Fondazione, slitta l’ok alla Bray Il ministero: manca ancora il piano Il commissario Sole al Senato: «Stiamo aspettando». I sindacati: «Ci avevano detto che era tutto a posto» domenica 12 febbraio 2017 VERONA Come procede il piano per l’adesione di Fondazione Arena alla legge Bray? In che tempi sarà possibile ottenere una risposta da parte del ministero della Cultura? Ad ascoltare le parole di Gianluca Sole, commissario straordinario del governo per le Fondazioni liriche, per ottenere una risposta, prima bisognerebbe presentare la domanda, almeno quella definitiva. Perché, il super commissario, durante l’audizione di mercoledì scorso in Commissione Beni pubblici al Senato, ha candidamente ammesso: «Ad oggi, siamo in attesa di avere la nuova versione del piano che andrà valutato in termini di sostenibilità economico – finanziaria. Su questo ancora non abbiamo una risposta». Insomma, i tempi per poter ottenere quello stanziamento da 10 milioni di euro, previsto dalla Bray e quanto mai vitale per l’Arena, non sembrano essere né maturi, né brevi. Prima di concludere il proprio intervento davanti ai senatori che gli chiedevano conto della situazione veronese con le parole sopra citate, Sole ha spiegato anche il complesso iter che ha portato alla situazione attuale, suddividendolo per tappe. Va chiarito, cosa confermata dallo stesso commissario, che Fondazione Arena ha presentato il proprio piano per accedere alla Bray nei termini previsti. Una prima revisione di quello stesso piano, tuttavia, è stata chiesta nel momento in cui il governo ha stanziato 10 milioni per Verona: il piano scaligero, nella versione originalmente elaborata dal commissario Carlo Fuortes, prevedeva una richiesta fondi pari a 17 milioni. Sforbiciata la richiesta e riconteggiati i valori complessivi del piano, una seconda revisione è stata richiesta, in autunno, dal collegio dei revisori dei conti a livello ministeriale. In particolare, i revisori, ma anche la Direzione generale del ministero, in questa occasione, hanno avanzato una serie di richieste specifiche, di precisazioni e di chiarimenti al piano Fuortes. Tra le altre cose, si chiede un «rafforzamento» delle operazioni di stralcio del debito: cioè, a fronte della concessione di 10 milioni di euro, si chiede un maggior impegno nei confronti dei creditori in modo da poter dare una certa tranquillità futura ai conti di Fondazione Arena. Un nuovo incontro tra le parti, secondo la ricostruzione di Sole, si tiene lo scorso 3 gennaio e, in una nota del giorno successivo, il ministero chiede alla Fondazione di fare chiarezza su quattro punti: la disciplina dell’utilizzo dell’anfiteatro (la gestione, cioè, tra giornate di spettacoli di lirica ed extra lirica), un approfondimento su Arena Extra con presentazione del bilancio consuntivo 2016 e preventivo 2017, chiarimenti sul Museo Amo con la recessione dal pagamento dell’affitto, senza però rinunciare a valorizzare il patrimonio artistico posseduto dal teatro. Ultimo punto riguarda

il corpo di ballo. È questa la versione del piano che il commissario Sole afferma, davanti alla Settima Commissione del Senato, di non aver ancora ricevuto. Una situazione che allarma, e non poco, lavoratori e organizzazioni sindacali.«Siamo molto preoccupati – conferma Ivano Zampolli, segretario Uil Comunicazione – perché avevamo avuto rassicurazioni che l’iter stesse procedendo senza grandi intoppi. Ora, invece, scopriamo che la situazione è un po’ più complessa. Non ci dimentichiamo che i lavoratori si sono già fermati per due mesi nel rispetto di quanto previsto dal piano Fuortes e che il corpo di ballo è stato licenziato, anche se non era previsto dal piano, ma con l’obiettivo, secondo i vertici del teatro, di poter accedere alla legge Bray». La speranza è, ovviamente, che non si sia trattato di sacrifici inutili. Per i dipendenti di Fondazione, tuttavia, anche una notizia positiva: domani, con lo stipendio, sarà pagato anche il premio di risultato, indice che Fondazione ha centrato l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2016. Samuele Nottegar

IL COMMENTO

Arena Spa, il coinvolgimento della città e una riforma su cui lavorare per cambiare un sistema ormai al collasso di Giorgio Benati Certo il nome non è un granché ma, da quanto è stato riportato su queste pagine nei giorni scorsi, una certa sostanza sembra esserci. Anzi, possiamo anche annunciare un certo apprezzamento nell’aver visto attorno a un tavolo il gotha imprenditoriale e politico (e non solo) attesi a parlare e progettare lo sviluppo legato al festival lirico areniano. Ci riferiamo ad Arena Lirica Spa e all’incontro tenutosi a Palazzo Canossa in settimana. Promotori gli avvocati Lamberto Lambertini e Giovanni Maccagnani e l’imprenditore Giuseppe Manni. Era molto tempo che la città, con le sue espressioni socio-economiche e politiche più significative, non si ritrovava compatta e unita su un progetto di rilancio di un bene che, come abbiamo sempre evidenziato, ha fatto grande Verona, il suo territorio e inorgoglito i suoi abitanti. La cultura e la musica, sappiamo, sono sempre cresciute grazie al mecenatismo privato e anche una legge attualmente in vigore, l’Art Bonus (legge 29 luglio 2014, n. 106), ne sollecita attenzione e adesione. Verona farà da apripista nazionale in questo settore per cambiare un sistema ormai al collasso? Non lo sappiamo. Certamente, l’attuale situazione areniana è già stata un pretesto per il varo dell’ultima legge del settore, la 7 agosto 2016, n. 160 all’art. 24 che porta la firma anche di alcuni parlamentari veronesi. È innegabile che attualmente le fondazioni lirico-sinfoniche attraversino un periodo di grande difficoltà, tutte, nessuna esclusa. Le motivazioni e le colpe sono molte e nessuno si deve/può chiamarsi fuori (sindacati compresi). Come potrà essere una legge quadro che riformi radicalmente e con coraggio l’intero settore? Dipende dall’autonomia e competenza dei proponenti e dal contesto politico (approssimarsi delle elezioni). Ne siamo dubbiosi e, forse, sarà l’ennesimo compromesso veltroniano della 367/1996. Attualmente,

una proposta di legge avanzata dalle sigle Agis e Federvivo dice che «Uno degli assiomi del Codice dello spettacolo dal vivo dovrà essere la stagionalità del lavoro, con l’agevolazione di forme contrattuali flessibili». Bene, può essere un buon inizio. Il settore così com’è ora ricorda molto da vicino quello che erano le Poste e le Ferrovie di qualche decina di anni fa: stipendifici ipergarantisti con poca cura per il servizio sociale a cui erano chiamati. Non è possibile, infatti, dedicare al prodotto solo il dieci per cento del proprio bilancio (quando va bene). Non è più possibile continuare a garantire a tutti quanto oggi viene garantito (e non entriamo nel dettaglio per carità umana). Non è certo possibile lasciare inoperosi molti giovani musicisti, neo diplomati e laureati, bravissimi esecutori pieni di voglia di suonare e desiderosi di contribuire a fare grande il nostro teatro, perché il sistema è ingessato e iperprotetto. A margine ricordiamo solo che la London Symphony Orchestra, una delle eccellenze storiche mondiali, scrittura i suoi componenti «a progetto», nessuno è stabile. Dai nostri Conservatori escono ogni anno decine di talenti musicali che ora non hanno la possibilità di trovare un impiego. Sono forze fresche, preparate, desiderose di fare bene che meritano spazio e attenzione. Inoltre, non è certo più possibile assistere a spettacoli indecorosi per livello interno e scelte di un management non all’altezza. Siamo ormai al capolinea ma ancora ci auguriamo, nonostante tutto, che arrivi una radicale e salutare riforma a salvare il salvabile in linea con il dettato costituzionale dell’art. 9. Nel frattempo, ben venga il ritorno della società civile a riprendersi un bene e un servizio.

Fiere promotrici di eventi culturali In Europa il business è già avviato Da Bruxelles a Utrecht, da Glasgow a Birmingham: ecco gli esempi da seguire domenica 12 febbraio 2017 VERONA Ma cosa c’entra la Fiera con la lirica? Molti, si sono posti questa domanda, dopo che proprio Veronafiere è stata indicata quale possibile «garante» del progetto per la nuova Spa, ipotizzata da Lamberto Lambertini, Giovanni Maccagnani e Giuseppe Manni per cercare di risolvere i problemi della Fondazione Arena. Riuniti attorno al tavolo, nello studio dell’avvocato Lambertini, rappresentanti di enti e istituzioni hanno ascoltato giovedì scorso la proposta della «triade», in base alla quale, come ha sostenuto il presidente di Cariverona, Alessandro Mazzucco, «il braccio operativo della nuova Spa potrebbe essere la Fiera di Verona, che ha tra i suoi soci quelli della Fondazione Arena, ha un management pronto alla gestione degli eventi e ha una mission internazionale di altissimo livello». Una novità assoluta? No, perché nel lontano 1930, con un’Arena inguaiata e con le casse vuote, nonostante i prodigiosi sforzi di Giovanni Zenatello, il Comune di Verona diede il via al primo esperimento di privatizzazione, affidando la gestione degli spettacoli lirici proprio alla Fiera, ritenendolo - dice la delibera del Podestà Mario Pasti - «organo adatto

per coordinare quelle forze che mirano ad assicurare con mezzi moderni, periodi di speciale movimento e incremento della città». Si può riproporre quella scelta? È una provocazione? Un salto nel buio? I favorevoli alla proposta assicurano di no. E snocciolano alcuni esempi. Sia in Inghilterra che in Belgio, ad esempio, esistono società fieristiche che hanno esteso il proprio business al settore degli «eventi» e dello spettacolo, creando apposite location per i concerti (fino a 15mila posti per il pubblico, più o meno quelli esistenti in Arena) e moltiplicando attorno agli spettacoli altre occasioni di business. A Glasgow, la Sec è nata nel 1985 e gli edifici che ospitano questi eventi sono stati disegnati dal famoso architetto sir Norman Forster, a partire dalla Concert Hall da tremila posti e da una spettacolare arena in vetro con 13mila posti a sedere. A Birmingham e a Bruxelles si è puntato invece maggiormente sulla creazione, accanto alle sedi per eventi musicali, di shopping center e addirittura di un Casino. Il centro fieristico britannico, in particolare, ha eretto un palazzo per concerti da 16 mila posti denominato in un primo tempo LG Arena e adesso Genting Arena (un nome che ritorna…). E ad Utrecht il centro fieristico organizza spettacoli in un teatro da 1.500 posti, affiancato dalla cosiddetta area «innovation mile» che ospita convegni, start-up e coworkers. Prevedibile l’obiezione dei tradizionalisti: e la sacralità dell’evento operistico? I pareri resteranno probabilmente diversi od opposti, ma il tema c’è, ed è concreto. Ma cosa ne pensano a VeronaFiere. Il presidente Maurizio Danese, a botta calda, aveva spiegato che la prima condizione per esaminare la proposta Lambertini-ManniMaccagnani è quella della sostenibilità, ovvero il fatto che l’ipotesi stia in piedi grazie alle proprie entrate, senza creare altri deficit o implorare sovvenzioni. Ciò premesso, Danese aveva aggiunto che «il progetto è di ampio respiro e da qui al 2018 c’è tempo per organizzarsi». Ma della questione, a quanto risulta al Corriere di Verona, si è già parlato ai piani alti di Viale delle Nazioni, e sarebbero emerse valutazioni tanto prudenti quanto prive di rifiuti. Anzi. Se poi saranno davvero rose, lo sapremo solo al momento dell’eventuale fioritura.

«Operai vandali»? Sono quelli del rock» Fondazione e lavoratori criticano l’ex soprintendente Manasse. Che dice: «È vero e mi scuso» domenica 12 febbraio 2017 VERONA Non ci stanno gli operai di Fondazione Arena a essere accusati di «atti vandalici» sull’anfiteatro romano. A tirarli in ballo è stata Giuliana Cavalieri Manasse, per 35 anni responsabile del Nucleo Operativo veronese della Soprintendenza Archeologica del Veneto, che sulle pagine del nostro giornale è entrata nel dibattito sul progetto di copertura dell’Arena con considerazioni che i lavoratori di Fondazione giudicano «condivisibili e corrette», a parte una frase. Quella in cui Manasse afferma che l’Arena,

passata attraverso eventi traumatici di ogni tipo, «ha sostenuto e sostiene gli attacchi vandalici degli operai dell’Ente Lirico oggi Fondazione Arena». Rifiuto «con sdegno» dell’accusa da parte dei lavoratori la cui professionalità è ribadita anche dalla Fondazione stessa che parla di «personale altamente qualificato e consapevole del valore del monumento». «Eventuali danni riscontrati – scrive Fondazione - dovrebbero essere attribuiti alla realizzazione di altre manifestazioni nell'Anfiteatro». Ma l’accusa scagliata da Manasse non sembra essere infondata, anche se indirizzata alle persone sbagliate: i lavoratori infatti nel comunicato parlano di «ripetute contestazioni» rivolte «negli ultimi lustri all’amministrazione comunale per l’uso disinvolto che ha voluto fare dell’Arena per le serate di extra-lirica appaltate a ditte esterne o addirittura utilizzate per iniziative mondane che hanno trasformato il senso stesso del monumento in una cornice inappropriata per storia e significato, asservendola a logiche commerciali e di business». Il loro diventa un pesante atto di accusa rivolto alla «propria amministrazione a cui da sempre contestano le esternalizzazioni a cooperative, soprattutto per gli smontaggi, sulle quali sarebbe stato opportuno si effettuassero verifiche e indagini da parte delle istituzioni e delle autorità preposte circa la natura degli appalti». Cooperative le cui competenze vengono definite senza mezzi termini «inadeguate» denunciando una situazione di «involuzione perpetrata e ascrivibile a obiettivi altri, legati al business». Una situazione ben diversa, conclude il comunicato, rispetto a un tempo in cui «le prescrizioni di Soprintendenza Archeologica e Comune si esplicitavano e convergevano nell’unico e primario obiettivo di salvaguardare il prezioso monumento». «Sono contenta – risponde Giuliana Cavalieri Manasse - che gli attuali lavoratori di Fondazione Arena rivendichino la propria professionalità facendo emergere le responsabilità di altri e le criticità della loro posizione. È ben chiaro che negli ultimi anni in nome del business in Arena entrano lavoratori di tutti i tipi, e mi scuso per essermene dimenticata. Quanto al sindaco Tosi e alla sua replica posso solo dire che non è capace di entrare a tono nel merito delle problematicità reali». Camilla Bertoni

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