soluzione  Evitare di distribuire su terreno nudo  Evitare di distribuire nei mesi più caldi

28

perdite NH3 in % sul distribuito inverno

primavera

estate

autunno

25% 20% 15% 10%

epoca di distribuizione (

Fig. 2.12 ‒ Ripartizione percentuale perdite NH3 rispetto alle varie stagioni (Clessons and Steineck, 1994) Al momento questi interventi sono difficilmente quantificabili con il modello di calcolo messo a punto, in quanto questo non permette di differenziare le diverse fonti di emissione.

4 – Conclusioni Sulla base delle considerazioni e aspetti esaminati, si può ritenere che il modello messo a punto abbia fornito, pur nella sua semplicità, utili indicazioni per analizzare le emissioni di GHG dovute alla produzione di carne bovina. In base ad esso possiamo tranquillamente arrivare alla conclusione che l’agricoltura, e in questo caso particolare l’allevamento dei bovini per la produzione di carne, siano un importante contribuente dell’effetto serra avendo un impatto sull’ambiente decisamente importante. L’ipotesi di potere avviare una filiera di produzione di carne partendo da incroci derivati dagli allevamenti di bovini da latte potrebbe portare, come è possibile vedere nel modello, a interessanti riduzioni delle emissioni per il comparto zootecnico lombardo. Inoltre, se vengono adottate le giuste pratiche nella produzione di alimenti zootecnici e aumentata la ricerca riguardo a maggiori efficienze digestive dei medesimi, il risultato potrebbe essere quello di un’agricoltura meno impattante per l’ambiente e quindi essere più sostenibile dal punto di vista ambientale. Un ulteriore contributo potrebbe anche derivare dalla adozione di pratiche di gestione dei liquami che, per esempio prevedano l’utilizzazione degli stessi per produrre biogas, in modo tale da diminuire le concentrazioni di GHG e diminuire l’utilizzo di energia fossile. E’ tuttavia da evidenziare come alcune pratiche prima citate, risultino essere di facile impiego e di efficacia provata, mentre altre risultino non essere così facili da impiegare, anche se la loro efficacia è provata.

29

Detto tutto ciò, per concludere, sulla base delle nostre considerazioni e sui dati trovati in bibliografia, possiamo tranquillamente affermare che è possibile diminuire l’impatto ambientale dovuto alla produzione della carne.

5 – Bibliografia Abberton et al. 2007 - Abberton, M.T., Marshall, A.H., Humphreys, M.W., Macduff, J.H. Collins, R.P. and Marley, C.L. (2008) Genetic Improvement of Forage Species to Reduce the Environmental Impact of Temperate Livestock Grazing Systems. Advances in Agronomy, 98, 311-355.

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RELAZIONE FINALE CARBONAGRI.pdf

Questo processo biochimico appartenente agli. organismi autotrofi, permette di sintetizzare glucosio partendo da due precursori,. l'acqua e l'anidride carbonica.

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