Caso Arena, sindacati spazientiti «Basta parole, vogliamo il rilancio»
Le sigle: i politici sono spariti e la città resta la grande assente Venerdì 16 dicembre 2016 VERONA «Ci dicono che sembriamo un disco rotto: ma dall’altra parte suona un disco rigato, che si incanta sempre sulla stessa traccia e che è incapace di proseguire». Sindacati della Fondazione Arena a raccolta: discutono, ci tengono a chiarire la propria posizione con la stampa, visto che loro chiedono sempre le stesse cose e dall’altra parte, a parole e a facce nuove, qualche novità periodica capita sempre. «Cosa chiediamo? Semplice, che ora si passi alla fase due, quella della realizzazione dei fatti - esordisce Paolo Seghi, Slc Cgil - quella che in Italia non si riesce mai a fare. Vogliamo un rilancio vero. Noi abbiamo dato il sangue, ora la rinnovata gestione della Fondazione ci metta l’anima». Si denuncia un circuito: Roma, con il direttore generale del ministero dei Beni culturali Onofrio Cutaia, si è preoccupata del caso «fondazioni» e del caso «Verona», mentre a livello locale «i politici sono spariti» e le dichiarazioni del nuovo sovrintendente sulla mancata responsabilità della passata gestione vengono accolte come uno schiaffo. Sul tavolo, «sono rimaste tutte le questioni su cui chiediamo le stesse cose da tempo» rileva Ivano Zampolli (Uilcom-Uil), il nuovo contratto integrativo aziendale e la lotta contro il tempo per salvare il corpo di ballo («resta il pertugio aperto dalla Provincia che ha chiesto un’azione di responsabilità alle parti e più tempo per la contrattazione). La nuova pianta organica non è stata presentata, e il pensiero va anche ai lavoratori aggiunti: «Hanno dato un contributo fondamentale, sono dei professionisti, eppure non c’è programmazione della loro attività». «Oggi il piano di risanamento è garantito solo dai sacrifici dei lavoratori - aggiunge Dario Carbone (Fials-Cisal) - vogliamo vedere un vero rilancio artistico, vogliamo un apporto vivo della città, e vedere che i soldi che arriveranno da Roma siano in mani a vere competenze del settore». Senza dimenticare l’obiettivo primario, l’integrativo, come torna a sottolineare Nicola Burato (Fistel-Cisl): «Siamo disposti a dialogare, ma stop al legame fra il salario dei lavoratori e una gestione non positiva della Fondazione». (s.m.d.)
IL COMMENTO
Turandot, l’anniversario mancato e le due teste
Di Giorgio Benati
Ancora Turandot? Ebbene sì! Dopo la scorpacciata di recite estive in Arena ora al Filarmonico ci tocca ancora Turandot. Per carità, è sempre un piacere e una gioia ascoltare Puccini, ma il punto non è questo. Siamo forse in presenza di qualche anniversario che ci sfugge? Chiediamo aiuto. Per la verità, un anniversario ci sarebbe alle porte: 1917, prima rappresentazione della Turandot di Ferruccio Busoni alla Opernhaus di Zurigo. Ah! che genialità di programmazione sarebbe stata: al Teatro Filarmonico i festeggiamenti del centenario della sua prima rappresentazione in abbinata con l’opera pucciniana avvenuta in Arena l’estate scorsa. Dicembre andava benissimo, anticipando tutti. Occasione ghiotta per convogliare su Verona l’attenzione della critica musicale nazionale e internazionale. Poco pubblico al botteghino? Leggendo i bilanci, la biglietteria del Filarmonico copre a malapena il 10% dei costi, almeno usiamolo per accrescerne l’immagine culturale. Quale gioia sentirsi compartecipi di un teatro che produce cultura, qualità artistica, che sa convogliare sulla città l’attenzione del mondo musicale. Ricordo, come fosse oggi, che al Teatro La Fenice di Venezia nel 1994 l’allora direttore artistico Francesco Siciliani, una delle icone dell’organizzazione musicale del ‘900 (di cui ero assistente, quale segretario artistico) programmò il dittico Turandot di Busoni e Perséphone di Stravinsky. Tale dittico vinse il prestigioso Premio Abbiati quale migliore spettacolo lirico fra tutti i teatri italiani nella Stagione (Teatro alla Scala compreso, ovviamente). Questi sono gli aspetti affinché un teatro diventi e rimanga grande. Qualcuno ricorda le difficoltà economiche vissute in passato dall’Arena? No, ma tutti ricordano che vi ha cantato Maria Callas, Mario del Monaco ecc. Ricordiamoci di questa scala di valori. Conoscenza, qualità, innovazione. Per tornare brevemente e amaramente con i piedi per terra, ora abbiamo un Commissario ancora in carica e un sub-commissario vestito da Sovrintendente (al riguardo, ci siamo già espressi confermando ogni cosa). Diciamocelo, il Ministero sulla Fondazione Arena si sta producendo al meglio della sua creatività: dapprima un craniopagus parasiticus (un uomo a due teste … il commissario e il sovrintendente entrambi con pieni poteri pur essendo alternativi) e ora una versione casereccia del «Job family» (due di pari livello ma con mansioni e stipendio diversi). «E io pago!» ci direbbe Totò. Eh, sì! perché il doppione della brava Tartarotti (entrambi sono «direttore del personale») ora opera come sovrintendente e dobbiamo pure pagarlo nel nuovo ruolo pur sapendo che pochi ricordano cos’ha programmato in qualche teatro e
quali relazioni con il mondo musicale attivo porta in dote (quello che sta sul palcoscenico, per intenderci, non negli uffici). Per fortuna ci soccorre il Marchio Arena che salva tutto e tutti. Sappiamo che una certa politica locale ha spinto per questa «intelligente soluzione», fregandosene del futuro della Fondazione Arena e guardando solo al proprio tornaconto. Referendum docet. La stagione areniana 2017 è ormai alle porte ma il Nabucco inaugurale è ancora scandalosamente e colpevolmente da assegnare. Auguriamoci almeno che qualche artista di nome (com’è nella tradizione areniana) sia già stato scritturato e magari quelli che hanno cantato nelle passate edizioni già pagati … per non trovarci con qualche ufficiale giudiziario alla biglietteria areniana, com’è già avvenuto. Si apra il sipario! … e speriamo di non convenire con Ch. Baudelaire «Ciò che ho sempre trovato di più bello, a teatro, è stato il lampadario».