Madrid vista da Berlino

La sera di sabato 22 maggio sono a Berlino con sette amici, unico interista. Ma nessuno vuol perdere la finale di Champions League (anzi, uno c’è: in un gruppo di otto, non può mancare lo juventino che non ha più interesse per il calcio). Identifichiamo un locale pubblico in qualche modo legato all’Hertha Berlino. Bisogna muoversi per tempo, usciamo dall’albergo alle 19.15, e alle 19.14 ero sintonizzato su Rai 1 (canale 28). Sarei rientrato in camera di corsa, se la location berlinese si fosse rivelata inadatta al mio stato d’animo. Già a una certa distanza dal locale, la retromarcia è inevitabile: una muraglia umana di trecento persone in piedi, all’aperto, con l’ovvio mezzo litro di birra in mano, occupa la trentina di metri dal grande schermo. Meno motivati del sottoscritto, gli amici si fermano. Io corro verso la metropolitana, due fermate fino a Alexanderplatz, con la speranza di trovare un taxi (dall’improponibile color panna); altrimenti, il solito autobus a due piani, il numero 100.

Di taxi ne passano uno, due, tre, tutti occupati. Risalendo Karl Liebknecht strasse, alla fermata Lustgarten vedo arrivare un 100: sono le 20.35, quando spedisco un sms a Laura, mia moglie (rimasta a Bologna, sta vedendo la partita da un’amica altrettanto interista). C’è traffico. O forse è solo agitazione. Berlino si presenta come un gigantesco cantiere a cielo aperto, sulla Unter der Linden incrocio deviazioni e restringimenti di carreggiata. Arrivo in Lutzowplatz alle 21.01, salgo in camera (quinto piano, numero 515), accendo il televisore e pigio i tasti 2 e 8. Lo schermo è nero... Perdo almeno un paio di minuti nell’infruttuoso tentativo di sintonizzarmi sulla Rai (solo il giorno dopo risalirò al fatto che il servizio pubblico non dispone dei diritti esteri delle partite di Champions). Su Eurosport trasmettono la sintesi del giro ciclistico della California. Su Bbc World un’intervista a Lippi (porterà sfortuna?). Su altri canali ottimi film in bianco e nero (La parola ai giurati di Lumet, Testimone d’accusa di Wilder, con Marlene Dietrich, di cui vedrò splendide immagini nel nuovissimo museo del cinema, in Potsdamer platz). Scocca il minuto 26 quando, con infinito sollievo, trovo un canale satellitare in lingua tedesca, mentre Van Bommel travolge Sneijder a centrocampo. Voi lo sapete, io potevo solo supporlo: la partita è ancora sullo 0-0. Poco dopo arriva la sovrimpressione con la statistica sul possesso palla (63 a 37 per il Bayern), e nonostante l’ansia per il ritardo e la disidratazione da stress, arrivo a pensare che è un buon segno. Tolgo le scarpe e mi sdraio sul letto. La stanza, una doppia (faccio coppia con lo juventino, per farvi capire che sono poco scaramantico), è oggettivamente lussuosa: letto a una piazza e mezzo, quintali di cuscini di varie forme, televisore a 36-38 pollici; abbiamo prenotato mesi fa, quando l’Esplanade faceva offerte speciali davvero speciali. Quel sabato sera conclude la seconda di quattro giornate di vacanza, passate a camminare fino allo sfinimento (Berlino è enorme, strade, parchi, distanze). Al mattino abbiamo visto il busto di Nefertiti e la Porta di Mileto (non è un refuso); poi currywurst (salsiccia annegata nel curry e nella senape), patate fritte, quattro assaggi di birra e un gigantesco strudel. Cinque ore dopo, la digestione è ancora in corso. Anche il telecronista sembra in preda all’acidità di stomaco. Non capisco cosa dica, ma credo trovi irritante l’atteggiamento tattico dell’Inter, le uniche parole comprensibili sono “Helenio Herrera” e “catenaccio”. In effetti, è sempre il Bayern ad attaccare, ma con una scarsa pericolosità. La rapinosa velocità del gol nerazzurro riesco a coglierla solo nel replay: lungo lancio di Julio Cesar, Milito di testa verso Sneijder, l’olandese fa un paio di passi e appoggia a Milito, che entra in area, finta il tiro e gonfia la rete di destro. Una semplicità disarmante. Nella stanza insonorizzata, alzo un urlo, batto i pugni sul letto e lancio in aria i cuscini. Ora il telecronista incupisce e oltre al nome di Herrera mostra di conoscere il soprannome di questo straordinario centravanti: “El Principe del Bernal”. Immagino sia rimasto senza saliva qualche minuto dopo, quando è Milito a innescare Sneijder, che fallisce il raddoppio. Intanto, arriva un sms di mia moglie con su scritto: “Milito”. Rispondo: “L’ho visto. Sono arrivato in tempo”. Un minuto di recupero: sull’innocuo rasoterra da fuori area di Van Bommel, cominciano a scorrere alcune notizie in breve, fra cui una che mi conforta sul fatto che Maria Sharapova possa ancora essere considerata una tennista (ha appena vinto il torneo di Strasburgo). Inconsapevole, riprovo a cercare la Rai. Fra i canali 27 e 29 c’è un buco nero. Mi imbatto, invece, in una famosa marca di elettrodomestici, che propone un quiz su chi sia l’allenatore del Bayern (Van Gaal o Van Gogh). Ritrovo Lippi in un programma intitolato “Extratime”: il giornalista pone le domande in inglese, il ct

risponde rigorosamente in italiano. E il Giro della California ha lasciato spazio al wrestling… Devo tornare al canale in lingua tedesca, nella speranza di recuperare le azioni che si sono svolte nei primi 26 minuti, ma anche qui niente calcio, passano una serie di pubblicità: Ballack fa il testimonial di uno shampoo, Beckenbauer di una famosa casa automobilistica, un contasecondi, in basso a destra dello schermo, esaurisce il conto alla rovescia… Riecco il Bernabeu. Anzi no, prima il telecronista commenta l’esultanza di Piazza Duomo, l’ondeggiare dell’immensa folla al momento del gol di Milito. Come d’abitudine, l’Inter rientra in campo quando la squadra avversaria è già schierata da un paio di minuti. Forse la prendono come una provocazione, perché dopo appena 20 secondi, Julio Cesar è chiamato a un intervento decisivo, di piede, su tiro di Muller. Tutti i commenti tedeschi del post-partita ruoteranno intorno a questo episodio. Passa un minuto, e stavolta è Pandev, innescato da Milito, a costringere Butt alla parata spettacolare. Mentre passa la mano fra i capelli radi, ripensando a quanto è andato vicino all’impresa, il macedone mostra occhiaie profondissime, sembra invecchiato di colpo. Il ritmo si placa e riesco a trovare la calma. Una calma irreale: non saprei dire perché, ma sento che andrà a finire bene. Come dirà di sé Moratti, anch’io avevo molta più paura durante la partita di Siena. Comunque, Samuel deve immolarsi su un tiro di Robben; sul ribaltamento di fronte, Pandev conquista una punizione al limite dell’area (Sneijder la spreca sopra la traversa); Lucio corre un rischio inutile, perde il pallone in area e Altintop tira fuori di poco. Come ampiamente previsto, il pericolo è in agguato sul lato sinistro, quello di Chivu e Pandev, che devono fronteggiare le sovrapposizioni di Lahm e le qualità balistiche di Robben. Sull’altro lato, Maicon ed Eto’o sembrano in grado di proporsi con pericolosità, anche se Altintop sembra onnipresente. Infatti, al minuto 62, Van Gaal lo toglie. Entra Klose. Subito dopo, Cambiasso (di testa su Muller) e Julio Cesar (su Robben) salvano il risultato. Il volo del portiere è mostrato ripetutamente, il rallentatore ne enfatizza le movenze plastiche, la mano di richiamo che schiaffeggia il pallone in corner… L’Inter sembra alle corde, Mourinho decide di inserire Stankovic al posto di Chivu, ogni mezzo minuto guardo quanti minuti mancano. Troppi per gestire un solo gol di vantaggio. Ma al minuto 69, Eto’o riceve e con la sua corsa armoniosa scavalca il centrocampo, quindi lancia in diagonale verso Milito. Che s’illumina d’immenso: ridicolizza Van Buyten con la finta più prevedibile e letale, so con certezza che farà quella finta (lo sanno tutti, tranne Van Buyten) e scatto verso il televisore, sono a mezzo metro dallo schermo ben prima che il pallone scavalchi Butt e apra le porte all’apoteosi. È uno di quei gol che non dimenticherai mai, doppiamente emozionante, perché hai il tempo per pregustarlo, assapori quei pochi secondi, partecipi all’azione, accompagnando il pallone in rete, inesorabile come la legge di gravità. Baciato dalla grazia, Milito corre sotto la curva nerazzurra, il volto sfigurato. Anzi, trasfigurato. Dalle tribune del Santiago Bernabeu, si alza un coro per José Mourinho. Il quale, nel replay che va ora in onda, segue la corsa di Milito, il dribbling secco, il tiro, e alza gli indici al cielo. Arriva Materazzi e lo solleva da terra. Fuori Olic, dentro Gomez: con tutta evidenza, Van Gaal vede il calcio all’opposto di me. Ma lo so bene, sono tedeschi, con loro non è mai finita. Per fortuna ci sono anche un po’ di olandesi, l’allenatore, Robben e Van Bommel, due tipi ingombranti, che pretendono di giocare tutti i palloni, e rendono prevedibile la manovra dei bianco-rossi.

Entra Muntari per Pandev, stremato. Fallaccio di Van Bommel su Milito; pare sia una brutta botta e Mourinho prepara l’ultimo cambio, si scalda Balotelli. Al minuto 85, per la prima e unica volta, Robben sbuca a destra e crossa un pallone pericoloso. Il possesso palla del Bayern arriva alle soglie del 70%, e a questo punto mi chiedo cosa ne penserà quell’esteta di Florentino Perez. Apro il frigo-bar, l’unica cosa che assomiglia a una festa ha la forma di una bottiglia da 35 cl di Furst von Metternich, spumante tedesco. Guardo il prezzo (16 euro e 50), svito la stagnola e aspetto il fischio finale. Materazzi gioca due dei tre minuti di recupero, Mourinho va verso la panchina del Bayern e si china a stringere la mano a Van Gaal, il pubblico in maglietta nerazzurra (o con la croce del centenario) è tutto in piedi… Stappo… L’arbitro fischia la fine, e viene omaggiato con un primo piano: bella faccia, collo taurino, non sembra nemmeno sudato. Da qualche parte, la mano di un orefice sta incidendo il nome dell’Inter sull’argentea Coppa dalle grandi orecchie. A stomaco vuoto, lo spumante mi sembra dolciastro, ma serve a metabolizzare currywurst e senape, patate fritte e strudel. Addento la barretta ai cereali rimasta nello zaino da un paio di settimane. A raffica, arrivano telefonate e sms. Rispondo distrattamente, cerco di capire cosa stiano dicendo Lahm e Van Bommel, Van Gaal e Rummenigge, mentre Kaiser Franz pontifica e sorseggia un bicchier d’acqua. Intuisco che il giornalista tedesco ha girato il coltello nella piaga, chiedendo a Rummenigge e a Beckenbauer se fosse il caso di cedere Lucio e tenere Demichelis e Van Buyten… All’ennesima riproposizione della parata di Julio Cesar, ecco Muller, a voce bassa, che commenta quel che poteva essere. Al terzo calice, sono in grado di respingere ogni pensiero negativo: i 26 minuti persi, il non aver condiviso questa esperienza con Laura, l’aver salvato il ranking Uefa (un regalo a Milan, Juve o Roma). Ogni tanto la regia mostra le facce attonite dei tifosi bavaresi, immobili sulle tribune. Vedo Stankovic avvolto nella bandiera della Serbia, Eto’o in quella del Camerun, Milly Moratti con una maglia nerazzurra. Nel consegnare le medaglie, Platini non sembra affatto contento; sorride solo quando Thiago Motta gli fa cenno di infilarla al collo della piccola, riccioluta Sophia. Ancor meno contenta è la regia tedesca, che sfuma rapidamente le immagini della premiazione. Nella stanza 515 dell’Esplanade di Berlino, non ho visto Zanetti alzare la Coppa, Cambiasso con la vecchia maglia di Facchetti, la sarcastica maglietta di Materazzi, la musica di Haendel sui fuochi d’artificio, il commovente abbraccio fra Moratti e Mourinho, lungamente accarezzato sulla nuca come un cagnolino: sono immagini recuperate a casa, videoregistrate, e poi su You Tube e in svariate nicchie del web. Avrà tanti difetti, la società dello spettacolo, certo non lascia scappare nulla di quel che avviene sul prato di una finale di Champions League. Negli studi televisivi dell’emittente tedesca, arriva Mourinho. Camicia sbottonata, cravatta stazzonata, resta in piedi, fra Van Gaal e Beckenbauer, sistema l’auricolare e risponde in inglese. Sceglie di essere umile. Solo gli occhi lo tradiscono. Van Gaal l’ha presa bene, a un certo punto fa una gran risata, e mi chiedo quale allenatore italiano, in quel momento, ne sarebbe capace. È chiaro che chiedono a Mou del Real Madrid, e lui fa capire di aver deciso. Proprio allora arriva l’sms di Luigi (amico specializzato nella tempistica delle brutte notizie): “Ha detto che se ne va”. Euforico, rispondo di getto: “Peggio per lui”. Rudi Ghedini per “Linea Bianca”, maggio 2010

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Sull'altro lato, Maicon ed Eto'o sembrano in grado di proporsi con. pericolosità, anche se Altintop sembra onnipresente. Infatti, al minuto 62, Van Gaal. lo toglie.

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