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Vinitaly 2012

Vigna Dogarina

La comunicazione, giunta in redazione dopo l’uscita del n. 16/17 de Il Corriere Vinicolo, è ora ufficiale: il prossimo appuntamento con la 46^ edizione di Vinitaly e con le rassegne Sol, Agrifood Club ed Enolitech sarà il 25-28 marzo 2012. Per agevolare la programmazione degli oltre 4.000 espositori e dei quasi 156.000 operatori presenti ogni anno a Verona sono state fissate anche le giornate di apertura del 2013: da domenica 7 a mercoledì 10 aprile.

A pochi mesi dall’insediamento di Romina Tonus alla direzione generale, Vigna Dogarina si rinnova: nuovo marchio e nuova immagine studiata seguendo una precisa strategia di marketing finalizzata a dare visibilità al brand e ai prodotti in breve tempo. Il nuovo marchio raffigura tre elementi chiave legati al territorio: il leone di San Marco e la silhouette delle Dolomiti che insieme rendono facilmente identificabile la posizione geografica dell’azienda, terzo componente, un grappolo stilizzato.

uffICIALIzzATE LE NuOVE DATE

SI RINNOVA PER PIACERE SEMPRE PIÙ

SCENARI IN MOVIMENTO

Sempre più distributori DI SE STESSI Partiti da distanze siderali, ora – dopo la mazzata della crisi – Nuovo e Vecchio mondo dovrebbero fare uno sforzo per mettere in comune le proprie strategie piuttosto che continuare a scimmiottarsi a vicenda. E Rabobank, nel rapporto commissionato da Confagricoltura e presentato a Vinitaly, pare suggerire di andare a scuola dai grandi distributori. Per anticiparne le mosse ed evitare di esserne fagocitati di marco baccaGlio

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Vinitaly, Rabobank ha presentato uno studio sul settore del vino commissionato da Confagricoltura. Il lavoro introduce una veloce carrellata dei problemi, delle sfide e delle opportunità del settore, con un occhio al prodotto italiano. Ritroviamo tutta una serie di questioni che a vario titolo sono normalmente affrontate su queste pagine: il problema della sovrapproduzione, la sfida dei mercati emergenti, il potere delle catene distributive nei mercati svilup-

pati e così via. Dove si arriva? Si arriva a una serie di spunti sui fattori che determineranno la competitività nel mondo del vino nei prossimi anni. In particolare: 1) le sfide dei diversi modelli di sviluppo del settore; 2) il potere della grande distribuzione; 3) la penetrazione dei mercati emergenti; 4) l’andamento dei cambi. Infine, viene schizzato un rapido confronto dei punti di forza e di debolezza del vino italiano rispetto ai prodotti del nuovo mondo. Vediamoli insieme.

Il Nuovo e il Vecchio mondo dovranno piano piano avvicinarsi Lo spunto più interessante è forse quello relativo al modello di sviluppo del settore. Si contrappongono il modello del Vecchio mondo, il nostro, fatto di regole molto stringenti, organizzato a livello regionale, con un tessuto imprenditoriale di tipo familiare e con una strategia essenzialmente legata alle qualità del prodotto. E il Nuovo mondo, dove la regolamentazione è semplice, la proprietà è più “aziendale” che familiare, il mondo del vino non è visto

come nei nostri mercati, come un “club” ma è totalmente aperto. Inoltre, nel Nuovo mondo l’approccio al prodotto è “funzionale”, cioè non si fa il vino per farlo il più buono possibile e per farlo diventare un marchio fine a se stesso, ma ci si sforza di capire che cosa vuole il consumatore finale, in quali occasioni beve e sulla base di questo si cerca un prodotto che risponda a queste esigenze. I due mondi, che si sono sviluppati in circostanze molto differenti, hanno entrambi i propri problemi: il Nuovo mondo fa fatica a sviluppare i prodotti

ultrapremium e di nicchia, il Vecchio mondo viceversa fa fatica a imporre un prodotto premium (quindi imbottigliato e con un prezzo al dettaglio generalmente superiore a 5 euro) ma allo stesso tempo “di massa”. I due mondi dovranno avvicinarsi? Probabilmente sì. Lo studio mette a fuoco una serie di potenziali iniziative come la promozione regionale e l’inserimento di regole più stringenti per aiutare il Nuovo mondo a sviluppare un prodotto di maggiore qualità ed esclusività, mentre per i nostri mercati si auspica l’allentamento delle

regole per consentire di sviluppare un prodotto di marca con volumi più elevati. Le private labels: un incidente che sta solo aspettando di capitare? Il secondo aspetto è quello del rapporto di forza all’interno della catena del valore, cioè del rapporto di forza tra chi produce e chi distribuisce. I problemi del produttore di vino sono molteplici: 1) ci sono troppi marchi, che si fanno la guerra sullo scaffale e l’offerta è comunque superiore alla domanda;

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Export Marche

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Condé

VERSO NORD AMERICA E PAESI BALTICI

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Leuta

CINEMA E NETTARE DI BACCO

Nel 2010, secondo i dati Coldiretti, l’export dei vini marchigiani ha segnato un +13%. Germania, Svizzera, Belgio, Francia, sono i mercati consolidati "verso i quali è fondamentale insistere – specifica il vicepresidente regionale Paolo Petrini - ma forse è bene spingersi alla scoperta di nuove piazze, come i Paesi Baltici”. E il Nord America, naturalmente, paese che ha ancora ampi margini di crescita, così come l’area asiatica, fortemente rappresentata negli incontri organizzati dalla Regione Marche fra produttori e buyer.

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Un vigneto dalla geometria quasi surreale, con i filari (tutti meticolosamente numerati) che scendono dalle colline, come lunghe trecce. E saranno proprio questi vigneti, rigorosamente sangiovese, a essere la cornice del grande schermo, per 4 serate “d’autore” fra giugno e agosto, con proiezioni di film e degustazioni.

un quadro che sarà etichetta

Nel corso di Vinitaly, Leuta ha presentato i suoi vini d’eccellenza e dato vita alla premiazione della giovane artista vincitrice del IV Concorso per la realizzazione dell’opera che sarà riprodotta sulle etichette delle bottiglie Magnum annata 2009. Si tratta di Michela De Carlo, studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Per la realizzazione dell’opera è stata usata una tecnica mista di acrilico su tela con inserti di feltro colorato.

Altri 10%

2) i grandi dettaglianti si stanno organizzando per lanciare i propri marchi (cd “private label”). Ciò è ben visibile nel mercato dello Champagne nel Regno Unito e nella crescita delle private labels in Australia. La questione delle private labels sarà uno degli aspetti da valutare con maggiore attenzione. In Italia è un fenomeno ancora limitato, soprattutto nel vino, ma prima o poi lo dovremo affrontare. Come diceva un famoso manager, quando c’è un nuovo modo di fare quello che fai, molto più efficiente e meno costoso, è meglio che lo faccia tu (guadagnando magari meno di prima) che non lo faccia qualcun altro (prendendosi quindi tutto il profitto). Così è per il vino. Lo studio suggerisce giustamente che dovrebbero essere i produttori di vino a inventarsi dei prodotti con un prezzo “da private label” per evitare che lo facciano al loro posto le catene distributive. Con un piccolo “dispendio” in termini di esclusività dei propri marchi, sarebbero in grado di tenersi in casa un margine che altrimenti sarebbe fagocitato dal dettagliante. L’altra via proposta è di rafforzare i marchi in modo da “togliere l’appetito” alla Gdo relativamente alle

Spagna 4%

private labels: ma questa è una via lunga e faticosa. I mercati emergenti I mercati emergenti hanno caratteristiche peculiari: 1) i consumatori non conoscono il “prodotto vino” e quindi vanno educati; 2) i canali distributivi non sono organizzati e quindi va fatto un ulteriore sforzo oltre alla mera esportazione; 3) i marchi sono molto importanti; 4) essendo mercati giovani, i consumatori tendono a preferire vini “fruttati” e “facili” che non sono di certo i nostri cavalimport di vino imbottigliato in cina (mln di dollari) li di battaglia (e nemmeno dei francesi). Qui sta il punto debole del prodotto italiano. L’Italia sconta un ritardo nell’approccio a questi Italia Altri Cile Australia Francia nuovi clienti e uno scarso impegno a livello di sistema. Un mercato come la Cina è certamente un’opportunità per l’Italia: il prodotto locale, per quanto presente, è scarsamente 69 orientato alla qualità e ancora 24 oggi i produttori cinesi impor58 79 tano vini sfusi dall’estero per 39 14 22 55 migliorare il prodotto locale. A 8 22 36 guardare i grafici del mercato di 179 18 127 importazione cinese, l’Italia ha 83 chiaramente un ruolo di secondo piano. 2006 2007 2008 2009

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TUTTE LE NORME VITIVINICOLE SUL SITO WWW.UIV.IT Unione Italiana Vini ha predisposto un portale di legislazione rendendo disponibili anche on-line le norme generali vitivinicole e i disciplinari di produzione sempre aggiornati. La consultazione consente di ricercare tutti i disciplinari attraverso ricerche semplici per nome di denominazione o complesse (vitigno, tipologia, regione, provincia e categoria DOCG, DOC, IGT). Analogamente si può effettuare la ricerca di norme vitivinicole comunitarie (regolamenti, direttive, ecc.) e nazionali (leggi, decreti, circolari, ecc.) per parole chiave (arricchimento, distillazione, riclassificazione, designazione) o per titolo e/o numero del provvedimento. Al termine sarà possibile visualizzare, consultare e stampare i documenti ricercati.

Servizio disponibile in abbonamento annuale Per informazioni e abbonamenti: Unione Italiana Vini soc. coop. a rl. tel. +39 045 8230582 - fax +39 045 8277568 - [email protected]

cosa fare per correre altri 50 anni

Usa 5%

Cile 6% Francia 52% Italia 6%

Australia 18%

il pinot grigio

torni

pinot grigio import di vino imbottigliato

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340

2010

Il tema dei mercati esteri e di come i vari prodotti si pongono è ampiamente affrontato. Lo studio riassume molto bene quali sono i problemi che affliggono i nostri concorrenti: 1) una crescita della produzione molto più veloce della domanda; 2) un prodotto sempre meno distinguibile dal resto e senza marchi particolarmente forti; 3) la difficoltà di generare ritorni sul capitale adeguati per attrarre l’attenzione dei grandi operatori del settore degli spirit e, come se non bastasse, 4) il problema della rivalutazione dei cambi di molti Paesi produttori rispetto al dollaro e all’euro, la valuta con cui pagano la maggior parte dei clienti. Tra i mercati del Nuovo mondo sono giustamente sottolineate le difficoltà di Australia (cambi e calo del prezzo medio all’export), Sudafrica (difficoltà di replicare il successo avuto in Inghilterra) ma anche della Nuova Zelanda (prezzo medio molto elevato con rischio di ribasso per la situazione di sovrapproduzione che si è recentemente creata). Dall’altra parte, viene giustamente sottolineato il successo di prodotti come quello cileno (focalizzazione sul prodotto imbottigliato e, aggiungerei io, un paio di aziende molto grandi e unicamente concentrate sul vino) o quello americano (aiutato dal cambio). Le opportunità dell'Italia L’Italia sembra avere alcune opportunità: la produzione potenziale si riduce grazie agli incentivi, e cala soprattutto nelle regioni con minore propensione al prodotto di qualità; le esportazioni crescono a un buon ritmo dopo essere calate soltanto marginalmente nel 2009 a causa della crisi; la varietà dei vini italiani consente di cogliere nuove opportunità in segmenti in forte incremento come quello dei vini spumanti/frizzanti a prezzi contenuti; da ultimo, ma non meno importante, la cucina italiana è un chiavistello che apre ogni porta e rappresenta uno sbocco naturale per i vini domestici. Sarebbe ora, come sostengono alcuni illustri produttori, che si sponsorizzi la cucina italiana in nuovi mercati come la Cina. Se ci riusciremo, non sarà difficile vedere le vendite di vino italiano crescere drasticamente. Mettendo insieme tutti questi pezzi, Rabobank sembra dirci che ci sono tutti gli ingredienti per il successo. Sta a noi mescolarli.

La provocatoria proposta di Robert Joseph, editor del “Meininger’s Wine Business International”, al convegno organizzato da Santa Margherita. “Questo vino corre il rischio di seguire la sorte della pizza e di perdere la sua anima tricolore. Gli italiani si riapproprino del ‘marchio’, magari partendo dal packaging”

di francesco emanuele benatti

L'Italia sconta ancora un ritardo nell'approccio ai mercati emergenti

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erona. “Il Pinot Grigio italiano si dovrebbe ri-appropriare del marchio Pinot Grigio, per esempio attraverso la creazione di una bottiglia brevettata dalla forma esclusiva che permetta all’estero un’immediata riconoscibilità”. Così parlò Robert Joseph, Editor at Large del “Meininger’s Wine Business International”, ospite del convegno “Il Pinot Grigio italiano e la sfida del mercato mondiale: storia e prospettive”, organizzato a Vinitaly in occasione dei 50 anni del Pinot Grigio Santa Margherita. “Il futuro di questo vino sembra saldo – ha argomentato Joseph - ma il Pinot Grigio italiano deve affrontare grandi sfide. In tutto il mondo, produttori ambiziosi vogliono dimostrare di essere capaci di ottenere un Pinot Grigio migliore rispetto agli italiani. Oggi si stima che oltre la metà del Pinot Grigio venduto negli Stati Uniti provenga da fuori Italia. Il Pinot Grigio corre il rischio di seguire la sorte della pizza e di perdere la sua anima italiana. Molto più preoccupante è la minaccia da parte del Pinot Grigio economico prodotto fuori dall’Italia. Recenti studi hanno confermato che i consumatori non si preoccupano molto del luogo di produzione del vino. Negli Stati Uniti, il famosissimo Cupcake Pinot Grigio è prodotto in Italia, mentre il Little Black Dress proviene dalla California. Se i proprietari di quest’ultimo marchio dovessero scegliere di commutare l’origine, potrebbe ottenere poca resistenza alle vendite. Nel Regno Unito, First Cape ha di recente lanciato un Pinot Grigio rumeno in alternativa a quello prodotto in Sudafrica. Tesco ora vende il California Zinfandel e il Merlot francese con il marchio Ogio che ha creato per il suo esclusivo Pinot Grigio. Se la catena di supermercati decidesse di introdurre un Pinot Grigio della Ogio di provenienza slovena, i consumatori d’Oltremanica potrebbero non accorgersene nemmeno”. Di qui la proposta: “Oggi i produttori italiani dovrebbero riprendere possesso del loro marchio creando una bottiglia con una forma esclusiva: non penso a qualcosa di così particolare come la bottiglia Gina Lollobrigida del Verdicchio, ma un oggetto più delicato come quello adottato dallo Chateauneuf du Pape”. L’uso della bottiglia brevettata secondo Joseph avrebbe tre scopi: 1) fornire una piattaforma per la commercializzazione nei mercati di esportazione tradizionali; 2) rendere il Pinot Grigio italiano più facilmente riconoscibile in paesi come la Cina, la Corea e la Russia che usano caratteri alfabetici propri; 3) rendere più difficile fingere che un vino sia italiano, o sostituire un Pinot Grigio italiano con un vino prodotto altrove.

il modello di casa marzotto applicato al vino: a tutta co-opetition Il caso Pinot Grigio Santa Margherita è stato esaminato alla luce del paradigma della co-opetition, definita da Elena Rocco, Università Ca’ Foscari di Venezia, come “una situazione in cui due o più imprese creano valore attraverso l’incorporazione di istanze sia competitive che collaborative in una stessa relazione inter-organizzativa. Attraverso le strategie coopetitive, le imprese ricercano la creazione di maggior valore complementando l’una le attività dell’altra in un punto della catena del valore, mentre allo stesso tempo competono in altre aree. Il caso più diffuso è la collaborazione tra imprese concorrenti per R&S e la competizione a livello di commercializzazione dei prodotti”. Nel caso della Santa Margherita, si è cercato di rispondere a tre domande: primo, se il modello di creazione di valore intrinseco al paradigma della co-opetition sia idoneo spiegare il successo del Pinot Grigio Santa Margherita. “La ricerca empirica condotta – ha spiegato la docente - permette di rispondere affermativamente”. Seconda domanda: quali siano i tratti distintivi del modello co-opetitivo sviluppato dall’azienda nel territorio del Trentino Alto Adige. “Quattro risultano essere i fattori, tra essi interrelati: il profilo innovativo del prodotto; la strategia di comunicazione (sia come stile che come target); la qualità costante e il legame con il territorio, il Trentino Alto Adige, unico dal punto di vista pedoclimatico e socio-produttivo”. La terza domanda infine investe i fattori alla base della longevità del modello co-opetitivo. “L’innovazione dell’architettura di filiera introdotta da Santa Margherita in Alto Adige a partire dagli anno Sessanta – ha spiegato la Rocco - oggi continua a dimostrare elevati livelli di performance. Ciò è in controtendenza rispetto ai casi di co-opetition studiati in letteratura i quali, tipicamente, hanno durata molto limitata. Poiché la co-opetition è fondata su strutture di interesse solo parzialmente convergenti tra i partner, i vantaggi vengono cancellati o mitigati da un cambiamento in tale convergenza dovuto a opportunismo, cambiamenti esogeni, divergenze di interessi o le asimmetrie tra i partner, sbilanciamenti nella suddivisione dei risultati. Il modello realizzato tra l’azienda Santa Margherita e le aziende del Trentino Alto Adige per la produzione del Pinot Grigio si fonda su un’architettura resistente e resiliente, cioè capace di affrontare e superare i problemi. Dalle interviste condotte con un campione di attori della filiera inseriti nell’architettura co-opetitiva creata in Trentino Alto Adige emerge che la longevità della relazione sia da attribuirsi alla capacità dell’azienda di aver creato una ‘filiera di fiducia’ con i partner, basata su comunicazione, equità nella divisione dei risultati, puntualità e trasparenza”.

In alto, un momento del convegno "Il Pinot Grigio italiano e la sfida del mercato mondiale". Da sinistra: Ettore Nicoletto, a.d. di Santa Margherita, Elena Rocco dell'Università Ca' Foscari di Venezia, Gaetano Marzotto, presidente dell'azienda veneziana, e Giancarlo Galan, ministro dei Beni e attività culturali

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